Town Meeting # 1 - Intervento di Giancarlo Paba
Martedi' 25 febbraio 2003 si e' tenuto il primo incontro che si e' atricolato in due momenti:
un polo a carattere espositivo e uno di pubblico dibattito.
- Town Meeting # 1, Firenze - Insurgent City, Milano - Comunita' in corso. Immagini e racconti da un'altra citta' ha messo a confronto due esperienze fondamentali di ricognizione e mappatura di due
aree urbane come Milano e Firenze nel momento in cui le ricerche sono in corso e hanno gia' dato i primi importanti risultati che abbiamo avuto modo di vedere nell'esposizione presso il SESV.
La mostra raccoglie proiezioni, video, tavole, foto e altri materiali relativi a questa ricerca di mappatura.
- Presso la Sala degli Specchi dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Firenze si e' svolta una tavola rotonda con la partecipazione di Giancarlo Paba e Lorenzo Tripodi del Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione del territorio dell'Universita' di Firenze insieme con Paolo Fareri e Francesca Cognetti del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano; Marco Scotini curatore del progetto Networking 2003 e Marco Brizzi curatore S.E.S.V.
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Insurgent city
Racconti e geografie di un'altra Firenze
Giancarlo Paba*
1. 'Una macchina perversa di bellezza'
'La citta', popolata da due categorie di persone, gli affaristi e le loro vittime,
e' abitabile [...] in maniera dolorosa, disturbante ogni indole naturale, col
tempo perturbante e devastante. [...] Colui che sia cresciuto in questa citta'
[...], colui che fin dall'infanzia piu' remota sia stato incapsulato da un lato
nel vistoso evolversi della sua fama mondiale come in una macchina
perversa di bellezza, macchina bugiarda che produce vero denaro e finto
denaro [...], costui non puo' far altro che conservare un ricordo tremendo
della citta' e delle condizioni di vita in questa citta' [...], una citta' che da
sempre ferisce, esaspera e comunque annienta qualsiasi personalita'
creativa. [...] Per colui che tenta di trovare equilibrio e giustizia in questa
citta' che in ogni parte del mondo gode fama soltanto di bellezza e nobilta', e
[...] della fama derivata dall'arte, la cosiddetta Grande Arte, essa, la citta',
ben presto non risulta altro che un freddo museo di morte, esposto a
malattie e bassezze di ogni genere, e in questa citta' si ingigantiscono per lui
tutti gli ostacoli immaginabili e inimmaginabili, i quali spietatamente
devastano e profondamente ledono le sue energie e le sue doti e attitudini
spirituali; ben presto dunque la citta', per lui, non e' piu' una bella natura e
un'esemplare architettura, ma nient'altro che un groviglio umano
impenetrabile di volgarita' e di bassezza, ed egli non cammina piu' in mezzo
[all'arte] quando passa per le strade della citta', ma e' soltanto disgustato
dal pantano morale in cui sono immersi i suoi abitanti.' (Thomas
Bernhard, L'origine, Adelphi, Milano, 1982, pp. 9-13)
L'invettiva di Thomas Bernhard - esagerata come ogni invettiva - nella
citazione che apre questo scritto, e' rivolta a Salisburgo. Sono state
necessarie poche correzioni nella forma per adattarla a Firenze e nessuna
correzione sarebbe forse necessaria nella sostanza. Firenze e' diventata
anch'essa 'una macchina perversa di bellezza' e di morte dell'anima. Ed e'
soprattutto, per una parte importante dei suoi cittadini vecchi e nuovi, una
macchina di sofferenza materiale, e di difficile e contrastata sopravvivenza.
L'atmosfera mortale - per la comunione del clima e della devastazione
ambientale - la rende nociva, il contrasto tra centro e periferia la rende
bugiarda e bifronte, il dominio del commercio e del denaro la rende cinica e
crudele, lo sfruttamento parassitario della cultura antica e la crisi della
cultura contemporanea la rendono sterile e opaca, l'avarizia materiale e
mentale delle sue classi dirigenti la rende spesso ostile e lontana dalle sue
antiche tradizioni di ospitalita'.
