Paola Capriolo è nata a Milano nel 1962. Dopo aver esordito nel 1988 con la raccolta di racconti La grande Eulalia (Feltrinelli, Premio Giuseppe Berto) ha pubblicato i romanzi Il Nocchiero (Feltrinelli, Premio Selezione Campiello, Premio Rapallo), Il doppio regno (Bompiani 1991, Premio Grinzane Cavour), Vissi d'amore (Bompiani 1992), La spettatrice (Bompiani 1995, Premio speciale della giuria Rapallo-Carige 1995), Un uomo di carattere (Bompiani 1996, Premio Gandovere Berlucchi)e Barbara (Bompiani 1998) la raccolta di fiabe La ragazza dalla stella d'oro (Einaudi 1991), il saggio L'assoluto artificiale. Nichilismo e mondo dell'espressione nell'opera saggistica di Gottfried Benn (Bompiani 1996) e il racconto Con i miei mille occhi, musicato da Alessandro Solbiati (Bompiani - Suvini Zerboni 1997). Sue opere sono tradotte in Danimarca, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Olanda, Portogallo, Spagna, Stati Uniti e Svezia. Collabora alle pagine culturali del "Corriere della Sera" e svolge attività di traduttrice, specie dal tedesco.


 

PAOLA CAPRIOLO
IL MISTERO DEL TRENO SCOMPARSO

racconto di viaggio
7 fermate

I


Sembra un titolo promettente, Il mistero del treno scomparso. Cerco un posto a sedere non troppo vicino alle porte in modo da non essere disturbato dal flusso dei passeggeri che salgono e scendono e apro il libro, giù pregustando in cuor mio i fasti gradevolmente appannati di un vecchio treno internazionale, poco importa se Train Bleu o Orient Express, dove nello stesso scompartimento siedono fianco a fianco un baronetto inglese e una principessa russa, un'ereditiera americana e un avventuriero ben noto alle stazioni dI polizia di tutt'Europa che nasconde la propria mancanza di scrupoli dietro un contegno raffinato e un altisonante pseudonimo: il più improbabile, ovviamente, come assassino, e del resto almanaccare sull'identità dell'assassino è prematuro quando ancora manca la vittima e anzi, a dire il vero, del Mistero del treno scomparso non ho letto nemmeno una riga preferendo anticiparne la trama nella mia fantasia. Comunque, se come promette il libro è davvero un giallo, una vittima e un assassino devono pur esserci, sebbene a giudicare dal titolo sembri quasi che la vittima sia il treno stesso il quale, contro tutte le regole della verosimiglianza ferroviaria, va incontro al bizzarro destino di scomparire.
Vorrei chiarire subito il mistero, immergermi nella lettura, ma il mio corpo è come attraversato da una lunga onda crescente e capisco che il convoglio sta frenando. Si ferma, comunicando alla mia schiena uno scatto improvviso, e io getto uno sguardo ai cartelli della fermata: fortunatamente è un luogo piuttosto remoto dalla mia destinazione, ho ancora tutto il tempo di cominciare il libro e forse persino di finirlo, se non mi lascio distrarre troppo né dalle piccole, consuete vicissitudini di questo viaggio sotterraneo, né dalla mia smania di correre avanti con l'immaginazione per poi dover tornare sui miei passi e inchinarmi alla volontà dell'autore che, quasi sempre, ha disposto le cose in modo completamente diverso.
Leggiamo, dunque, con metodo e disciplina. A quanto pare la storia è raccontata in prima persona, nelle righe iniziali colui che dice Io descrive la sensazione provata nel momento in cui il treno si ferma, la descrive come una lunga onda crescente che gli attraversa il corpo, seguita da uno scatto improvviso. L'autore, chiunque sia, non teme di largheggiare nell'uso degli aggettivi, ma adesso la critica stilistica è l'ultima delle mie preoccupazioni Sono colpito piuttosto dalla strana coincidenza tra i miei pensieri di poco fa e le parole scritte da questo sconosciuto: probabilmente le stesse sensazioni tendono a ispirare le stesse frasi, e probabilmente (però, chi l'avrebbe mai detto?) la frenata del Train Bleu o dell'Orient Express somiglia in tutto e per tutto a quella del più modesto convoglio metropolitano.
