Behind ospita interventi, riflessioni e interviste per seguire da vicino progetti e iniziative attraverso la voce dei protagonisti. Behind coglie e trasmette segnali, reazioni e tendenze nell'ecosistema dell'arte contemporanea.
a cura di Dario Bonetta



24/01/2008

 
Dissertare/Disertare 
 
 
Che l’occhio ascolti

 
   
di Gaia Cianfanelli (testo dal libro dissertare/disertare) 
 
   
Annalisa Cattani, Oltre la regola, 2006. Installazione audio e materiali vari




Michela Pozzi, Red moon cycle, 2006, video




Sara Basta, Toccami non mi toccare(part.), 2006, china su stoffa




Elizabeth Aro, Mundo, 2004




Bianco-Valente, Cloud System, 2004, video (loop)



 
Molte sono le volte che non riusciamo a sentire il pensiero di un’opera, il significato della sua presenza ed il motivo rivelatore della sua esposizione.
Il sistema, quello visibile e più forte dell’arte attuale, attiva le dinamiche di valorizzazione del processo creativo lasciando a volte vuoti quegli spazi della nostra cultura che necessitano di comprensione e conoscenza. Intendiamo progetti, idee, messaggi, alla base di ciò che si mostra e si presenta.
Il risultato artistico di questa esposizione nasce da un pensiero progettuale, da un vuoto del discorso proposto e condiviso, iniziato quindi dalla necessità di osservare e capire l’esistenza di quelle realtà artistiche e culturali caratterizzanti ma meno apparenti e poco collegate al grande circuito, o meglio come esse possano emergere e riescano validamente a farlo attraverso un processo di ricerca relazionale.
Gli spazi bianchi, i silenzi li abbiamo provati a riempire così, svelandone la loro esistenza in un discorso scritto a più mani che non proviene da un’unica fonte ma ascoltando messaggi e storie, domande e risposte altrui, dando valore ad una possibile pratica culturale.
Dissertare/Disertare è un’osservazione sui “luoghi delle differenze” (culturali, artistiche, sociali).
Dovremmo ricordare il dibattito postmoderno e le teorie post-strutturaliste per percorrere questa evoluzione che ha portato all’emergere del valore positivo della differenza, dei legami e delle interconnessioni tra saperi ed il bisogno di attraversarli.
Dagli anni Sessanta l’arte ha allargato il suo campo d’azione, disperdendosi in nuove forme, combinandosi con altre discipline, il linguaggio divenne importante.
“L’arte postmoderna è allegorica […] soprattutto nel suo impulso a rovesciare le norme stilistiche, a ridefinire le categorie concettuali, a sfidare l’ideale modernista di totalità simbolica, in breve, nel suo impulso a sfruttare lo scarto significato e significante”. ( 1)
La crisi della rappresentazione, la dissoluzione del segno, la ricerca di nuove tecniche, materiali, luoghi, la trasgressione di intere categorie estetiche, ha messo in discussione non tanto l’istituzione dell’arte quanto il discorso critico. Sono emerse nuove figure come quella del curatore, indispensabile a ricomporre il percorso artistico-culturale, a rintracciarne il valore, ad identificarne il contesto per collegare l’opera agli sguardi degli altri. Cura non soltanto nell’accezione freudiana attraverso il linguaggio, anzi qui elemento con cui giocare per scardinare luoghi comuni, ma nel compiere delle azioni, produttrici di spunti esplicativi, cura come condizione per la rivelazione di un sapere.
Compie un’azione differita, il pretesto inteso come motivo, riflessione autentica di un pensiero culturale, come quello a cui ci riferiamo di Luce Irigaray che funziona di per se collegato ad una tematica come quella dell’arte delle donne, ma parallelamente esprime la speculare importanza di indagine sul sistema allargato, nelle differenze della cultura attuale. Trovare degli stimoli, attingere a pensieri di studiosi per spiegare e contestualizzare opere e progetti può significare disegnare un percorso e dare forma a concetti poi tutti da verificare e dimostrare. Tutto quello che è silenzio, sospensione, idea coperta dalle interferenze dei discorsi di molti, porta ad un ascolto maggiore, più intenso e profondo delle molteplici espressioni umane. Ma nell’età della tecnica, in questa convulsione di immagini e di suoni attraverso i quali il mondo viene rappresentato siamo catapultati nel rumore. Molte volte le nuove tecnologie non lasciano tempo alla valorizzazione di un pensiero, rendendone invisibili ed immateriali i risultati.
