Oreste Zero
Oreste Uno
''come spiegare a mia madre che...''
Ferrovie Silane
"Piacere, Picasso!"
UnDoOreste
Una proposta per il P.S.1
Orestecinema
Bacinonapoli
/Out of the blue/
Oreste Due
Oreste alla Biennale
Democracy!
Oreste Tre
Organismi d'arte indipendenti
Oreste Provisions
ORESTE_NOT_PARTY
Progeti Oreste Promotori










Oreste Cucina

QUINDICI CENE
Tonino Soranno, professore presso l'Istituto Alberghiero di Matera, studioso degli usi alimentari collegati soprattutto a temi quali il territorio, la donna, l'identità, la filosofia, la letteratura e l'arte, ha collaborato con Ferdinando Mazzitelli e Matteo Fraterno.

In cucina un cuoco professionista, scelto tra le persone del luogo, costituisce un elemento di garanzia per gli aspetti igienico-sanitari e di collegamento tra gli artisti partecipanti al workshop e il territorio (reperimento ingredienti, collegamento con i fornitori, contadini, produttori ecc.). Tutti i partecipanti a Oreste 3 hanno potuto, individualmente o in gruppi, proporre uno o più progetti di lavoro sul tema del cibo. Sono ricerche intorno a ricette (locali o no), alle modalità di preparazione e di presentazione del cibo, alle materie prime e agli ingredienti, in rapporto alle stagioni e alle caratteristiche locali, e così via.

Ciascuno di tali progetti o segmenti di ricerca ha trovato la sua conclusione in una delle quindici cene della residenza. La cucina e' stata impiantata in Abbazia e, dopo i recenti lavori, vi sono spazi nuovi e puliti, nonche' sale per riunioni e per mangiare, oziare ecc.

Coordinatori del progetto sono: Ferdinando Mazzitelli, Matteo Fraterno, Filippo Falaguasta. Questo gruppo collabora con Tonino Soranno e con il cuoco.

Ferdinando Mazzitelli, fmazzitelli@tiscalinet.it


ORESTE CUCINA

La gestione del cibo in una residenza con molte decine di partecipanti pone problemi organizzativi seri. Una soluzione può essere fornita da risorse esterne come catering o ristoranti che si occupano dei pasti. Siamo convinti che la cultura del cibo e la cucina rappresentino basi comunicative fortissime, specie se collegate ad attività che guardano al territorio, alle relazioni con i "locali", all'aspetto storico, antropologico e di stratificazione culturale. Franco Caputo, durante i suoi innumerevoli tour all'interno dell'abbazia, racconta che gli scavi, fatti in corrispondenza della cucina dei monaci, hanno smentito clamorosamente l'idea che nei conventi vigesse cosi' fissa la "regola" di astenersi o privarsi del cibo. Gli innumerevoli gusci di mitili ed ostriche, ossa animali, mettono in risalto il fatto che l'alimentazione dei Benedettini era ricca e variegata, senza contare le immense cantine dove erano stipati quintali e quintali di vino. Nello stesso modo ci si puo' avvicinare alla cucina di questa zona: la Basilicata non fa parte delle regioni italiane culinarie per eccellenza; a parte L'Aglianico del Vulture non esiste un altro vino DOC, non esistono piatti "famosi".