Come nella Salisburgo di Bernhard la scena pubblica fiorentina riflette il
degrado fisico e ambientale della citta': stanche azioni di governo, sceriffi e
'securizzatori', imbonitori e modiste, registi e comici di regime, in generale
culture fossili e ortogonali alla sperimentazione e al coraggio critico. La
macchina perversa di bellezza di Firenze - 'freddo museo di morte' - e'
rappresentata in mille mappe e in mille guide in modo adeguato.
Iper-rappresentata: un'inflazione di immagini e racconti, di camere con
vista, di viste convenzionali e banalizzate: vera alluvione terminale, e
deserto di significato, della comunicazione di Firenze nel mondo.
Abbiamo ignorato questa figura della citta' dell'arte e del commercio
globale, per tentare la ricostruzione di qualche parte dell'altra geografia di
Firenze: una geografia interstiziale, nascosta, fluida, e tuttavia attiva,
densa, creativa, la contro-geografia di un'altra Firenze, di una citta'
nascente, emergente, mescolata a quella esistente, dentro e contro la citta'
esistente. Semmai questa geografia si ricollega alla grande linea storica
sotterranea della Firenze delle lotte sociali e di popolo, e della resistenza al
potere e al conformismo culturale, da Savonarola a Enzo Mazzi, dalla
rivolta dei Ciompi alle lotte della Firenze operaia, da don Milani ad
Ernesto Balducci, dai movimenti giovanili del dopoguerra alle iniziative
della comunita' delle Piagge, fino alle mille manifestazioni e figure,
insofferenti e inquiete, della storia fiorentina recente e lontana.
2. Insurgent city
Abbiamo definito quest'altra Firenze come insurgent city, ed e' necessario
qualche chiarimento sul significato che viene dato a questa espressione.
Leonie Sandercock chiama 'insurgent planning practices' le iniziative di
pianificazione e di resistenza/trasformazione che si oppongono alla citta'
esistente (alla sua struttura organizzativa e di potere) e nello stesso tempo
positivamente costruiscono i primi congegni di una citta' alternativa e
differente. John Friedmann collega queste iniziative alla dinamica delle
cittadinanze in espansione e ad un allargamento progressivo degli spazi di
democrazia . Le nuove cittadinanze creano un contesto plurale e creativo,
una vera e proprio multipli/city, all'interno della quale diventano
praticabili forme di utopia concreta, achievable, per una piu' completa
fioritura degli esseri umani .
Per noi inoltre il termine insurgent mantiene anche un campo di risonanze
piu' antico. Insurgence, ha scritto Lewis Mumford, e' la 'capacita' di
superare, attraverso il potere o l'astuzia, attraverso il piano o il sogno, le
forze che minacciano l'organismo' . Le pratiche individuali e collettive
insurgent sono quindi un dato biologico ed esistenziale, prima che politico,
la manifestazione elementare del diritto alla vita e alla citta' dei suoi
abitanti piu' poveri e deprivati.
Insurgent, nel senso qui precisato, sono i movimenti stessi dei corpi in citta',
degli organismi che vogliono sopravvivenza e speranza di futuro. I
movimenti molecolari: le traiettorie dei corpi nella scena pubblica della
citta', alla ricerca di occasioni di vita e di felicita'; i movimenti associati: le
interazioni tra i corpi, l'aiuto reciproco, la solidarieta' nell'amicizia e nel
lavoro comune; le reti organizzate di resistenza e di azione: il radicamento
delle nuove comunita' nello spazio, nel processo di costruzione o
trasformazione dei luoghi e degli insediamenti.
