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La manta non ha ossa, come lo squalo. Ha solo centinaia di cartilagini. Come falangi di una mano a cento dita, come due mani a cento dita che fanno due ali, la manta irraggia dal proprio centro di organi a tutte le correnti del mare, scivola come ostia di carne sulle papille della sabbia. Alcuni nevai grigi, logori nell'estate dell'alpe, giacciono sul fondo di circhi glaciali, le ali sfrangiate sugli scogli di gneiss, schiarite dal sale, dal sole. Queste mante lasciano scivolare dalle bocche morte un rivolo di acqua e argilla, e se ne vanno stagione dopo stagione. Animali del mare e acque aggrumate sul minerale. Il nesso tra le due cose va e viene come una specie di marea, come cresce e cala il nesso tra la manta di cartilagini e carne, viva, e una manta di feltro, filo di ferro e ovatta, viva nella testa di chi l'ha cucita e imbottita d'idee. Adesso la forma di tessuto sembra l'animale, adesso sembra solo se stessa, inarcata a imitare nella mente, per la mente, quel principio di nascita che la manta-animale fa con tutta la sua spinta di vita: salta fuori dal pelo dell'acqua, si alza in verticale, si incurva a cercarsi la radice della coda, e spinge fuori a decine le uova, lasciandole dietro. La manta di tessuto salta da ferma in una vecchia tipografia che ha smesso di fare nascere parole. Le uova di carta e inchiostro si sono schiuse nelle mani di un lettore, oppure sono finite infeconde sulla spiaggia sassosa dei desideri mancati. Eccola lì, la manta della mente, immobile in un salto bloccato? Quando qualcuno chiede arte deve chiedersi dove arrivano, dove possono arrivare le cartilagini molli di un atto di volontà. Se non è l'occhio di un ubriaco a veder muovere una manta di tessuto, allora è l'occhio senza pupilla del mare che vede muoversi la manta vera, dove parole tacciono perché non hanno mai parlato. Matteo Meschiari (Pescara, marzo 2002) |
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