Questa condizione, paradossalmente, amplifica le scoperte del palato:
Frisciell cu such de brasciol: fusilli fatti in casa con il sugo di carne (cavallo o agnello);
Le scorz d'amennel con le vruocc'l e pane fritt: pasta arricciata con le dita (le scorze delle mandorle) con i broccoli e le molliche di pane soffritto;
Past e cicuredd con u cas'ricott: pasta (in casa) con le cicorielle selvatiche e cacioricotta;
Past e cicer cu u spunsal fritt: pasta e ceci con la cipolla selvatica fritta;
Le carcioff'l arr'stut: i carciofi giganti arrostiti sotto la brace;
A cialledda: pane raffermo, pomodori appesi macerati in acqua, olio e aromi servito freddo;
A f'cazz vuldat: la focaccia ripiena di cipolla, uva passa e peperoni macinati;
Le mul'gname sott'olio: le melanzane sotto olio (bollite nell'aceto e pressate);
U' cutturiedd: carne di agnellone o capra con legumi e aromi cotti per ore dentro un tegame di terracotta quasi coperto dalla brace;
L'oss'r du cavadd: le costine di cavallo alla brace (da gustare nelle tipiche macellerie del paese);
Le gnummriedd: gli involtini con interiora avvolte da salvia e alloro;
A capuzzedd: la testa di agnello a metà arrostita nel forno;
Le intr': le interiora arrosto;
Le butt'un: i testicoli del toro arrosto;
U pan cuott: pane cotto in acqua con verdura uova e aromi;
Le sparg' l' lampagiun e le cicuredd: gli asparagi, le cipolline e le cicorielle selvatiche;
Le set', le marangel, l' ciras: melagrane, arance, ciliegie;
L' fich mpurnat: i fichi al forno con le mandorle;
Le cas'vucch (cucibocca), cartagliat, le muscuott'l: dolci caserecci
U r'soli'e: liquore aromatizzato alle erbe.

Termini impronunziabili nascondono sapori antichi con poche variazioni ed elaborazioni nel tempo, che si basano soprattutto su processi naturali. Non e' un paradiso ma si e' piu' facilitati nel trovare degli alimenti sani che poi costruiscono "la sana cucina". Ecco, se si puo' trovare una costante caratteristica in questa cucina e' proprio questa. Le giornate di studio, lavoro, arte che "girano" attorno alla cucina, confluendo nelle cene certamente "osservano" questi aspetti, senza dimenticare quello che ognuno degli ospiti si porta dietro. In questa fusione di "stili" ognuno dei partecipanti e' chiamato a cimentarsi alla scoperta dei propri segreti e di quelli del luogo che ospita.

A proposito di segreti e ospitalità vorrei citare un breve passo da un saggio di Gabriella Berto: "Freud Heidegger Lo spaesamento", Studi Bompiani, Milano 1999 (p. 247):
Un segreto […] non rientra nell'ambito del sapere, […] non può mai essere posseduto, ma soltanto ospitato e accolto. […] L'aspetto più interessante di tale ospitalità è l'intrecciarsi in essa del livello etico - forse il più immediatamente coglibile - con quello teorico, in un intreccio che si mostra come inscindibile: "L'etica dell'ospitalità", nella sua capacità di accogliere l'altro, il segreto dell'altro, fa tutt'uno con la scoperta della sua estrema prossimità, della sua immanenza al luogo dell'identità. Nel momento in cui l'altro varca la soglia, questa stessa soglia si mostra come meno rigida e determinata di quanto potesse sembrare.

Mangiare il luogo (1)
Spesso ci capita quando siamo in viaggio, lontano dalle nostre abitudini di conoscere un posto attraverso il cibo, attraverso pietanze e bevande che l'arte enogastronomica di quel luogo è stata capace di produrre nel corso della propria storia.
Scoprire dei sapori inconfondibili e indissolubilmente legati al luogo da cui provengono, a volte ci riporta in quel luogo con improvvisi ricordi durante la nostra quotidianità. Quante volte un posto, un'esperienza, un fatto, riemergono in noi attraverso un odore, un suono, un'immagine, un gesto? Analogamente un sapore ci riporta ad un luogo e a quel vissuto.
In una comunità il cibo non è solo un "oggetto" di sussistenza, un bisogno fisiologico, ma un "luogo" caratterizzante, elemento d'identità e di memoria viva. Mangiare in un luogo, a volte vuol dire mangiare il luogo e portarselo dietro con se'.

