Behind ospita interventi, riflessioni e interviste per seguire da vicino progetti e iniziative attraverso la voce dei protagonisti. Behind coglie e trasmette segnali, reazioni e tendenze nell'ecosistema dell'arte contemporanea.
a cura di Dario Bonetta



6/04/2005

 
Dissertare/Disertare 
 
 
Abitare la possibilita'

 
   
Silvia Litardi e Gaia Cianfanelli intervistano Lisa Parola  
 
   
dal libro Alice nel paese delle meraviglie













 
Nel 1996 esce il libro RRRagazze che hai scritto insieme ad Ivana Mulatero. E' uno dei primi testi che si presenta come "uno strumento di riflessione sul lavoro" di alcune artiste attive in Italia a meta' degli anni novanta. Da cosa nasceva quell'idea e perché?

Nel 1996 Ivana Mulatero ed io decidemmo di ascoltare le voci di artiste che stavano lavorando in quegli anni. Alcune di loro erano gia' conosciute, altre erano ai primi anni di ricerca, nostre coetanee. Decidemmo di utilizzare uno strumento che mettesse insieme più voci che ci permettesse di riflettere su alcune tematiche che sempre più spesso ritrovavamo nel lavoro delle artiste, ritrovavamo ma non avevamo più le parole per nominarlo, raccontarlo. Scegliemmo allora di provare ad utilizzare l'ascolto come strumento -prima e più della scrittura- di utilizzarlo mettendo insieme una pluralita' di voci e una pluralita' di storie. Le artiste più anziane presenti in RRRagazze, da Carol Rama a Dadamaino, da Giosetta Fioroni a Carla Accardi, sono tra i pochi nomi di donne che la storia dell'arte italiana del dopoguerra ha scelto di non dimenticare, molte altre sono scomparse. A queste parole decidemmo di affiancare altre parole, quelle di artiste della nuova generazione che stava proprio allora emergendo, tra le altre Betty Bee, Giulia Caira, Enrica Borghi, Luisa Lambri.

Il vostro volume si ispira esplicitamente al testo Autoritratto(1969), con cui Carla Lonzi, ha inaugurato un tipo di indagine critica basata sulla registrazione in presa diretta dei rapporti e dei dialoghi tra critico e artista?

L'intervista e' lo strumento che Carla Lonzi ha privilegiato nel tentativo di ridisegnare il delicato rapporto tra critico e artista. A differenza della critica a lei contemporanea, che si può definire oggi "certa", lineare, Carla Lonzi mise invece in gioco, a partire dalla sua esperienza nel movimento femminista, altre modalita' nel tentativo di scrivere una nuova grammatica; un altro tipo di esperienza, anzi possiamo dire che mise in campo l'esperienza della relazione e del dubbio per indagare l'arte come "quel momento vitale in cui tu non chiedi garanzie" come lei stessa ha scritto. Autoritratto e' il primo tentativo, nell'Italia della fine degli anni Sessanta, di scardinare una visione unica, scardinare la griglia ferma utilizzata fino a quel momento dal pensiero, scardinare le "garanzie" e procedere invece per interrogativi, pause. Credo che proprio questo desiderio di insinuarsi nelle mille sfaccettature che disegnano una relazione - anche quella tra critico e artista- portò poi Carla Lonzi ad abbandonare la scrittura critica per dedicarsi solo al pensiero delle donne. Molti anni dopo, guardando il lavoro delle artiste che iniziavano con una "timida" prepotenza -come la definirebbe Carol Rama- ad invadere la scena contemporanea dell'arte italiana, forse solo allora abbiamo trovato nella pratica di Carla Lonzi le modalita' per nominare e raccontare quella "rivoluzione" visiva minima che stava attraversando la nostra generazione. Un'esperienza che si muoveva al bordo, praticava il dubbio, si trovava ad indagare l'ombra, la piega, lo scarto, la traccia, e cioe' fare esperienza di tutto quel possibile e incerto che disegna il pensiero contemporaneo. In questo spazio processuale, Carla Lonzi aveva iniziato a muoversi molti anni prima, anche se la forma delle opere e il percorso del pensiero allora dominati non rispondevano ai suoi interrogativi, a questo procedere per dubbi, per relazioni, per pensieri non più lineari. Quel non chiedere "garanzie", ma utilizzare invece l'ascolto, la cura della relazione e' stato lo strumento per misurasi con le opere e le persone. Le parole delle artiste e la loro produzione sono stati i primi sintomi dove abbiamo verificato la cesura di un sistema certo e binario, volto invece ad uno sguardo che ridisegnava il dentro-fuori, il bianco-nero, il pubblico-privato, il sé e l'altro. Ci sono dei riferimenti letterari che sento molto vicino a questo modo di praticare l'esperienza: "abitare la possibilita'" di Emily Dickinson e Alice nel paese delle meraviglie. Durante la caduta nella tana del coniglio, Alice prova stupore, paura, curiosita', un'infinita' di stati d'animo per uscire da sé ed esporsi all'altrove. Lavorare con le artiste e' stato un esporsi "oltre" e mettere in campo non ciò che era certo, ciò che era chiaro, ma tutti quei margini ed ombre che delineano la complessita'.

