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a cura di Dario Bonetta



3/10/2005

 
Dissertare/Disertare 
 
 
con Artiste... apriamo le danze

 
   
Gaia Cianfanelli e Caterina Iaquinta intervistano Martina Corgnati (I parte) 
 
   
Meret Oppenheim




Marie-Jo Lafontaine



 
Alla libreria Feltrinelli di Roma si e’ svolta la presentazione del libro 'Artiste', di Martina Corgnati (Bruno Mondatori, 2004).
Gli argomenti del testo sono emersi dai discorsi, dalle voci, dagli interventi che abbiamo pensato di riportare, quasi letteralmente, qui in due parti.
Questo e’ il primo dialogo tra l’autrice del libro ed Enrico Mascelloni (critico d’arte) poi seguira’ una seconda parte che vedra’ lo stesso dibattito dilatarsi tra artisti, studiosi e semplici uditori.
Martina Corgnati nata a Torino il 6 ottobre 1963, e’ docente presso l'accademia di Belle arti di Catania. Ha al suo attivo una lunga serie di collaborazioni giornalistiche ( Arte, Flash Art, Panorama, The Journal of the Art, La Repubblica) e di attivita’ curatoriale e critica. E’ presidente del comitato scientifico del premio Suzzara, responsabile del Parco Letterario Horcynus Horca di Messina.


Enrico Mascelloni: Il libro di Martina Corgnati, 'Artiste', mette bene in evidenza gia’ dal sottotitolo 'Dall’Iimpressionismo al nuovo millennio' qual e’ l’arco cronologico preso in considerazione, quello che si suol dire appartenere alla modernita’, che ha riguardato nel dibattito sociale, politico ed economico il cosiddetto ruolo della donna.
Il ruolo della donna nell’arte viene ripreso da Martina Corgnati sin dalle Avanguardie, da quei movimenti innovativi che hanno destrutturato cio’ che li precedeva e che hanno aperto nuove prospettive, prendendo in considerazione quello che si puo’ chiamare con un vecchio epiteto 'l’eterno femminino' rilevando che nell’arte questo 'eterno femminino' non esiste o comunque, cambia, si modifica, varia. Varia nell’ambito impressionista e post-impressionista, nell’Espressionismo storico in Germania e poi ancora in terra americana dopo il 1945.
Successivamente si trasforma anche in ambito surrealista dove la donna slitta da angelo del focolare, ad angelo del sogno dei poeti, per assumere poi dei ruoli da protagonista.
Sono molte le surrealiste che hanno avuto un ruolo fondante se non nel primo nel secondo surrealismo anche a scapito del fatto che e’ difficile trovare dei teorici piu’ maschilisti di Breton, di Aragon, ed Eluard.
Dei nostri anni ‘50, Martina prende in considerazione alcune tendenze dell’arte contemporanea, come la Poesia Visiva, un movimento come Fluxus e altri ancora. Avanguardie che io definisco negative, che pongono la questione dell’alterita’ e non della costruzione.
Altra caratteristica di questo libro e’ l’importanza che il capitolo sulle russe e poi sovietiche, attribuisce alla questione della donna nell’arte che diventa questione della donna nel sociale.
Inoltre vengono prese in considerazione le culture artistiche non occidentali, in un momento come questo in cui e’ difficile poterle ritenere marginali.
Ma ora non vorrei pedinare il libro, mi piacerebbe di piu’ giocarla sul dialogo con Martina, senza chiederle ma sentendomi dire…