Cibo e non-luoghi
Il cibo diventa nella memoria personale il collegamento privilegiato con il posto, ogni piatto rispetto ad ogni luogo. E' possibile in quest'epoca di massificazione anche dal punto di vista alimentare, rimanere integri, puliti? In un recente libro che era regalato nei McDonald's, i due autori Mario Resca e Rinaldo Gianola tracciano la storia di questa catena di fast food in Italia: "A Roma non vogliono il ristorante in piazza di Spagna perche' degrada il centro della capitale. A Firenze, negli anni Ottanta, politica e commercianti bloccarono l'apertura di un ristorante McDonald's. [...] in Italia e' stata fatta a proposito una legge per impedire gli insediamenti di McDonald's nei centri storici. [...] Antonio Bassolino, sindaco di Napoli, Enzo Bianco, sindaco di Catania, Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, e molti altri, hanno più volte sollecitato McDonald's ad investire nel mezzogiorno, a lanciare nuovi locali per ridare socialità ad aree difficili. I ristoranti McDonald's sono sempre aperti [...] tendono ad inserirsi nella comunità locale, partecipano alla vita sociale". Al di la' del dato geografico che appare (Sud e Nord) e su cui riflettere, non mi sembra, infatti, solo un discorso commerciale e di sviluppo sociale ma anche un attacco alle proprie tradizioni. Certo, la nostra alimentazione si colloca oggi in una trafila tecnica industriale funzionale di cui purtroppo bisogna tenere conto anche se costringe a adattarsi, appiattendo i nostri sensi anche quello del gusto. Ci stiamo sempre di più abituando a mangiare le stesse cose in posti diversi, gli stessi ingredienti e gli stessi sapori in qualsiasi posto del mondo. Tutto ciò contraddice uno dei canoni fondamentali della cucina tradizionale e locale, in pratica la possibilità, come avviene soprattutto al Sud, di piatti totalmente diversi anche tra posti e paesi distanti qualche chilometro. Alla fine "un piatto non e' mai uguale a se stesso" anche nello stesso posto, nella stessa cucina. (1) Testo tratto da "Souvenir", di Mazzitelli e Soranno, opera sulla cucina a quattro mani, Lecce 1999.

A Montescaglioso, paese che da sempre si regge sull'agricoltura, tempi e cibi sono dettati dalle attività lavorative, dalle stagioni, dai raccolti e dalle scorte. La mattina in campagna è spezzata da "a' fedd'", la fetta di pane con pomodori e quello che rimane della sera precedente. A Monte si mangia, specie di inverno, nelle prime ore della sera; la cena è il principale pasto della giornata, seguito da "nu gir mienz' a vianov o mienz a chiazz'", un giro per la via nuova, o in piazza per incontrare le persone per gli affari, gli amici e naturalmente digerire con un bel caffè. Anche i romani avevano l'usanza di mangiare il loro pasto principale di sera: la cena, preceduta dal bagno nelle terme, era in prevalenza trascorsa in compagnia di amici che si riunivano intorno ad una tavola ricca o modesta secondo le disponibilità economiche del padrone di casa, ma a volte, quando queste erano scarse, erano gli stessi invitati a portare il loro contributo di cibi. La durata della cena variava in rapporto alla ricchezza della lista, delle attrazioni offerte e della loquacità dei convitati. La cena terminava d'abitudine prima di notte. La consuetudine di terminare presto la cena non era soltanto una questione morale, conforme alla tradizione degli antichi, ma si trattava anche di essere in buona forma per la giornata successiva, che iniziava all'alba.
Nelle notti montesi, spesso, compagnie di giovani si dirigono "da nu for", in un fuori, in una campagna in qualche piccola casa o in una masseria e tutti portano "ce' n' ca ste'" quello che c'è, prelevato nottetempo dalla dispensa casalinga; e ancora adesso questa è un'usanza molto viva. Questo riferimento serve a sottolineare che la cucina oltre a trasportare "modi" attraverso diverse epoche, in questo specifico caso tramanda i rituali, la cura, il rispetto per gli ingredienti e per la loro successiva preparazione, la necessita di associarsi di comunicare, anche le macellerie diventano luogo di incontro tra paesani. Questi passaggi si sviluppano attraverso i racconti orali, le novelle o anche attraverso "a' cupa cupa", la serenata notturna per le feste natalizie: i musicisti, attraverso strofe e musica, chiedono all'amico di entrare per assaggiare "a' vutt'cella d'lu mier russ'" la botte del vino rosso o i dolci di quel periodo.

Ferdinando Mazzitelli, fmazzitelli@tiscalinet.it

1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 | 7 | 8 | 9 |