Behind ospita interventi, riflessioni e interviste per seguire da vicino progetti e iniziative attraverso la voce dei protagonisti. Behind coglie e trasmette segnali, reazioni e tendenze nell'ecosistema dell'arte contemporanea.
a cura di Dario Bonetta



28/02/2005

 
Dissertare/Disertare 
 
 
Per una società estetica allargata

 
   
Silvia Litardi e Gaia Cianfanelli intervistano Laura Barreca  
 
   
Laura Barreca




Carla Accardi, Millenaria, 1987, vinilico su tela, cm 280x185




Maria Lai, Ovile, 1959



 
Vogliamo iniziare quest’intervista utilizzando il titolo del progetto: cosa ti ha spinto a dissertare?
All’interno del sistema dell’arte contemporanea esistono forme di intersezione che collegano gli artisti con il pubblico: questi legami sono rappresentati dalla categoria dei critici/curatori, che dunque sono l’anello di collegamento tra il mondo multiforme della creazione artistica e la fruizione pubblica. Ciò significa che essendo parte di un sistema strutturato è indispensabile che gli stessi critici agiscano e operino nel rispetto delle regole e delle norme che lo caratterizzano come in ogni campo della società, ma che d’altra parte essi stessi si pongano come elemento di crisi, che siano cioè in grado si scardinare e mettere in crisi lo stesso sistema dell’arte: per dirla con le vostre definizioni di “dissertare” o disciplinare, ma ugualmente di “disertare” e possibilmente “dissestare” il sistema. Più spesso però accade che l’art system costringa e vincoli talmente il critico in una “gabbia” di contenuti, di linguaggio, di tendenze o d’altro, che risulta più difficile trovare un’equa via di mezzo tra l’essere legittimato da un sistema e l’essere, allo stesso tempo, in grado di scardinarlo.

Quale aspetto ti ha più colpito di dissertare/disertare: il tema o la modalità di lavoro?
Proprio la “dissertazione” e la “disertazione” possono essere considerati temi centrali che mettono a confronto due modalità d’azione. Credo sia il fattore dell’operatività a dare il senso a tutto il progetto. Questo perché nelle due proposizioni si inserisce una modalità di lavoro allargata, diffusa, orizzontale, che cerca di entrare all’interno del sistema senza utilizzare diaframmi. Dunque chi si muove con queste modalità ha la capacità di venire in contatto con la società dell’arte, una società estetica allargata, e dà la possibilità di entrare in contatto con più aspetti, con più mondi, più presenze. La prerogativa, all’interno di un progetto di queste dimensioni, sta nella capacità di porsi tautologicamente, in modo democratico nei confronti di un sistema dandovi comunque l’opportunità di prendere posizione rispetto alla molteplicità di forme che lo compongono.

A maggio 2004 abbiamo iniziato ad inviare il progetto ad associazioni e curatori indipendenti e solo sporadicamente abbiamo ricevuto risposte feconde e capaci di innescare riflessioni più complesse. Credi che questo sia imputabile alla “paura diffusa” di affrontare un tema che apparentemente si porta dietro la responsabilità di dover fare i conti con le tematiche del Femminismo degli anni Settanta?
Porre il problema sottoforma di categoria, perché femminile e femminismo sono categorie (generazionali, storiche, storico/politiche, estetiche) vi porta inevitabilmente a ricevere delle resistenze. La paura di affrontare un tema per categorie è una paura legittima! Per un artista, un critico, uno storico o per chi vuole semplicemente avere una posizione critica rispetto alla società, o ad una parte di essa, è più difficile confrontarsi con una singola forma di rappresentazione del presente, viceversa è più facile dare delle definizioni generalistiche, si rischia di meno! La paura di prendere posizione, ponendosi in modo monolitico è sempre una paura che riguarda la capacità di relazionarsi con un tema che può essere più o meno scomodo. Riguardo poi al femminismo e ai suoi strascichi credo che ci siano motivi molto più banali come spiegazione di quella che voi avete definito “paura”. Oggi di femminismo si può parlare in termini di rievocazione storica e molte artiste che sono state appassionate femministe in un determinato periodo della loro vita - come Carla Accardi - ora valutano quel periodo come una parte che riguarda il passato e che ha perso la forma rivoluzionaria legata all’avanguardia, all’appartenere ad un periodo di contestazione; è una fase ormai storicizzata, e come sempre accade in questi casi, gli eventi artistici ad esso legati rimangono lì, mantengono il proprio essere, la propria forma rivoluzionaria all’interno di quel periodo, all’interno di quel movimento. Credo che parlare di propaggini del femminismo adesso non sia realmente funzionale!

