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Flash Art Italia (1999 - 2001) Anno 32 Numero 216 Giugno Luglio 1999



Grazia Toderi

M. Gioni e G. Maraniello

Case di bambole



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I lavori che ti rappresentano alla Biennale di Venezia sono Il decollo e Il fiore delle mille e una notte...

Grazia Toderi: Il decollo è l'immagine di un enorme stadio nella notte, visto dall'alto e illuminato da fasci di luce intermittenti che creano sul suo campo una specie di grande stella luminosa. L'immagine ruota su se stessa all'infinito. Una grande energia scaturisce dal fragore del tifo della folla. Questo rumore a volte si avvicina, a volte si allontana, come portato via dal vento e proprio per questo allontanarsi il titolo è Il decollo. Mi interessava indagare il rapporto tra la massa e l'individuo, tra una fruizione collettiva di un evento, di cui l'individuo diviene parte, e la sua visione individuale, distante. La lontananza è un aspetto che avevo già affrontato in lavori come Prove per la luna, Nata nel'63, Terra, Centro, Il cratere 8, Ragazzi caduti dal cielo, ed è una lontananza non solo nello spazio, come quella dell'astronauta e del veicolo spaziale, ma una lontananza anche nel tempo, e nella mente.
Anche Il fiore delle mille e una notte ha la sua distanza, che è quella di un Oriente solo "immaginato". Il video è nato come scenografia per un balletto di Virgilio Sieni ed è ispirato all'opera di Pier Paolo Pasolini e ambientato a Baghdad, luogo d'incontro di fiabe, deserti e astronavi. Non ho mai visto Baghdad se non in fotografia, al cinema, o in televisione; in ogni caso il concetto di realtà si trasforma continuamente, proprio come Pasolini fa dire alla principessa Dunya dal principe Tagi: "...la verità intera non sta in un solo sogno. La verità intera è in molti sogni...". La realtà si rompe come uno specchio in tanti frammenti. Il numero "milleuno" è invece un simbolo dell'infinito, una potenziale progressione. Per la mia opera ho deciso di lavorare su un titolo e otto notturni, un numero, l'otto, che evoco spesso nei miei lavori proprio per il suo rapporto con l'infinito (°).

I titoli delle tue opere costituiscono da sempre un aspetto fondamentale del lavoro.

Grazia Toderi: È vero, per me il titolo è come un bel portale: è la soglia del lavoro, la sua presentazione, ed è anche una chiave interpretativa privilegiata, quella dell'artista. A volte ho rubato titoli meravigliosi a grandi scrittori, come Zuppa dell'eternità e luce improvvisa, preso da Thomas Mann, o Autoritratto con problemi problemi, da Ingeborg Bachmann. Comunque il titolo è l'inizio di un racconto, l'indicazione del punto di partenza di un sentiero, e spesso si lega indissolubilmente al lavoro diventandone parte integrante. Per Il fiore delle mille e una notte il titolo è diventato uno dei notturni stessi, con un 10 (o uno 01) visto come in uno specchio ad angolo, aperto sullo spazio come un libro. Mentre lavoravo al "fiore" pensavo moltissimo a un altro titolo che ho molto amato: 2001: Odissea nello spazio per le sue analogie: il 1001 e il 2001, le notti e lo spazio, il "fiore" e l'Odissea... In uno dei miei notturni lo spazio di un teatro diventa come l'anello dell'astronave di 2001: Odissea nello spazio.

A proposito di 2001: Odissea nello spazio, in parecchi tuoi video si chiama in causa la fantascienza. Che valore ha questo riferimento?

Grazia Toderi: Mi interessa la ricerca di una lontananza. Mi emoziona pensare a leggi fisiche diverse da quelle terrestri, a gravità differenti, a orbite che creano giorni lunghi tre ore, che si alternano a notti velocissime.
Anche i lavori di qualche anno fa avevano questo riferimento allo spazio. In Zuppa dell'eternità e luce improvvisa, del 1994, il mio corpo era immerso in uno spazio con una densità e una gravità differente, che lo faceva muovere lentissimamente, come fosse sulla Luna; in Soap, del 1993, un bambolotto che girava su se stesso era visto attraverso l'oblò di una lavatrice, sigillato come in una navicella; poi nel 1996 ho realizzato Prove per la luna e Nata nel '63, due video legati tra loro da una stessa storia, il viaggio sulla Luna. Credo che proprio l'attesa da bambina per qualcosa di meraviglioso in quella notte del '69 mi faccia guardare ancora in quella direzione. Guardare lo spazio significa continuare a cercare una risposta alle nostre domande primigenie e ridimensionare la priorità del quotidiano dell'essere umano. Così ciò che vedo è filtrato da questo modo di "essere nello spazio", e anche il lancio di una palla o una partita di calcio diventano visioni di ordine cosmologico e fisico.

Parti sempre da pre-testi, ossia testi (romanzi, poesie, film) che ispirano il tuo lavoro?

