9/04/2001

 
Gabriele Perretta 
 
 
Industria artistica tardo contemporanea

 
   
 
 
   
Quinta Parete, Logo Fossalunga MinimalTV, 1997




HACKIT 1998




"Chaos vs. Business", Parrini/Byte, 1999




StranoNetwork, "I.S.D.N", net-performance, 1998




UnDo.Net, "Short Stories", web project, 2001




C.Parrini, "Pittura", t. mista su tavola, cm.45x55, 1999




StranoNetwork, "Telematic Identity", net-performance, 1996



 
Industria artistica tardo contemporanea
di Gabriele Perretta

Verso l'applicazione storica
Si narra che il modello più antico di ruota del vasaio, che siamo stati capaci di conservare, proviene da Ur ed è datato 3250 a.C. Il noto strumento artigianale era usato a Creta all'inizio del Minoico Medio e fu diffuso nell'area Mediterranea da popolazioni greche, etrusche e puniche. Gli altri attrezzi dell'antichità che hanno rivoluzionato le sorti della storia sono il martello, la tenaglia, la sega, il tornio, il telaio, il torchio e i vari tipi di utensili come la leva, la vite, il cuneo. Così come la puleggia fu sconosciuta agli architetti delle piramidi, anche se un giorno non lontano si potrà dire che il puntatore del computer è uno strumento arcaico, la sua introduzione risale appena ad una quindicina d'anni fa e fu una vera e propria rivoluzione per l'uso del PC.
La tecnica frappone degli sviluppi più o meno rapidi all'interno della storia dell'uomo. Questi spesso hanno condizionato il nostro sguardo. Alcuni esempi potrebbero essere di riferimento per l'analogia e la differenza tra le forme dell'industria antica e di quella moderna. Eufronio viene ricordato come un pittore e vasaio attivo ad Atene e come uno dei maggiori rappresentanti dell'arte attica tardo-antica. Appartiene alla prima generazione di pittori che decoravano i vasi adottando la tecnica a figure rosse. I veicoli a ruote apparvero probabilmente dopo l'invenzione del tornio del vasaio e ben presto servirono a sostituire la slitta come mezzo di trasporto. Archimede dovrebbe essere l'inventore della puleggia composta, usata per il sollevamento dell'acqua, e della coclea o vite. Un primo tipo di ascensore a trazione era già usato in Gran Bretagna nel 1835: la fune passava sopra una carrucola azionata mediante una cinghia, fino a raggiungere un contrappeso che scorreva sulle guide. Ma nel 1853 Elisha Otis presentò un ascensore più moderno e la puleggia fu soppiantata.
Senza usare l'estremizzazione di uno dei primi lavori di Hans Jonas sullo spirito tardo antico (1934) - dove il filosofo della Germania centroccidentale azzarda l'ipotesi di paragonare lo gnosticismo all'esistenzialismo contemporaneo - possiamo considerare l'ipotesi molto astratta del kunstwollen di Alois Riegl, che portava a svalutare l'individualità degli artisti e l'intenzionalità del loro sapere, per considerare lo spirito storico di un'epoca, della nostra epoca! Si tratta di guardarla come l'attualità dell'industria artistica tardo-contemporanea, dove il vasaio, tramite gli sviluppi della nuova tecnica, sta per diventare l'artigiano-intellettuale. Diciamo che le condizioni attuali della tecnica ci invitano a pensare tale prospettiva in forma rinnovata ed a confrontarla con gli ultimi sviluppi della telematica, considerando il punto massimo della sua ipermedialità come una provocazione, che acquista una funzione rivoluzionaria in sede di esperienza estetica. Il nostro momento storico sembra caratterizzato da questo doppio legame con le macchine: da una parte siamo proiettati a rincorrerne i benefici e l'implementazione a tutti i livelli, dall'altra ci ribelliamo all'idea che la macchina possa soppiantare la nostra individualità. Il romanzo di Kurt Vonnegut del 1952, tradotto in italiano con un titolo molto efficace, Distruggete le macchine, si può considerare profetico in questo senso.
