Arte e Critica Anno 15 Numero 55 giugno-agosto 2008
Intervista a Yona Friedman.
Quest’anno il Laboratorio di sperimentazione artistica e teorica del Corso superiore di arti visive della Fondazione Antonio Ratti sarà tenuto da Yona Friedman; il quale, attraverso il concetto di Public Improvisations, seguirà il lavoro di ventitre giovani artisti internazionali, selezionati da una commissione scientifica, per la XIV edizione del CSAV che si terrà a Como dal 1 al 23 luglio. L’intervista che segue è un breve dialogo con Yona Friedman sul valore e la condizione dello spazio pubblico della città contemporanea
L’idea è quella di verificare le potenzialità del progetto Musée dans la rue come interventi site specific in spazi pubblici della città di Como, diversi per identità storica e sociale. Una nuova tappa di questo progetto, originariamente commissionato dalla municipalità di Parigi, che intende diffondersi in diverse città europee.
Il Musée dans la rue è un agglomerato di cubi e parallelepipedi di materiale trasparente, sovrapposti uno sull’altro. Questi “musei di strada” saranno come delle superfici libere, a disposizione di chiunque desideri lasciarvi un segno. Un museo, dunque, come luogo pubblico e di partecipazione sociale.
Come afferma Friedman, “L’arte può essere considerata come un’espressione dell’individuo in relazione alla comunità di cui fa parte, ed è sempre indirizzata a qualcuno. Un’opera d’arte trasmette un messaggio, senza includere i codici per la sua comprensione. Il messaggio potrebbe essere anche solo per l’artista. Tutti hanno qualcosa da trasmettere, quindi siamo tutti potenziali artisti. Non esiste un oggetto che non possa essere considerato opera. Dobbiamo aiutare chiunque senta il bisogno di diventare artista a trovare un codice tecnicamente semplice per il proprio messaggio e questi codici hanno la caratteristica di essere improvvisati. L’arte inizia con l’improvvisazione, così come l’intelligenza. Durante il seminario Public Improvisations si esplora l’improvvisazione, le tecniche semplici che non necessitano di istruzioni, disegni o piani complicati, perché l’arte per essere accessibile al pubblico deve utilizzare tecniche semplici, facili da adottare.
L’arte pubblica improvvisata può essere esplorata ovunque negli spazi pubblici: nelle strade, nei boschi, in un atrio, sul lago. Il luogo stesso è parte dell’opera d’arte”.
MC Mi piacerebbe discutere con lei di alcune questioni legate alla città contemporanea. Stiamo assistendo in questi anni ad una lenta dissoluzione dello spazio pubblico. Come giudica questo fenomeno e come il suo lavoro si pone rispetto a questa situazione?
YF Credo che lo spazio pubblico non si stia dissolvendo, è semplicemente usato in modo diverso rispetto al passato. Oggi la maggior parte della superficie è destinata al traffico. Una semplice conseguenza dello stile di vita contemporaneo. Mia figlia, ad esempio, vive a Los Angeles. Tutti i suoi spostamenti al di fuori dell’abitazione avvengono in macchina. Le persone, in California, non camminano per il piacere di camminare, come diversamente accade quando sono all’estero, da turisti. In passato lo spazio pubblico era usato principalmente per camminare, per incontrare persone. Oggi molti camminano all’interno dei supermercati. È qui che incontrano i loro vicini. Una volta questa era la funzione del mercato. Le città si sono adattate alla nuova situazione; così sono nati spazi semi-pubblici, come i café-terraces, i supermarket, ecc.
MC È possibile secondo lei pensare a nuove libertà per i cittadini di questi enormi agglomerati urbani? E quali potrebbero essere le strategie utili da sperimentare?
YF “Enorme agglomerato” è solo un concetto sulla carta, sulle mappe cittadine, significativo solo per le amministrazioni. Nella realtà le persone vivono in “villaggi urbani”, aree ristrette dove si sentono “a casa”. Le persone non vivono a New York, ma a Forrest Hills, o a Lower Westside. Fuori dal loro villaggio urbano si sentono come all’estero, non conoscono le persone, non conoscono il luogo. Il “villaggio urbano” è un fattore emozionale, una sensazione di sicurezza.
Cerco di dare corpo, a Parigi o altrove, ad una operazione semplice basata su questo concetto: lo chiamo “street museum”. È un piccolo insieme di vetrine, scatole trasparenti che contengono ciò che le persone di quel quartiere vorrebbero mostrare o vedere: opere d’arte, fotografie, ecc. Occupa poco spazio, più o meno quello che basta per parcheggiare una o due macchine. Una sorta di bacheche pubbliche. Un’altra operazione basata su un’idea simile è quella del “graffiti museum”, che consiste nel tendere semplici superfici trasparenti, costituite da morbidi teli di plastica, su lampioni, tronchi d’albero o altri supporti analoghi. Su queste superfici la gente disegna graffiti. Una volta riempite, vengono conservate come una sorta di archivio dell’arte dei graffiti e sostituite con delle nuove.
MC Per tutta la sua vita ha cercato di costruire, tanto nei progetti quanto nelle trattazioni teoriche, nuovi scenari per le città contemporanee. Crede ancora nella possibilità di rivoluzionare i processi di sviluppo della città stessa?
YF Non intendo costruire nuovi scenari. Sono un semplice osservatore dei processi in corso e provo a ipotizzare le loro possibili conseguenze. Non ho mai creduto alla rivoluzione, bensì a processi di sviluppo del tutto casuali che crescono lentamente. Molte di queste intuizioni sono divenute realtà, ad esempio la Continent City: una rete di città europee connesse attraverso un rapido sistema di collegamenti. Un’altra è il disagio pubblico a tutti i livelli sociali nei confronti dell’uniformità (l’insorgere delle periferie parigine è solo un esempio). Sia in campo architettonico che in quello della comunicazione, sto cercando di sviluppare tecniche prendendo in considerazione questo aspetto. Indubbiamente l’architettura “spontanea” o “selvaggia” è un fatto globale che si manifesta soprattutto nei quartieri popolari, nelle favelas, nelle bidonville. Ma la stessa cosa avviene, ad altro livello sociale, nello scenario delle vetrine commerciali. Il paesaggio urbano è effettivamente una realtà non pianificata e non pianificabile. Si pensi alle pittoresche café-terraces delle Ramblas, della Riva degli Schiavoni o agli Champs Elysées. Senza questi spazi tutto appare totalmente differente, come gli Champs Elysées alle quattro del mattino.
MC La spinta teorica nei confronti della città sembra ormai essersi esaurita. L’architettura sembra aver perso la capacità di visualizzare scenari alternativi e di rispondere a richieste precise, legate a programmi funzionali o a necessità politiche. Da cosa deriva tale stato di difficoltà?
YF L’architettura è sempre stata orientata verso la mediocrità, ma non intendo considerare tale termine nella sua accezione negativa, dal momento che generalmente la mediocrità diventa quello che noi chiamiamo “stile”. Le città sono sempre state caratterizzate da mediocrità architettonica, arricchita da elementi spontanei accidentali. La mediocrità urbana diventa, oggi in particolar modo, un’attrattiva turistica.