Al centro della geografia di Firenze altra abbiamo quindi collocato le
pratiche di vita dei nuovi cittadini, le piccole antropologie del quotidiano, le
storie o le microstorie individuali e di gruppo. Insurgent city non e' citta'
sovversiva o rivoluzionaria (non e' così Firenze, non sono così oggi le citta'
italiane, che lo si desideri o meno). È pero' campo di forze, tensioni, desideri,
conflitti, progetti. È l'insieme di azioni compiute o parziali di
trasformazione, di piccole utopie realizzate o di semplici gesti di
sopravvivenza, di manifestazioni di resistenza e di lotta, di conquiste
individuali o collettive, di micropoteri diffusi. Insurgent non e' soltanto
l'azione antagonista, spesso semplice negazione algebrica di una realta'
ingiusta. Le pratiche sociali insurgent sono invece il risultato di
intenzionalita' collettive positive, progettuali, costruttive: esse sviluppano
l'antagonismo in protagonismo. Pratiche che stanno su un altro piano, su
altri mille piani, talvolta indifferenti al mondo tradizionale della lotta
politica, e delle ideologie. Pratiche 'impolitiche', anche cattive e bastarde,
forse proprio per questo efficacemente politiche.
3. Lo spazio dei punti di vista
L'intenzione originaria era quella di costruire un vero e proprio atlante
della citta' alternativa, in particolare della sua nuova morfologia sociale.
L'atlante fissa il territorio conosciuto in una figura unitaria e condivisa.
Questa modalita' di rappresentazione presuppone l'unita' e la stabilita' del
mondo, e l'univocita' del punto di vista. Ma come potevamo arrivare ad una
rappresentazione certa e fissa delle cittadinanze mutevoli di Firenze e delle
loro mutevoli relazioni con lo spazio? Non era questa la strada che era
possibile intraprendere.
Esiste tuttavia un altro modo di intendere un atlante: le 'mappe' e le
narrazioni - i resoconti iconografici e topografici - si riempiono di piste, di
segni provvisori, si coprono di immagini e suggestioni utili per avanzare nel
territorio sconosciuto. L'atlante consolida temporaneamente l'andamento
di un percorso, quasi fosse un diario di bordo, piu' che la carta di
orientamento di un pacifico baedeker. Questo secondo tipo di
rappresentazione ha il vantaggio di restare vicino alle cose raffigurate e alle
persone raccontate, accostandole e mettendole in relazione senza unificarle
in un dispositivo ordinato e uniforme.
L'oggetto della rappresentazione e' proprio il mondo in ebollizione della
citta' insurgent: la citta' delle soggettivita' liberate, delle cittadinanze in
espansione e in movimento, un campo fluido e dinamico, abitato da una
pletora di attori e iniziative. I materiali da rappresentare non sono
costituiti da oggetti, ma da intrecci di relazioni umane, di nuovi rapporti
intersoggettivi, e dal loro difficile e controverso rapporto con la struttura
morfologica e organizzativa della citta'.
Abbiamo quindi pensato a una rappresentazione plurale, polimorfa,
decentrata, che puntasse a rappresentare 'lo spazio dei punti di vista'
della citta' emergente nella sua complicazione, un atlante di voci e di
relazioni, di percorsi e di testimonianze. Ci ha guidato questa indicazione di
Pierre Bourdieu, in un volume che avevamo assunto come modello (e la cui
qualita' non siamo riusciti neppure ad avvistare: 'per capire cio' che accade
nei luoghi [...] che riavvicinano persone che tutto separa, costringendole a
coabitare, sia nell'ignoranza o nella reciproca incomprensione, sia nel
conflitto, latente o dichiarato, con tutte le sofferenze che ne risultano, non
basta rendere conto di ciascuno dei punti di vista presi in modo separato.
Bisogna anche confrontarli come sono nella realta' [...] per fare apparire,
attraverso il semplice effetto di giustapposizione, cio' che risulta dallo
scontro di visioni del mondo differenti o antagoniste: cioe', in certi casi, il
tragico, che nasce dallo scontro senza concessioni o compromessi di punti di
vista incompatibili, perche' ugualmente fondati su qualche ragione sociale'.
Le nuove geografie urbane sono 'difficili da rappresentare e pensare' e
richiedono una rappresentazione multipla e complessa: 'abbandonare il
punto di vista unico, centrale, dominante, quasi divino, nel quale si colloca
volentieri l'osservatore, [...] a favore della pluralita' di prospettive
corrispondente alla pluralita' di punti di vista' .
