Behind ospita interventi, riflessioni e interviste per seguire da vicino progetti e iniziative attraverso la voce dei protagonisti. Behind coglie e trasmette segnali, reazioni e tendenze nell'ecosistema dell'arte contemporanea.
a cura di Dario Bonetta



21/04/2005

 
Dissertare/Disertare 
 
 
Confronto con due voci Contemporanee

 
   
Gaia Cianfanelli e Caterina Iaquinta intervistano Emanuela De Cecco e Gianni Romano 
 
   
Marlene Dumas




Emanuela De Cecco




Vanessa Beecroft




Liliana Moro, installazione




Tracy Moffat




Felix Gonzales-Torres




Ketty La Rocca




Barbara Kruger




Sophie Calle



 
L'arte femminile o gli studi di ricerca su di essa non riescono ancora a svincolarsi da reazioni di ghettizzazione, e l'omologazione imperante nella contemporaneita' sembra aver appiattito ogni profilo. Come riuscire ad eludere queste tendenze che caratterizzano la contemporaneita' artistica per introdurre la pluralita' delle voci?

Emanuela De Cecco: Non credo che ci troviamo di fronte ad una omologazione imperante, credo anzi che rispetto al passato prossimo le voci si siano moltiplicate. Caso mai c'e' un problema legato alla rappresentanza, a cio' che emerge in quanto pensiero dominante. Ma credo che, in analogia con quanto avviene sul versante politico, non bisogna fermarsi al confronto con le posizioni dei ''governi'' ma guardare oltre e semplicemente non smettere di coltivare nella pratica le singolarita', senza avere troppa paura di non avere visibilita' immediata o di sentirsi esclusi dal grande circo.
A proposito di ghettizzazione: da un lato i numeri fanno pensare ad una questione ampiamente superata, ma la questione del femminile oggi non la si puo' ridurre ad una semplice aggiunta di nomi che finiscono con la a al panorama esistente, non e' neanche strettamente una questione fisiologica che ci consente di stabilire dei confini chiari, se cosi' fosse come possiamo giustificare le immagini delle soldatesse in posa nelle carceri irachene? Ma per tornare a noi credo che oggi sia necessario praticare una differenza sia rispetto a come ci si interroga sul lavoro degli artisti sia rispetto alla propria posizione nel cosiddetto sistema dell'arte. Credo che questa sia l'eredita' più viva del pensiero femminista e in questi termini penso che ci sia ancora moltissimo lavoro da fare.

Con Contemporanee (2000-2002) siete riusciti a creare un studio stimolante e completo unendo allo sguardo critico, uno strumento di documentazione. La condivisione di un progetto comune nella consapevolezza della differenza dei vostri reciproci sguardi, vi ha portato, quindi, ad un'analisi delle artiste, italiane e non. E' stata una necessita' nata dall'esigenza di ricercare nella singolarita' delle artiste i linguaggi della contemporaneita'?

Gianni Romano: Contemporanee ha cercato di fare il punto su una situazione che si era sviluppata nel corso degli anni Ottanta e che, alla fine degli anni Novanta, aveva raggiunto quasi le caratteristiche di tendenza. Prima che il tutto diventasse una moda volevamo indagare sulle vere motivazioni del fenomeno e, naturalmente, sulle differenze. Gia' le differenze tra i due decenni, e le differenze tra questi e gli anni Sessanta-Settanta, erano talmente significative che valeva la pena studiare cio' che era avvenuto.

EDC: Grazie per lo stimolante, rispetto alla completezza non sono d'accordo. Come tutte le mappe ha dei buchi e delle zone d'ombra e non abbiamo mai preteso di dire l'ultima parola. Abbiamo discusso a lungo per prendere tutte le decisioni in merito alla configurazione di quel lavoro. E' stato Gianni Romano a lanciare il primo sasso e questa proposta mi ha trovato immediatamente pronta a partire. Certo che c'era una condivisione a monte, anni di dibattitto morettiano, e dunque anche la coscienza della differenza tra i nostri punti di vista. Ma questa coscienza era anche uno dei punti più stimolanti.
Se poi devo parlare della singolarita' posso aggiungere che sono le artiste stesse a suggerirci di andare in quella direzione. Proprio perché non avevamo L'intenzione di arrivare alla parola fine ma di dare un contributo che potesse attivare altre riflessioni, non ci ha mai sfiorato il pensiero di offrire delle definizioni chiuse, piuttosto delle ipotesi da verificare: il libro e' costruito per aprire il più possibile un discorso, dare spazio alle voci delle artiste e alle voci di altre persone che con loro hanno lavorato.

Un progetto come Dissertare/Disertare che attiva e registra reazioni e proposte di associazioni culturali, critici e curatori e aspira ad una verifica sul campo, puo' essere un giusto approccio per una trasversalita' d'intenti? Una possibilita' per poter poi, finalmente, comunicare a due voci?