Ma a partire da qui, e dalla diffusione delle tecnologie avanzate in arte, è ancora importante l'individualità artistica, così come era stata pensata nei secoli della modernità? Ecco che con il sorgere di questa domanda ritorna il problema dell'artigiano. Egli è una strana figura rispetto all'artista-io, che si adatta di più alla rinuncia dell'autorialità stilistica, adottando la condizione di un lavoro che proprio nello stile oltrepassa l'estrema soggettività, proponendo come sé un artista-noi. L'astrofisico John Barrow pone dei dubbi sull'originalità di un'opera di computer art. Dice che il solo fatto che di essa con una stampante laser se ne possono tirare innumerevoli copie, fa perdere all'oggetto qualsiasi potenziale emancipativo. Nel suo The artful universe mette in discussione l'ipotesi positiva di Benjamin di affidare alla tecnica cinematografica il futuro della ricerca artistica e dice che per il computer non può essere la stessa cosa. Benjamin, invece, nel 1935, nel suo saggio su Leskov, scrivendo che l'arte non ha il compito di fare l'apologia del media, ma di usare ed elaborare "il puro in sé dell'accadimento" per "lasciarvi la sua traccia, come il vasaio sul vaso d'argilla" , sembra quasi che esalti le funzioni di Eufronio. Potremmo supporre che questa figura di vasaio disegnata da Benjamin si associ all'artigiano-artista dei nostri giorni? E costui, alle prese con il problema della tecnica confrontata con i nuovi stimoli della forma e del suo senso, al crocevia tra l'arte applicata e un design corticale, sempre più emergenti nella nostra industria artistica tardo-contemporanea, potrebbe configurarsi come una nuova proposta?
Forse è il caso di riflettere meglio sull'efficacia di quella profetica frase di Hans Belting: "Il ritorno all'arte storica e al modernismo classico, sia nel commento artistico che nella nuova edizione degli "ismi" […] implica un deliberato sguardo retrospettivo sulle strade che l'arte ha già percorso. Così la produzione artistica diventa una sorta di storia dell'arte applicata e, in opposizione a tale destino, uno sforzo radicale di sottrarsi all'eredità storica" . Nel suggerimento di Belting vi è una doppia valenza: l'arte diventa una lavorazione di forme e un'esasperazione del lavoro storico, che va verso una metamorfosi delle storie stesse, e quindi appare alla fine come qualcosa d'altro. Sulla scorta di un discorso, già iniziato dagli artisti del '900, che rifletteva sulla natura e la funzione del linguaggio artistico, Hans Belting riconosceva che vi fossero delle "immagini manufatte investite dalla dignità artistica consuetudinaria". In effetti dopo tutto quello a cui abbiamo assistito nel decennio Novanta, un momento in cui - in una maniera quasi incessante e vorticosa - tutta l'arte è stata filtrata dalle capacità metamorfiche della grammatica mediale, si può sicuramente riconoscere con Belting che le pratiche artistiche non sono solo la conferma di qualcosa di "manifatturato", ma anche di genericamente "sociologico", che va verso l'estremizzazione dell'oggetto della vita quotidiana. Inoltre, si può ribadire che tutta l'arte contemporanea, grazie al supporto generale della pubblicità e dei media forti e persuasivi, si è spostata verso le dimensioni di quello che già nel 1994/95 chiamavo "experience designers" , ovvero una manufatturabilità ed una processualità che impegnano gli strumenti dell'artigianato e della ricerca, del sapere scientifico-tecnologico e del mestiere di coloro che, pur adempiendo ad un ufficio di carattere economico e produttivo, sanno trasfigurare e fondere in senso estetico gli elementi segnici e plastici dell'oggetto.
L'arte della fine del secolo scorso non ha dimostrato che l'attitudine "fabbrile" della grammatica degli stili è un procedimento accelerato di saperi in uso nella vita quotidiana. Già all'inizio del '900 lo storico dell'arte Alois Riegl, col famoso Die Spatrömische Kunstindustrie, ci dava la possibilità di considerare diversamente le botteghe industriali della tarda antichità. Riegl, con una particolare attenzione al modello progettuale, potrebbe essere considerato l'annunciatore ufficiale delle problematiche manifatturanti delle avanguardie e dello sviluppo della sua tradizione. Non c'è bisogno, dunque, di attendere Horkheimer e Adorno nel 1947, per parlare di industria artistica, ci pensa già Riegl nel 1901. Lo riconosce Walter Benjamin, quando dice che Riegl riesce a misurare la "curva del battito cardiaco delle forme" ovvero "una profonda intuizione della volontà materiale di un'epoca si esprime concettualmente come da sé in quanto analisi del suo canone formale" . Infatti, si pensa che Benjamin abbia preso spunto anche dalle suggestioni di Riegl sull'industria artistica tardo-antica per la sua riflessione, del 1936, sulla caduta del culto nella modernità. Lo storico austriaco ha dato importanza ad un periodo minore, senza usare atteggiamenti di classificazione formale imparentati con logiche troppo deboli o dolci. Le arti minori arrivano ad essere considerate all'interno del flusso della grammatica storica e la pittura e la scultura già si apprestano ad esser viste come strumento teorico.