Grazia Toderi: Non parto sempre da testi o pretesti, a volte parto da esperienze e ricordi, che cerco però di non far diventare autobiografia. Il testo, il film, o l'immagine d'archivio mi interessano per il loro essere al contempo memoria collettiva, storica e personale. Spesso utilizzo inquadrature fisse per avere una possibilità di tempo infinito, dove tutto rimane uguale, pur nel movimento. Questo senso dell'infinito appartiene ovviamente alla pittura, che rimane sempre uguale nel tempo. Del video invece amo la possibilità di lavorare su un movimento, anche se talmente uguale a se stesso da annullarsi, e la facoltà di giocare con la luce, abbandonando completamente la materia e l'oggetto dell'immagine. La luce che emana dal video è vibrante, quasi tremula, completamente diversa da quella del cinema. Lavorare sulla proiezione a parete per me non è una questione di ingrandimento, ma l'occasione di entrare in un ambiente che assume un unico valore cromatico che ti avvolge nello stesso timbro di luce dell'immagine. Le inquadrature sono ancora semplici, una ripresa fissa, senza movimento di camera, che la maggior parte delle volte giro sul tavolo di casa mia. Quello che si è ampliato è invece la possibilità di lavorare anche in postproduzione Tuttavia voglio comunque mantenere un aspetto "amatoriale" del lavoro, in modo che l'immagine manifesti sempre un aspetto vicino allo sguardo stupito di un bambino.

Ritieni che il lavorare con inquadrature fisse possa collocare la videoarte in una più stretta relazione con la pittura o con la fotografia?

Grazia Toderi: Assolutamente no. Innanzitutto la videoarte non esiste, esiste un lavoro, che o è arte o non lo è. Se lo è, ha necessariamente una strettissima relazione con la storia dell'arte e con le altre opere, al di là del tipo di tecnica usata. Io utilizzo l'inquadratura fissa per collegarmi a un "tempo infinito" come quello della pittura, non per avere una più stretta relazione con essa come tradizionale pratica. Credo che le relazioni siano basate sulle poetiche e che quindi a volte ci possano essere rapporti più forti tra artisti che usano tecniche differenti che tra artisti che usano lo stesso mezzo.

E, nel tuo caso, quali sono gli artisti che senti più vicini?

Grazia Toderi: Penso che esistano ancora grandi differenze tra arte europea o americana, inglese o italiana. Ad esempio, mi piace molto Bruce Nauman, ma non lo sento vicino. Ho invece un grande amore per Lucio Fontana, soprattutto per il suo uso della luce. Poi penso a un titolo di Marisa Merz, A occhi chiusi gli occhi sono incredibilmente aperti, e ai tentativi di De Dominicis di lanciare sassi per formare cerchi quadrati. E poi Giulio Paolini, con i collage, il Belvedere. Mi perdo in un labirinto di altre opere e artisti.

Recentemente hai presentato delle proiezioni strutturate come dittici o trittici.

Grazia Toderi: I dittici e i trittici sono nati soprattutto dalla voglia di giocare a creare leggi fisiche differenti, un po' come Alice attraverso lo Specchio. Nel caso di L'atrio ad esempio volevo riprendere lo stesso ambiente di una bellissima sala del Castello di Rivoli, detta Sala di Diana e Apollo, nella quale ci sono due grandi nicchie rosse decorate, perfettamente simmetriche, che danno su due porte ora chiuse. Volevo giocare a palla con il castello. Così nel video di sinistra una figura femminile seduta di spalle lancia una palla rossa che attraversa una porta e viene inghiottita da uno spazio nero per tornare, dopo qualche secondo, tra le mani della donna. Nel video di destra una figura maschile lancia delle palline in aria come un giocoliere, tracciando traiettorie e orbite. Nel video di destra impera la legge del caos e dell'imperfezione, in quello di sinistra quella della perfezione di un gesto che si ripete all'infinito. Sul gioco e su leggi fisiche impossibili era basato anche l'altro dittico esposto al Castello di Rivoli, I gemelli dei castelli, o quello esposto alla Galleria Giò Marconi, Orbite, nel quale due tiri di trottola diventavano due orbite ellittiche perfette e infinite.

Trottole, palle, giocolieri, ma anche fatine, e bambole: che valore ha questa componente ludica e infantile nel tuo lavoro?

Grazia Toderi: L'infanzia mi interessa solo come rapporto con lo stupore e la conoscenza, come tempo di esperienza di una dimensione ancora sconosciuta. Il gioco è la prima relazione che si instaura per conoscere il mondo. Attraverso il gioco apprendi le leggi del mondo. La palla è un'enigmatica rappresentazione del mondo e dell'universo, oggetto assoluto con il quale ognuno ha giocato da piccolo. La palla si lancia in aria, piccolo pianeta che sfida la gravità; le trottole creano anelli dinamici come orbite, i piattini del giocoliere sono dischi volanti... Inoltre il gioco è sempre la sfida di un limite, ha una grande tensione idealistica e utopistica, oltre ovviamente a una enorme componente creativa.