4. Effetti di luogo
L'universo delle soggettivita' emergenti non e' ancora in grado di produrre
un cambiamento organico e strutturato della citta'. I movimenti insurgent
sono all'origine di modificazioni puntuali, di microtrasformazioni, e
qualche volta depositano solo sintomi di presenza, lasciano tracce di
percorso. Abbiamo quindi cercato di rilevare quei fenomeni che e' possibile
chiamare, utilizzando ancora un'espressione di Bourdieu, gli 'effetti di
luogo' delle nuove azioni collettive. Tenendo conto dei molti modi di
incisione dello spazio fisico e sociale abbiamo cercato di registrare un campo
molto vasto degli effetti di luogo delle nuove pratiche sociali sul territorio
fiorentino: cambiamenti d'uso e di funzione, processi di ri-significazione di
edifici e luoghi pubblici, creazione o ri-creazione di luoghi collettivi,
'colorazione' dello spazio urbano (dal writing, alle modificazioni di arredo
e di aspetto, ai suoni e ai segni della vita sociale, ai mercati e alle presenze
volanti, ecc.), riconfigurazione dei tempi urbani (una diversa
organizzazione della notte e piu' in generale dei ritmi di funzionamento
della citta'), occupazione e riorganizzazione di spazi costruiti,
auto-ristrutturazioni, progetti partecipati, occupazioni alternative
dell'etere e dello spazio immateriale, riqualificazioni in forme autoprodotte
di immobili e aree urbane (immobili collettivi di abitazione, autorecupero di
edifici e di aree per nuovi usi sociali, adozione e gestione di spazi aperti), e in
qualche caso la creazione di veri e propri cantieri sociali di trasformazione
della citta' (l'Isolotto per il passato di Firenze, le Piagge oggi), capaci di
incidere in modo piu' evidente e significativo sull'organizzazione della citta'.
Insomma la definizione piu' giusta, entro la quale riassumere gli effetti di
luogo delle nuove cittadinanze, e' quella secondo la quale lo spazio urbano e'
contested space : spazi e luoghi della citta' disputati e contesi, in particolari i
luoghi pubblici, le piazze, le strade, e in generale il territorio aperto, i
parchi, i giardini, le aree marginali e di connessione, le zone e gli edifici
abbandonati. Luoghi contesi tra diverse opzioni d'uso, traiettorie di vita e
differenti aspettative e progetti di citta': Homi Bhabha li ha chiamati third
space, 'spazio terzo', interstiziale, inbetween, nel quale si articolano le
differenze e viene negoziata la vita, contrattata e giocata l'esistenza .
Il contenuto di questo resoconto figurato nasce da sondaggi, messe a fuoco
parziali, contatti e immersioni nei movimenti della citta'. Spesso i contenuti
sono costituiti da ragionamenti attorno a piccoli accadimenti,
microfenomeni. I materiali sono costituiti da molte cose mescolate tra di
loro: documenti iconografici in prima istanza (fotografie, carte, mappe,
diagrammi, schemi interpretativi), ma anche racconti, storie, interviste,
narrazioni.
5. Dalla resistenza ai progetti
'Potentially, the list of acts of resistance is endless - everything from
footdragging to walking, from sit-in to outings, from chaining oneself up in
treetops to dancing the night away, from parody to passing, from bombs to
hoaxes, from graffiti tags on New York trains to stealing pens from
employers, from no voting to releasing laboratory animals, from mugging
yuppies to buying shares, from cheating to dropping out, from tattoos to
body piercing, from pink air to pink triangles, from loud music to loud
T-shirts, from memories to dreams - and the reason for this seems to be
that definitions of resistance have become bound up with the ways that
people are understood to have capacities to change things , through giving
their own (resistant) meanings to things, through finding their own tactics
for avoiding, taunting, attacking, undermining, enduring, hindering,
mocking the everyday exercise of power.'