Pensi quindi che le artiste di quel periodo storico siano state definitivamente studiate e valutate o c’è ancora lavoro da fare?
Per quanto riguarda la situazione italiana, dal punto di vista della storia dell’arte al femminile, probabilmente è un mondo ancora da scoprire, ma per i motivi che dicevo prima cioè per il fatto che il mondo dell’arte ha un processo evolutivo, uno sviluppo che sfugge alle categorie e fornisce delle spiegazioni (micro-definizioni all’interno di macro-sistemi) su chi ha fatto arte, che sia uomo o che sia donna. L’emergenza politica e storica degli anni Settanta è stata più un’esigenza legata al sociale, alla sfera politica e alla rivendicazione dei diritti delle donne, ma queste istanze solo in seguito si sono evolute e sviluppate, influenzando il mondo dell’arte. Non so quanto gli studi o le vicende contemporanee possano trarre vantaggio da una lettura di questo tipo e possano da quelle stesse esperienze trarre funzionalità.

Noi abbiamo ribattezzato “limiti linguistici” categorie come arte al femminile o ultime generazioni … ci interessa parlare delle tracce di una storia vicina e partire da questo per leggere in prospettiva l’arte di oggi, che ne pensi?
Forse parlare di eredità è stato per diverso tempo considerato un limite linguistico e storico. Le generazioni di artiste italiane che hanno lavorato in questi ultimi vent’anni hanno avuto istanze diverse, hanno seguito altre suggestioni, sicuramente più legate al privato e alla scoperta del proprio mondo e del mondo visto attraverso i loro occhi. Certamente perché l’essere donna negli ultimi vent’anni non corrisponde all’essere stata donna negli anni Settanta e quindi le sollecitazioni sono diverse semplicemente perché le emergenze sono diverse. L’arte si è più legata ad una forma privata, ad una percezione dell’ambiente ed è stata tradotta nelle forme che hanno, come ragione d’essere, l’esigenza di raccontare il mondo in modo evidentemente diverso da come era stato raccontato dall’universo maschile che comunque continua a mantenere un’egemonia culturale di fondo dura da modificare.

Ci piacerebbe che ci facessi un parallelo tra la metodologia di lavoro del comitato scientifico della Quadriennale, per la quale stai lavorando, e la nostra, orizzontale come hai detto prima. Inoltre, pensi possa essere possibile applicare un sistema di lavoro così fluido ad un evento istituzionale come la Quadriennale? Prima di tutto la Quadriennale è una istituzione molto antica e quindi la sua struttura è costituita da una struttura molto forte. C’è un presidente, un direttore generale e un consiglio d’amministrazione che nomina le commissioni per ogni mostra che viene organizzata. A questa struttura si aggiunge uno staff che lavora alla realizzazione delle mostre. La Quadriennale ha una struttura stabile, ben definita, con una forma interna che attiene tipicamente alle strutture pubbliche essendo una fondazione di diritto privato, ma partecipata dal Ministero dei Beni Culturali. L’idea che un sistema relazionale e orizzontale di ricerca e raccolta materiale come il vostro possa diventare in qualche modo una forma scientifica di definizione di un evento, di costruzione di una mostra potrebbe essere possibile, ma in un’istituzione come la Quadriennale con una struttura molto forte, questo è difficile da immaginare.

Nell’edizione 2005 della Quadriennale sono presenti numerose artiste di diverse generazioni: ci sono casi di artiste la cui ricerca è iniziata molto tempo fa?
Risponderei con il caso unico di Carla Accardi, ma ce ne sono molti altri. Lei, classe 1924, è un’artista rappresentativa del mondo artistico femminile da circa sessant’anni anni. Un’artista in grado di rinnovarsi continuamente. Pur lavorando nell’ambito pittorico, con un linguaggio bidimensionale è sempre riuscita a rappresentare la propria visione del mondo attraverso un linguaggio informale e costantemente rinnovato. Qualche anno fa ha avuto un riconoscimento internazionale con una personale al PS1 di New York e ancora oggi le viene riconosciuta la capacità di affrontare il presente con grande spiritualità e innovazione.

…e per Maria Lai?
Si, Maria Lai è un’altra artista che ha saputo rinnovare e riadattare il proprio linguaggio secondo le emergenze del presente, del quotidiano. Penso che la lettura di un’opera di un artista risulta sempre attuale nel momento in cui riesce ad anticipare quello che sarà. Quando noi adesso guardiamo le opere della Lai o della Accardi degli anni Sessanta ci sembrano attualissime e riconosciamo in esse un periodo storico precorritore di istanze estetiche e culturali sviluppatesi in seguito. In quelle opere riconosciamo la contemporaneità di oggi.

Sai che la tua è la prima di una serie di interviste che saranno pubblicate in Behind: chi immagineresti come tuo “successore”, chi intervisteresti?
Su due piedi… così… proporrei un artista…

Uomo o donna?
Forse un’artista donna e poi un critico uomo, e… ma non farei distinzione, dovete andare a braccio e a cuore!

Intervista del 24/2/2005

Laura Barreca e' nata a Palermo nel 1976. Vive e lavora a Roma. Dal 2003 e' coordinatrice delle mostre per la Fondazione della Quadriennale di Roma.
Fa parte del gruppo di giovani curatori Synapser UnDo.Net. Ha aderito al progetto Dissertare/Disertare come curatrice indipendente.

















     
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