Ma forse mi sbaglio, forse fin dal principio la mia fantasia è corsa troppo avanti su una falsa pista, perché adesso il personaggio che dice Io sta parlando delle "piccole, consuete vicissitudini di questo viaggio sotterraneo". Sono le sue parole testuali. Sotterraneo? Come sarebbe? Un traforo, tento di illudermi, o forse un lungo tunnel sottomarino che naturalmente implicherà un'ambientazione diversa, più moderna, niente avventurieri d'alto bordo e principesse russe ma re dei computer, potenti capimafia, e magari una di quelle figure stranote eppure inafferrabili che vengono solitamente designate con l'appellativo di top model. Niente di male, ci si può adattare, sebbene personalmente io preferisca gli anni Trenta. Ma anche questa illusione circa il tunnel o il traforo è destinata ad essere spazzata via con estrema rapidità: come se non volesse lasciar dubbi circa la natura del suo viaggio, ora il personaggio che dice Io rivela di essersi scelto un posto non troppo vicino alle porte, in modo da non venir disturbato dal flusso dei passeggeri che salgono e scendono.
Con un sospiro rassegnato dico addio ai velluti dell'Orient Express, alle avveniristiche carrozze dell'Eurostar Parigi-Londra davanti ai cui finestrini sfilano paesaggi deformati, resi irriconoscibili dalla velocità. Niente di tutto questo, purtroppo, niente baronetti e nemmeno top model, persino la presenza di un capomafia risulta oltremodo improbabile, pazienza, faremo di necessità virtà: resta pur sempre il titolo promettente, e la curiosità di scoprire come possa un treno scomparire risulta addirittura accresciuta dalla circostanza che si tratti di un treno metropolitano il cui tragitto, a meno di qualche imprevedibile colpo di mano da parte dell'autore, dal principio alla fine si svolge entro pareti di cemento che lo delimitano saldamente.
Il treno si ferma di nuovo, sento l'onda nella schiena, ma fingo di non sentirla: ne sono del tutto disamorato da quando ho visto la mia descrizione, che credevo unica e irripetibile come tutto ciò che provo nella mia qualità di individuo, ripetuta pari pari da quel personaggio che senza alcun diritto si arroga l'uso del pronome Io. Distrattamente leggo il nome della fermata. "S. Agostino", così c'è scritto, ed è indubbiamente un bel nome. La prossima fermata, come tutti sanno, è S. Ambrogio: mi è sempre sembrato uno dei più felici miracoli della toponomastica che questi due padri della Chiesa, legati in vita l'uno all'altro, lo siano anche nel nostro remoto presente grazie al tracciato di una linea metropolitana. Un giorno Agostino, in questa stessa città le cui viscere sto attraversando, vide Ambrogio che leggeva in silenzio, senza declamare. Se ne meravigliò, lo sconcertava che la parola potesse condurre una vita assolutamente interiore, disincarnata, priva di un corpo sonoro, proprio come l'aveva a lungo sconcertato l'idea di un Dio che fosse puro spirito privo di materia.
Ma sto divagando, questi alti misteri mi conducono troppo lontano dal mistero più piccolo, ma nel suo piccolo pur sempre affascinante, del treno scomparso. Se si decidesse, almeno, a scomparire! Invece tutto ciò che succede (e siamo giù a pagina 6) è che il molesto personaggio Io solleva distrattamente lo sguardo per leggere il nome della fermata e legge "S. Agostino". Guarda un po': un'ambientazione meno esotica non la si poteva trovare. é indubbiamente un bel nome, si sente in dovere di aggiungere; la prossima fermata, spiega poi con piglio didascalico, è S. Ambrogio: tante grazie, lo sapevo anch'io. S. Agostino e S. Ambrogio, due padri della Chiesa così strettamente imparentati, due fermate così vicine che tra l'una e l'altra non vale neppure la pena di sedersi, così vicine che giù quando il treno è ripartito da S. Agostino ho visto i viaggiatori diretti a S. Ambrogio appostarsi intorno alle porte in attesa della frenata successiva.