Anche in arte assistiamo ad una diffusione accelerata dei nuovi media oggi omogeneizzata e forse causa maggiore della formazione di un’industria culturale globale. Produzioni diventate “moda artistica” che tagliano identità, memorie, e diventano prodotti costruiti per la rete dei mercati culturali. Come afferma Buchloh “L’antinomia tra artisti ed intellettuali da un lato e produzione capitalistica dall’altro è stata annullata o è scomparsa per usura. Oggi siamo in una situazione politica ed ideologica che, pur non essendo del tutto totalitaria, punta verso l’eliminazione della contraddizione e del conflitto, e questo rende necessario un ripensamento di quello che la pratica culturale può essere sotto le condizioni globalizzanti dell’organizzazione capitalista avanzata”.
E’ per ragioni politiche ed economiche che anche l’arte si modula all’interno del sistema, dentro e fuori di esso si sviluppa e prende forme campionate.
Ciò che rimane fuori, spesso dalle strutture pubbliche o dalle “mode artistiche” è definito alternativo, sperimentale e come tale soggiace nei circuiti minori, arrivando alla comprensione di pochi. Ma forse è sempre il linguaggio a limitare l’evoluzione di un’idea e a porre etichette che ghettizzano ed incasellano. E’ un’esistenza fragile e confusa quella di libertà artistiche e di diversità critiche valide, caratterizzanti e comunicative a livello sociale. O è l’alternativo che vuole entrare soltanto nel privato e rimanere privato?
Per non farsi confondere dal rumore e da preconcetti culturali e di sistema, forse c’è bisogno di un modus operandi produttivo da collegare a tutto questo, che porti senso, che reperisca il significato ed assegni all’azione dell’operare una finalità che ci distanzi dal vortice convulsivo della miriade di accadimenti artistici e culturali. Allontanarci dall’autoreferenzialità di molte proposte artistiche e cercare di portare nel sistema, nell’istituzione, nuove metodologie, nuovi strumenti di narrazione che possano essere così riconosciuti e veicolati senza etichette e differenze. Rallentare i tempi e dare spazio ancora alla ricerca perché il prodotto culturale non diventi soltanto una delle tante merci di consumo.
L’idea progettuale e lo strumento metodologico in Dissertare/Disertare sono stati fondanti per una ricerca aperta che ha voluto quindi presentarsi alle istituzioni, attivando con esse un dialogo culturale: capire la reale possibilità di operare autonomamente ma nel riconoscimento della loro funzione pubblica e sociale. L’agire nel contesto del proprio territorio ha significato riportare il valore dell’esperienza, della memoria individuale e storica, delle caratterizzazioni culturali, lontano dall’astrazione e da modelli importati, cercare una realtà. Quindi raccontare spazi, lavorare orizzontalmente, scoprire tensioni produttive sviluppando reti di conoscenza attraverso le quali compiere una lucida lettura dell’attuale momento culturale. Scegliere una metodologia come nuova critica e teoria. Che «l’occhio ascolti», come diceva Claudel, che il visibile torni ad essere leggibile, udibile, intelligibile di per se.

1) Hal Foster, The Return of the Real, The Avant-Garde at the End of the Century, 1996 Massachusetts Istitute of Technology, trad.it.: Il Ritorno del Reale, L’avanguardia alla fine del Novecento, 2006 Postmedia, Milano

     
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