(S. Pile, M. Keith, a cura di., Geographies of Resistance, Routledge,
London/New York, 1997)
Non c'e' logica unitaria e pianificazione dall'alto della citta' 'altra'. Sarebbe
sbagliato collocare i movimenti urbani e le azioni progettuali o ribelli in
una linea crescente di importanza e di significato. Molte piccole azioni
ripetute possono avere una capacita' di incisione dello spazio urbano
maggiore rispetto a quella di una singola grande iniziativa organizzata. In
realta' un carattere rilevante dell'altra Firenze e' proprio la mescolanza
delle cose significative e il loro emergere imprevedibile nei diversi luoghi
della citta', in una semplice biografia individuale, così come nell'esperienza
politicamente gestita di un'occupazione o nella trasformazione partecipata
di un immobile o un quartiere.
Sullo sfondo delle esplorazioni urbane rappresentate e' possibile intravedere
da ogni parte il profilo minaccioso della citta' ostile alle nuove cittadinanze
in espansione. L'abbiamo chiamata gated city: citta' vietata, sorvegliata,
citta' che respinge e si chiude nel tentativo di imbrigliamento e
contenimento delle energie urbane alternative. È la citta' dei recinti, delle
barriere, dei cancelli, dei codici di accesso, del controllo remoto o
ravvicinato, delle limitazioni di tempo e di spazio, della privatizzazione e
della sorveglianza dello spazio pubblico. È la citta' che discrimina e respinge
ai margini, la citta' della pulizia etnica nelle vie centrali e della pulizia
'ecologica' sulle sponde dell'Arno (per eliminare anche negli spazi
periferici le presenze sociali ritenute pericolose). È una 'architettura della
paura' che in questo modo si e' consolidata, attraverso piccoli e grandi
dispositivi spaziali e di controllo: una visione paranoica e 'securizzata'
della vita urbana che contrasta con la stessa piu' profonda sostanza
dell'idea di citta' .
La prima dimensione dell'opposizione alla citta'-fortezza che diventa
necessario considerare e' quindi quella della resistenza. Le 'arti della
resistenza' sono le armi dei poveri, una sorta di 'infrapolitica di coloro che
non hanno potere' . Nascondersi, dissimulare, non collaborare,
disobbedire, fingere ignoranza, arrangiarsi: le arti della sopravvivenza
costituiscono un insieme di attivita' spontanee e informali, che non
richiedono coordinamento e pianificazione, una sorta di 'brechtiana - o
schweickiana - forma di lotta di classe' . Anche nei movimenti piu'
consapevoli, progettuali e trasformativi, la resistenza costituisce un
fondamento e un punto di partenza. Ed e' su una base di resistenza e
ribellione, molte volte individuale e solitaria, qualche volta organizzata e
intenzionale, che poggiano anche le esperienze con un contenuto piu' alto di
realizzazione e di speranza.
6. La citta' dei 'migranti'
Resistenza al controllo e organizzazione positiva della sopravvivenza si
dispiegano in particolare nello spazio pubblico, spazio conteso per
eccellenza della citta'. È possibile esaminare questa disputa collettiva dello
spazio in alcuni luoghi sensibili: le piazze storiche, i luoghi di aggregazione
del centro antico, la stazione e i territori del commercio e del transito, le
strade stesse della citta' alla fine. E registrare i segni positivi di questa
disputa, le microtrasformazioni e i processi di riappropriazione dello spazio
collettivo (piazze multietniche, strade colorate, ecc.).
In particolare e' importante cercare di disegnare la cartografia degli
abitanti provenienti da lontano, degli 'stranieri', dei migranti. Vivere,
cercare di continuare a vivere, dispiegare 'insurgent living practices',
potremmo dire parafrasando l'espressione di Sandercock dalla quale siamo
partiti, significa essere costretti a resistere e insieme a cambiare la citta'. La
vita non e' garantita per questa categoria di cittadini negati, la loro
esistenza non si e' ancora quietamente cristallizzata nelle case e nei
quartieri. Vivere per i migranti e' ancora un obiettivo, non una condizione
naturale di partenza, ed e' quindi necessariamente un progetto. 'Allo
straniero non domandare il luogo di nascita, ma il luogo d'avvenire' , ha
scritto una volta provocatoriamente Edmond Jabe's. Vivere significa
conquistare un riparo, attrezzare uno spazio collettivo di sopravvivenza,
garantire il soddisfacimento di bisogni elementari, adattare la struttura dei
consumi e dei commerci, aggredire i problemi del lavoro e della formazione,
affermare il diritto a una famiglia e a una discendenza, affrontare anche il
problema del tempo libero, e del sesso, del pane e delle rose insieme. È
allora come conseguenza di questo progressivo radicamento della vita dei
migranti che gli effetti di luogo si accumulano nello spazio e la citta' si
deforma, si trasforma e si colora .