EDC: Direi che la verifica sul campo e' il punto di partenza indispensabile di ogni ricerca, non credo che sia un giusto approccio, credo che semplicemente sia l'unico possibile... Non so poi cosa intendiate per trasversalita' di intenti, non so neanche se per comunicare a due voci tutto questo giro sia un passaggio indispensabile. Lo vedremo strada facendo.

Abbiamo constatato che in Italia la nostra generazione di artiste e' spesso estranea a cio' che riguarda le sue radici storiche. Sembra più facile cercare altrove, su un territorio internazionale, dove logiche di mercato e politiche artistiche vincenti hanno fatto emergere più facilmente artiste che nel nostro paese: perché la Kruger diventa nostra eredita' e non la Bentivoglio ad esempio? Ci sono esempi concreti di giovani artiste italiane che fanno un lavoro sulla memoria artistica del nostro passato?

EDC: E' abbastanza normale che lo sguardo si rivolga altrove e in questo senso credo che ci sia una legittima liberta' nel non dover rimanere chiuse sulla propria storia, tanto meno in termini di confini nazionali. Al resto ci pensa il dna ed e' gia' tantissimo. Piuttosto il problema e' più delicato sul versante storico critico anche se penso che sia oggi inevitabile praticare letture comparate.

GR: Personalmente, a livello di ricerca teorica, non penso mai in termini di confini nazionali. Quelli possono essere dei paletti dettati da una ricerca sul campo, ma credo sia sempre necessario tenere presente una situazione allargata. Le logiche di mercato a cui fate riferimento non centrano nulla in questo discorso (sono solo una conseguenza), mentre un rapporto conflittuale con la storia, ad esempio, non e' tipico delle artiste italiane, ma di tutte le artiste dagli anni Ottanta in poi. Dovunque si e' sentita L'esigenza, più o meno consapevole, di dover risolvere questo rapporto conflittuale con una storia che aveva ignorato il lavoro di tante donne.

Non esistono più generi ne' stili, si tenta di definire i decenni. Sarebbe corretto ricordare gli anni Settanta per una arte ideologica e sociale? Gli anni Ottanta con un ritorno al figurativo e gli anni Novanta per una forte carica d'individualismo? E oggi, sfumata ogni categoria, su quale ''mappa'' possiamo orientarci?

GR: Queste categorie a volte funzionano a livello didattico, o vanno bene per un articolo su un quotidiano, ma aiutano davvero poco in campo teorico. A volte e' salutare, in mancanza di referenti precisi o del lavoro di altri che ti hanno preceduto, sapere che e' auspicabile cominciare senza una mappa, con la precisa determinazione di volerla costruire o ri-costruire.

EDC: Forse avere il coraggio di ammettere che ci siamo persi e' un buon punto di partenza.

E' stato L'uso di tecniche artistiche non tradizionali come della fotografia e del video, fino alL'uso di pratiche mediali più contemporanee, a dare alle artiste visibilita'?

EDC: Certo si e' trattato di una possibilita' importante. La possibilita' di usare mezzi che non avevano una tradizione ha favorito l'uso da parte di chi nella tradizione non poteva riconoscersi, faceva fatica a trovare una collocazione riconosciuta, le donne per esempio. Ma e' un discorso che ormai analizzerei solo in chiave storica.

GR: E poi va sempre messo in rilievo che, nonostante l'utilizzo strumentale dei media, le artiste hanno lavorato in un'ottica postmediale, superando qualunque attenzione verso la specificita' dei media e con la scaltrezza necessaria a non cadere nella trappola del multimediale.

Ritorniamo agli anni Settanta, momento in cui si pone la questione e l'uso del corpo attraverso la performance. In questo senso, in Italia ricordiamo ad esempio il lavoro di Ketty La Rocca (1938-76) e di poche altre artiste, ma la nudita' e la sessualita' più facilmente sono raccontate che esposte. In queste manifestazioni, dove finisce l'intervento artistico e inizia la provocazione politica?

GR: Quando va bene coincidono, ma ricordiamoci che abitiamo un paese cattolico.

EDC: Se, come credo, non e' certamente una questione di soggetti, e' possibile scindere l'arte e la politica. A questo proposito mi viene d'istinto pensare al lavoro di Felix Gonzales Torres.

Concludiamo con un auspicio. Contemporanee continuera'?

EDC: Sì, ma non nella stessa forma, ormai la presenza femminile nella scena internazionale e' un fatto condiviso e sono uscite altre pubblicazioni sull'argomento. Ma se Contemporanee vuole dire continuare a lavorare dando spazio ad altre voci, continuare un dialogo e interrogarsi sugli strumenti della critica, non e' mai finito.



Emanuela De Cecco e' nata a Roma nel 1965, vive a milano. Critica d'arte, insegna Cultura Visuale all'Universita' di Ferrara ed e' responsabile dei Progetti di Formazione presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Recentemente ha pubblicato una monografia dedicata a Tacita Dean, Postmedia Books, 2004 e Non toccare la donna bianca. Conversazioni con le artiste, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino.

Gianni Romano e' nato a Montalbano Ionico nel 1960, vive a Milano. Critico d'arte e curatore, insegna all'Istituto Europeo di Design di Milano.



     
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