Danno segni di impazienza, i viaggiatori, rompendo l'abituale riserbo in uso fra estranei che si trovano a condividere per breve tempo la stessa vettura parlottano tra loro in un tono metà stizzito, metà disorientato, non so cosa dicano, non mi importa di saperlo, ora voglio soltanto girare la pagina e proseguire la lettura, e giro la pagina, ma non posso proseguire la lettura perché a un tratto, in modo del tutto inaspettato e prima che il mistero del treno scomparso sia non dico chiarito, ma anche solo enunciato nei suoi termini, mi trovo di fronte un foglio bianco.
é un imbroglio bell'e buono, mi dico, appena sceso sporgerò reclamo. Dove siamo, a proposito? Devo aver perso il conto delle fermate, da un pezzo non sento più nemmeno l'onda nella schiena, potenza della mente, mi dico, potenza dell'astrazione, potenza di quello spirito che solo in via secondaria si degna di incarnarsi nella materia, perché certamente di frenate ce ne sono state ancora parecchie, il treno si è giù fermato ed è giù ripartito più di una volta, da S. Agostino a S. Ambrogio erano solo pochi secondi e adesso dovremmo essere all'incirca...
Eppure quei viaggiatori assiepati intorno alle porte sono lì da un pezzo, sono sempre gli stessi, e ormai non si può più dire che parlottino, si scambiano a voce alta frasi concitate in cui i nomi dei due padri della Chiesa ricorrono con singolare frequenza. "Va troppo piano", dice uno. "Troppo piano?", replica un altro. "Ma se sta correndo come un treno!". "é un treno", puntualizza una signora, ma la sua voce è incrinata da un tremito. "Se corre, come mai non arriva? Da S. Agostino a S. Ambrogio sono solo pochi secondi", osserva un quarto manifestando quella stessa, petulante tendenza a rubarmi le parole che giù avevo potuto notare nel personaggio che dice Io.
Pero c'è del vero, penso con improvvisa inquietudine: se corre, come mai non arriva? E per correre corre, non c'è dubbio, a quest'ora dovrebbe aver giù percorso dieci volte il breve tratto che separa le due fermate. Corre a tal punto che il paesaggio sotterraneo di cui si dovrebbe pur scorgere qualcosa attraverso i finestrini risulta come cancellato, non si vede nulla, solo una vibrante oscurità, e al tempo stesso, sul vagone non si avvertono scosse né ondeggiamenti, sicché chiudendo gli occhi si ha la sensazione che il treno sia immobile.
Nervosamente volto la pagina bianca del mio libro, e trovo un'altra pagina bianca. Insisto, insisto ancora, e le pagine bianche si susseguono, immancabili, chiuse nella loro assoluta reticenza. Chissà di che parlerebbero, se parlassero: di principesse, di ereditiere americane, o forse di quanto sta accadendo qui sotto, in questo luogo tutt'altro che esotico, su questo treno che continua a correre senza che mai si possa avvertire nella schiena l'onda liberatrice di una frenata. Ora qualcuno grida tra i passeggeri, qualcuno si accascia sul sedile. Io sfoglio il mio libro fino all'ultima pagina bianca, lo richiudo, torno a guardare la copertina e leggo il titolo: Il mistero del treno scomparso. Allora decido di alzarmi e di raggiungere la porta più vicina facendomi largo nella calca, perché voglio essere tra i primi a scendere, se mai questo treno si fermerà.