Nelle interviste gli itinerari di vita dei migranti non sono mai lineari e
banali. Emergono biografie complesse e contraddittorie: resistenza e
progetto, devianza e desiderio di normalita', individualismo e fratellanza.
Emergono inquietudine e adattabilita', rabbia e fiducia nel futuro, voglia di
fare e di costruire, astuzia e imprenditorialita', e anche molta cultura, e una
conoscenza delle altre culture e degli altri linguaggi magari superiore alla
maggioranza dei cittadini 'ordinari'. In qualche caso le storie di vita sono
costrette ad attraversare una sorta di zona selvaggia, di 'wild zone', il
territorio di frontiera della citta', collocato sul bordo, qualche volta oltre il
bordo, della norma e della legalita' . Spazio terzo, zona selvaggia, oppure
ancora spazi obliqui, ibridi, ambigui, come nel caso dei queer spaces, degli
spazi 'sbagliati' delle libere pratiche sessuali. Si diffondono nuove
geografie del desiderio e della liberta' dei corpi , anche in questo caso spesso
sul confine tra auto-espressione e auto-sfruttamento.
7. La citta' 'occupata' e i cantieri sociali
Una parte importante di Firenze insurgent e' costituita dalla geografia dei
luoghi occupati della citta', degli immobili liberati da gruppi di cittadini
senza casa, della aree o delle fabbriche abbandonate che sono diventate
luoghi complessi della citta' alternativa ed emergente.
Le occupazioni - uso questo termine per indicare una fenomenologia di
azioni internamente molto articolata - sono all'origine di una contesa
spaziale diffusa in tutto il territorio della citta'. Nella ricostruzione delle
occupazioni e' possibile mettere in evidenza le reti organizzative, le
strategie, il carattere intenzionale e politicamente deliberato di molte
iniziative, in particolare sul grande tema generale della casa e dei centri
sociali. In queste note mi piace tuttavia sottolineare di queste esperienze il
carattere aperto, imprevedibile, non programmato, persino impolitico, nel
senso che ho all'inizio precisato. Dell'occupazione di via Aldini, per
esempio, e dell'occupazione dell'immobile di via Bufalini duramente
interrotta e repressa, mi sembrano importanti, intrise di futuro e di
speranza, il carattere complesso dell'esperienza, il tessuto relazionale,
l'incontro di vissuti e culture, l'intreccio di eta' e di aspettative, la
valorizzazione del sentimento e del lavoro collettivo, pur tra molte
difficolta' e contraddizioni. Dell'esperienza dei centri sociali, a Firenze come
altrove molto differenziata, sia tra i diversi centri sia tra i modi di vivere il
senso dell'esperienza all'interno di ciascun centro, cio' che mi sembra anche
in questo caso piu' radicalmente ostile alla struttura di potere della citta'
esistente e' alla fine il contenuto materiale e concreto delle occupazioni,
quotidiano, esistenziale, anche in questo caso l'aspetto materiale: insurgent
e' la vita collettiva in quel momento, l'energia sprigionata, la pratica diretta
del cambiamento. È un punto di vista non completamente condiviso nella
sinistra alternativa, che mi premeva tuttavia qui di valorizzare e offrire alla
discussione.
Fondamentali sono infine due esperienze particolarmente rilevanti
nell'area fiorentina che abbiamo chiamato 'cantieri sociali': le esperienze
delle comunita' dell'Isolotto e delle Piagge. Si tratta di 'cantieri' che
hanno una storia e un significato differente. La comunita' dell'Isolotto ha
una lunga e nobile storia trentennale, molto conosciuta e studiata, legata
alla figura importante e decisiva di Enzo Mazzi. Qui viene ripresa secondo
un particolare punto di vista: la storia della comunita' viene guardata a
partire dalla piazza, dal modo in cui la struttura fisica e simbolica della
piazza riflette le vicende della comunita' e del rapporto della comunita' con i
poteri - religiosi, sociali e politici - della citta'.
