Arte tra museo e città, ovvero: un mini-manifesto in quattro punti
Florian Matzner
1 Negli ultimi anni l'arte contemporanea ha goduto di una popolarità inflazionistica. Non solo l'"arte giovane" è diventata oggetto di collezione e speculazione, ma si sono moltiplicati gli happening messi in scena da musei e gallerie; si può assistere praticamente ogni mese all'inaugurazione di una qualche biennale d'arte contemporanea in una qualche località del mondo: Venezia, Lione, Kwangju, San Paolo.
In contrasto con questo fenomeno, la cosiddetta "mano pubblica" va ritirandosi sempre più dal settore cultura e lascia il compito di finanziare le iniziative a sponsor e promotori. Sempre più spesso gli artisti invitati alle esposizioni devono sostenere in proprio i costi necessari alla partecipazione. Negli ultimi tempi l'arte viene manifestamente utilizzata - sullo stesso piano di eventi quali partite di calcio o concerti rock - per il sollazzo degli uomini che, nelle nostre società industrial-informatiche neoliberali, non riescono più a trovar scampo alla noia. Invece l'arte non dovrebbe rappresentare - neppure nel XXI secolo - un lusso o uno spunto per occupare il tempo libero, ma essere un agente primario della vita e del rinnovamento sociale.
2 Se è vero, quindi, che l'arte - e qui soprattutto quella contemporanea - non è solo chiamata a servire la società, la sua cultura e la sua libertà, ma - molto di più - a formarla, cambiarla e favorirne l'evoluzione, è comprensibile come ad esempio i regimi conservatori di destra si diano da fare a privatizzare, vendere e "affittare" i musei.
L'intento non è, evidentemente, quello di risparmiare denaro pubblico per consolidare il bilancio dello Stato, ma quello di rendere l'arte controllabile e livellabile, irrilevante e opportunistica come la televisione e gli altri media che si servono di immagini e carta stampata con la privatizzazione di musei e gallerie d'arte pubbliche questi governi riescono a mettere in atto rapidamente ed efficacemente il vecchio adagio "il denaro governa il mondo": l'acquirente, l'affittuario o lo sponsor di un museo pubblico potrà, in futuro, orientare i programmi del "suo" museo, decidere in merito alle scelte e valutare la qualità delle opere. Se questo accadrà, la libertà artistica non sarà più solo degradata a semplice passatempo, ma si abbasserà addirittura al livello di mezzo pubblicitario e propagandistico del nuovo "padrone di casa". In parallelo all'avanzare della privatizzazione nelle istituzioni artistiche pubbliche, si deve purtroppo constatare come in troppi casi la professionalità a livello dirigenziale sia carente: i compiti che dovrebbero essere affidati a storici e critici d'arte, a curatori e organizzatori in grado di operare ad alto livello vengono sempre più spesso svolti da funzionari amministrativi. Quindi: più professionalità, meno burocrazia!
3 Anche in futuro, quindi, i musei e le gallerie d'arte contemporanea finanziati e controllati in gran parte dalla "mano pubblica" non dovranno rappresentare un'eccezione, ma rimanere la regola. A tal fine è indispensabile però che i curatori e gli organizzatori di mostre si rendano conto delle mutate condizioni sociali, psicologiche e storico-culturali che definiscono l'arte nella società d'oggi. E' importante perciò che non siano solo i cittadini ad "andare all'arte", ad esempio visitando un museo, ma che sia l'arte ad andare ai cittadini, cioè scendere per le strade, invadere lo spazio urbano.
Occorre eliminare la contrapposizione tra "arte nei musei" e "arte negli spazi pubblici". "Arte e vita" non è una forma di antitesi i cui elementi si escludono reciprocamente, ma una coppia dialogica i cui elementi sono complementari.
4 Conclusione: l'arte contemporanea non è una "moda". Arte e cultura, nel loro significato più ampio, hanno comunque e sempre la funzione di mediare tra passato e presente, elaborando prospettive per il futuro. Per questo, musei e gallerie devono ridefinire il proprio ruolo e la propria funzione tenendo conto del radicale mutamento delle condizioni sociali intervenuto negli ultimi dieci anni. Le società industriali, almeno quelle occidentali, hanno completato la propria evoluzione in società informatiche del XXI secolo con una rapidità e una facilità impressionanti, mentre negli ultimi cinquant'anni le istituzioni che tutelano e rappresentano le attività artistiche non hanno rinnovato le loro strategie in modo sostanziale.
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