Martina Corgnati: Prendo la questione da lontano…
Il dialogo non vuole essere a due ma a piu’ voci. In particolare vorrei soffermarmi su una parola che hai detto all’inizio e che ritengo molto significativa per il percorso dell’arte femminile e cioe’ 'destrutturazione'.
Quando voci di donne e sguardi di donne cominciano ad affacciarsi in termini piu’ significativi, piu’ numerosi, individualizzati nel mondo dell’arte, si trovano di fronte ad un paesaggio occluso, ben definito, occupato (utilizzo questo termine a ragion vedute quasi militarmente) da una sensibilita’ e da una tradizione tutta al maschile, antica, importante, celebrata in cui la donna e’ un soggetto: il nudo, la bellezza, il volto. Rientra insomma in una categoria.
Intervenire in tutto questo ha comportato un profondo, impegnativo e complicato lavoro di destrutturazione, appunto.
Una percentuale significativa del lavoro compiuto dalle artiste nel corso del secolo non e’ andato nella direzione dell’emissione di un proprio segno forte, ma innanzitutto di una ridiscussione di quelli che erano i segni troppo forti, in qualche modo gia’ posizionati nel territorio delle arti.
Si e’ trattato di una riapertura, di una riorganizzazione dolorosa, perche’ destrutturare comporta distruggere un qualcosa e anche lavorare in negativo.
Non a caso, proprio in queste avanguardie piu’ sovversive, piu’ radicali (il Surrealismo in primo luogo), le presenze femminili si affollano e non solo dal punto di vista dei linguaggi ma anche dei comportamenti.
Enrico Mascelloni, evidentemente e’ della scuola di coloro che ritengono Breton e compagni i piu’ antifemministi tra i teorici delle avanguardie storiche.
Il dibattito e’ vivace sull’argomento, alcuni la pensano così ma altri no e fra queste vorrei annoverare la voce autorevole di Rosalind Krauss, critica da me molto apprezzata, la quale, discutendo presenze fortissime e poco note nell’ambito del primo surrealismo, quale quelle di Dora Maar o di Claude Cahun, mette in evidenza come per personaggi di quel genere il surrealismo fosse assolutamente l’unico contesto possibile. E dove altrimenti? Il resto era peggio…
Poi negli anni ‘30 da Meret Oppenheim a Leonor Fini o Leonora Carrington, le voci delle donne non solo si diversificano e si arricchiscono, ma vanno colmando tutti i settori dell’attivita’ surrealista ed e’ interessante perche’ cio’ avviene non solo con l’aggiunta pura di segni ai segni gia’ dati dagli altri, ma con l’intenzione di riorganizzare un linguaggio, una lingua che non c’e’. E’ la lingua delle donne, che e’ la lingua che dice quali sono i sogni delle donne e non lo sguardo riflesso di qualcun altro.
Dunque questa lunga e difficile strada comincia in modo organizzato dal punto di vista teorico proprio nel Surrealismo e poi prende altri canali tra cui quello fondamentale di Fluxus nel quale si osava di tutto, anche di infrangere tabu’ sociali e culturali, andando incontro a tutti i possibili rischi di un’identita’ diversa.
Naturalmente la sfida e’ continua, perche’ penso che le voci piu’ interessanti che si elevano intorno all’arte ne mettano in discussione i confini, i codici, i generi.
Ne e’ un esempio anche la grande emissione di voci non occidentali, con tutto il loro bagaglio, le loro tradizioni con il loro altro modo di affrontare il rapporto tra attualita’ e cultura, fra attualita’ e geopolitica che e’ anche uno degli aspetti piu’ vivi e piu’ fertili di questo paesaggio del terzo millennio appena aperto.


Enrico Mascelloni:Ritengo che questo libro di Martina Corgnati arriva al momento giusto, che e’ un momento paradossale. Tratta di donne e di donne artiste nel momento in cui, quantomeno nell’arte contemporanea, la questione femminile sembra finita. La quantita’ di artiste, anche di primo piano e di successo economico non e’ esigua anche se i dieci protagonisti dell’arte oggi continuano ad essere uomini. Sul piano della promozione dell’arte contemporanea accade il contrario perche’ mi sembra che siano le presenze femminili a intrigare maggiormente il milieu della contemporaneita’.
Probabilmente le donne hanno saputo sempre fare le artiste, hanno imparato bene a fare arte, ma forse, hanno imparato meno a saperla promuovere adeguatamente sul mercato. Ma perche’?
I primi dieci artisti contemporanei che vendono di piu’, ripeto, ancora sono tutti uomini e per quanto riguarda le artiste non contemporanee di grande rilievo nell’arte degli ultimi ‘50 ‘60 anni sono figure come Frida Kahlo, Tamara de Lempicka, personaggi piu’ esterni che interni ai movimenti che hanno sconvolto l’arte del ‘900 che realizzano alle aste oggi cifre molto considerevoli. Ecco, questo mi sembra un paradosso. Dunque, la questione femminile nell’arte e’ ancora una questione?