Quello delle Piagge e' viceversa un cantiere in corso, caldo e turbolento . Le
Piagge sono un laboratorio di trasformazione fisica e sociale, un deposito di
energie positive, anche scomposte e contraddittorie, una ragnatela di
associazioni e di gruppi di volontariato. Da questo minuto e differenziato
universo di attivita' collettive - nel quale il centro della comunita' di via
Lombardia coordinato da don Alessandro Santoro esercita un ruolo
determinante - derivano microazioni trasformative, di natura puntuale,
spesso circoscritte, e tuttavia emergenti, attive. La protesta diventa
rivendicazione positiva, la resistenza diventa iniziativa e progetto, le
strategie di sopravvivenza diventano impegno diretto nella costruzione del
proprio insediamento e del proprio destino.
Che cosa accomuna queste esperienze, pur tra tante differenze della storia
individuale e collettiva dei loro protagonisti? Direi proprio il carattere
articolato e ambiziosamente completo del loro raggio d'azione. I cantieri
sociali dell'Isolotto e delle Piagge sono ipotesi di citta' all'opera, pratiche
alternative di citta' che cercano di investire tutti gli aspetti della struttura
urbana, micro-utopie in corso di realizzazione. Le attivita' della comunita'
delle Piagge riguardano per esempio la casa e l'accoglienza, il lavoro e la
formazione, la comunicazione e l'incontro, la spiritualita' e l'aiuto
materiale, e molti altri aspetti ancora. E questo complesso di attivita' e'
specificamente orientato alla riprogettazione del luogo, alla
riqualificazione del quartiere, nelle sue componenti urbanistiche e sociali .
6. Una rappresentazione faziosa e plurale
Le immagini e le storie di un'altra Firenze nascono da indagini
coinvolgenti, esposte, faziose. Sono stati utilizzati strumenti diversi, a
seconda dei casi, con qualche confusione e qualche rischio di
approssimazione: colloqui partecipati e intensi, piu' densi della semplice
intervista a testimoni privilegiati (intervista-dialogo dunque, ad alto tasso
di interazione e interpretazione); 'ricostruzioni critiche del caso' condotte
molto dall'interno; qualche volta 'osservazione partecipante' nel senso
tradizionale, complicata da una grado di adesione emotiva piu' spinta, nel
corso delle esplorazioni urbane; 'ricerche-azione' nelle quali i ricercatori
hanno partecipato attivamente ai progetti e alle realizzazioni. Alcune parti
di questo racconto assumono per certi aspetti anche una forma di
auto-descrizione.
Il punto di vista espresso non e' mai neutrale, anzi e' contaminato dalla
relazione con gli interlocutori e i protagonisti di Firenze insurgent. Molti
svolgimenti dell'indagine sono stati l'esito imprevedibile dell'interazione
con i soggetti, come nel caso di molte interviste. Le interviste-dialogo sono
state rilavorate, e poi ricontrollate con gli interlocutori, in un lavoro
comune e circolare.
Il gruppo stesso di chi ha collaborato a questo resoconto costituisce un
esempio della molteplicita' di prospettive e orizzonti della citta' insurgent e
alternativa: opinioni e atteggiamenti differenti, qualche volta un punto di
vista interno ai movimenti, quasi complice, qualche volta un punto di vista
piu' distaccato e perplesso. I materiali derivanti da questo difficile intreccio
di sensibilita' e posizioni sono quindi assai differenziati tra di loro, a volte
persino internamente contraddittori, ma abbiamo preferito rinunciare a
un lavoro di riduzione e di omologazione. È sembrato insomma che
l'articolazione di voci e di linguaggi potesse rappresentare meglio la
pluralita' di atteggiamenti e speranze di quella parte di citta' che abbiamo
cercato di indagare e comprendere.
*Articolo pubblicato in http://www.carta.org/articoli/narrazioni/insurgentCity/paba.htm
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