C'e' una connessione tra il successo di questa metodologia dialogica e l'attenzione evidente dagli anni '80 verso l'arte delle donne (italiane)? Ciò vuol dire che questo approccio teorico ha fatto emergere una parte della nostra storia?

Non credo che sia io a doverlo dire. Ivana ed io abbiamo semplicemente scelto la coralita', una figura plurale nella quale le voci dicevano cose distanti, vicine, contraddittorie: un processo tra esperienza dell'arte e il sé. E ne e' emerso un diario che continuamente unisce le parole alle immagini. Un lungo pensiero fatto di molte voci che partono da interrogativi, più che da certezze. Su questo procedere incerto sento molto vicine alcune parole di Cesare Pietroiusti, "stare la' dove il problema c'e'", così definisce la sua pratica, ed e' questo approccio nel quale mi riconoscono, non solo nell'ambito professionale ma anche di identita'.

Premesso che l'arte non debba essere divisa per categorie di genere, ci siamo preoccupate di intraprendere uno studio che parte dalle nuove generazioni di artiste per affacciarci sulla più ampia produzione del contemporaneo. Se non esistono specificita' femminili e maschili, quello che stiamo facendo e' solo un tassello di una ricerca più vasta che come giovani critiche/curatrici ci apprestiamo ad intraprendere. Nel nostro progetto viene rimesso in gioco una considerazione che abbiamo, ostinatamente, voluto trattare come un'ipotesi da verificare di nuovo: esiste una coscienza storica della produzione delle artiste italiane e si può partire da qui per comprendere lo stato della nostra arte contemporanea?

Lo ribadisco, l'Italia e' un paese che ha fortissimi ritardi culturali. L'arte delle donne e' raccontata il più delle volte attraverso la biografia, attraverso aspetti intimi e molto meno attraverso il lavoro. Nessuno ha ancora scritto la storia dell'arte delle donne, per lo meno in Italia. Quell'esperienza "fragile" per molto tempo non poteva essere guardata, ancora meno storicizzata. Per tornare ad un'immagine poetica credo che molta critica degli anni sessanta e settanta abbia fatto fatica a misurarsi con l'opera come "forza timida" e si sia invece misurata con essa tenendo come unico metro "la garanzia" citata da Carla Lonzi. A meta' degli anni novanta la ricerca delle artiste e degli artisti e' tornata ad interrogare più che dichiarare, a provare una sorta di insofferenza per le verita' definitive e i codici acquisiti, scegliendo invece un continuo dialogo con l'esistente e i suoi mutamenti.

Alice nella caduta si sente "straniera a se stessa" per citare un famoso testo di Kristeva (Stranieri a se stessi)?

Assolutamente si, Alice soprattutto accetta di essere straniera a tal punto che non riesce a raccontarsi, le risulta impossibile stare ferma in un'unica identita'.

Ha fallito quello che si augurava Irigaray di decostruire il sistema per poter parlare e agire in modo altro?

Per il momento credo di sì. Quello che la mia generazione ha vissuto, e non solo in ambito artistico, e' stata una liberazione che ha rimosso sì la differenza, senza creare però reali modelli alternativi. E' forse per questo motivo che ritrovo oggi negli uomini molte ricerche interessanti. Forse sono loro che senza più modelli paterni hanno dovuto riscrivere, rivedere, ridisegnare ogni posizione dicotomica e gerarchica. Se penso al lavoro di Stefano Arienti, Cesare Pietroiusti, Massimo Bartolini, Mario Airò, e potrei aggiungerne altri, ritrovo davvero una sorta di ibridazione con l'altro nell'impossibilita' di compiutezza e definitiva certezza, con il minimo, con la possibilita' e l'occasione. Ecco perché non ha più senso beatificare il lavoro delle artiste, l'hanno detto tutti che oggi la produzione delle donne e' pari all'altro sesso, il problema e' invece riflettere su chi ancor oggi gestisce queste produzioni di pensiero, e attraverso quali canali? Quest'anno abbiamo le prime direttrici donne della Biennale di Venezia. Due, quasi non bastasse una sola. Avete mai visto due Celant o Szeemann o Bonito Oliva?


Lisa Parola è curatrice e giornalista d'arte, collabora con il quotidiano La Stampa. Nel 1996, con Ivana Mulatero, è autrice di Rrragazze: un incontro tra 17 artiste italiane. E' una delle socie fondatrici dell'Associazione a.titolo di Torino.

     
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