Martina Corgnati: E’incredibile ma ancora oggi, le artiste visive nell’ambito dei fenomeni mediatici diventano interessanti nel momento in cui hanno una biografia piu’ o meno romanzata, piu’ o meno straordinaria.
La storia personale e’ piu’ importante dell’opera: se una donna e’ bella, e’ trasgressiva e soffre e’ il massimo: e’ la principessa moderna, un personaggio da favola, se in piu’ e’ americana, quindi rivendicata da un mercato che ha bisogno di star, c’e’ l’incremento del valore delle sue opere.
In questo caso c’e’ una proporzione dal punto di vista dei valori storici?
Questa e’ la domanda che io mi farei rispetto a che cosa fa parlare, a che cosa fa 'costare' una donna (cioe’ l’opera di una donna, di un’artista).
Ho scritto questo libro, iniziato nel 2001 e terminato del 2004, perche’ qualche anno fa nelle mie ricerche relative all’arte contemporanea mi sorprendeva, da donna, il fatto che la letteratura sull’argomento in Italia fosse inesistente e il termine 'inesistenza' e’ giusto in quanto nel 2001 l’unico testo disponibile che riguardasse le donne era il catalogo della mostra di Lea Vergine L’altra meta’ dell’avanguardia che e’ stato ristampato proprio adesso.
Negli Stati Uniti o nei paesi di lingua inglese gli studi sulle donne, grazie alla nutrita presenza degli istituti universitari che si occupano in modo specifico dei Gender Studies, sono tanti. Sono molto attuali perche’ contestualizzano una crescita del pensiero dei percorsi teorici fatta da artiste e da teoriche dell’arte nel corso di questi ultimi venti silenziosi anni, dopo la fine delle lotte politiche della militanza.
Volevo riprendere in considerazione questa ed altra letteratura scrivendo un libro leggibile, di divulgazione e non eccessivamente ristretto all’ambito degli addetti ai lavori dell’arte, che parlasse delle opere d’arte delle artiste ma anche dei contesti culturali storici e geopolitici in cui queste figure si sono ritrovate ad operare, che costruisse degli scenari.
Volevo realizzare qualcosa di molto visibile, che rompesse gli argini di questa sorta di strano spazio di studi interspecialistici riservato da noi a questi argomenti.
Infatti un’altra mancanza significativa e’ il fatto che non ci sono scuole nelle universita’ italiane dove si studia l’arte femminile di nessuna epoca, di nessuna cultura, in nessun modo. Perche’?
Tutto questo deriva da una storia sofferta, dolorosa, che viene da lontano, di cui ho voluto ricucire i frammenti perduti, dimenticati soprattutto nel nostro paese.
In Italia c’e’ ancora molta memoria da recuperare al di la’ di qualunque garanzia, c’e’ un lavoro di riscrittura storica che inizia veramente adesso, in un momento in cui le voci femminili iniziano a parlare per se stesse. Ora possono iniziare a dire qualcosa di proprio, forse un po’ meno polemico in rapporto al potere sulla tradizione che le voci maschili hanno esercitato, e al tempo stesso piu’ consapevole di un proprio possibile, non voglio dire alterita’, ma semplicemente punto di vista.
Mi viene in mente una grande video artista Marie-Jo Lafontaine che ha un taglio visivo sul problema narrativo dell’arte, sul modo di fare arte-video, quindi arte narrativa assolutamente particolare, nuovo, ma non in forma di imitazione o reazione, caratteristica che e’ stata per tanto tempo, inevitabilmente, necessariamente la risposta creativa delle donne.
Questa emergenza dello sguardo, del discorso merita di essere seguita, accolta, di essere commentata, ascoltata, questo e’ quello che io mi proponevo di fare in termini di una premessa e niente di piu’, un’apertura delle danze, poi 'danzeranno' altre critiche, altri critici, curatori, lettori, artisti.
E’dagli artisti/e che nasce tutto, la lingua e’ muta non parla da sola.




     
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