Riegl era uno studioso formatosi nell'Ottocento ed è, quindi, da considerare come un vero precursore di una certa storia europea. La prospettiva duchampiana, che agiva come spettro concettuale sui fatti dell'inizio del Secolo, era ancora lontana. Non c'era ancora il sospetto (e lo dico in maniera espressamente polemica) che artisti come Kosuth, nel 1969, potessero fare quella grande scoperta, sintetizzata nella dichiarazione "l'arte dopo Duchamp è concettuale". In sostanza studiando i documenti e le ricerche preduchampiane, sapevamo già che, a partire da Hegel (Reflexionsbildung), tutta l'arte era concettuale. Forse Mallarmé ce lo aveva già indicato pubblicando Un coup… nel 1897 sul periodico Cosmopolis, oppure E. A. Poe nella Filosofia della Composizione del 1846 dicendo che il "racconto possiede un suo pensiero". Riegl non considera l'età di Giustiniano e di Costantino come momenti di decadenza e Benjamin sottolinea che egli non tratta questa orizzontalità delle opere di fronte alla storia come un piatto relativismo, o una comoda edulcorazione delle prospettive di approfondimento della storia. Per Riegl il dettaglio tattile, la capacità prensile e la relazione ottica sono le fisionomie che collegano l'arte dal periodo egizio fino a quella tardo-antica. Lo studioso di Linz prova ad avvicinare produzione e fruizione. Nell'Arco di Costantino si parla già degli effetti delle luci e delle ombre provocate dalle solcature accentuate che distinguono e danno risalto alle figure. Il Kunstwollen, che per Ernst Gombrich è qualcosa di molto fumoso e impreciso, introduce - in un certo senso - una specie di "paradigma dell'immanenza". Esso trascende da cause strettamente interne al linguaggio artistico, si riferisce a questioni sociali più generali.
Il nostro Kunstwollen quotidiano, quello della nostra epoca è, quindi, naturalmente indirizzato alla sparizione dei tratti originari che connotano l'opera d'arte. Siamo sulla strada del nuovo vasaio che, assommando l'esperienza dell'avanguardia e quella della tradizione, riversa tutto il suo sapere nell'esecuzione di un mandato compositivo già sottoscritto in periodi precedenti. In realtà il ruolo dell'artigiano intellettuale contemporaneo è orientato a rappresentare una situazione in cui la lavorazione tecnica dell'opera e la legittimazione formale dei segni coincidono, toccando dei livelli di specializzazione che sono indicativi per la nostra attualità. Questo discorso resta chiaro se si guardano lavori come quello di Peter Fischli & David Weiss. La coppia svizzera crede di poter invertire il messaggio di Duchamp, organizzando qualche opera tramite la raccolta di attrezzi di lavoro molto semplici e apparentemente distanti dalla produzione confezionata, come nel caso dell'installazione del 1996 Ohne Titel: in cui si vedono pezzi di legno, barattoli di colla etc… In effetti questo lavoro, per il troppo interesse a sfuggire la copia, cade nella copia più consona, perché comunque adotta una costruzione che non esce dai canoni dell'ormai classica tradizione concettuale e istallativa. Anche le fotografie di Philip-Lorca Dicorcia, che si ispirano ad un set del tutto casuale e quotidiano, sono lavorate con un tratto tipico della fotografia documentaria. Un'immagine che non inventa niente di nuovo rispetto alla grammatica formale che risale al suo stile, cambia solo la scena che utilizzando un'attenzione così spiccata per immagini generiche ci accompagna verso una situazione in cui può anche non essere necessario riconoscere l'autore. L'immagine di Lorca Dicorcia potrebbe essere una delle tante immagini riprese da un passante o da un turista per caso nelle strade di New York o di Tokyo. Molti artisti sono legati all'approfondimento del dettaglio, che paradossalmente può mostrarsi "confondibile", "generico". Beat Streuli riprende dei dettagli di gruppi di persone, Wolfgang Tillimans fotografa gli oggetti della cucina, i cibi e i vestiti. Guardando Splash, un lavoro video del 1999 di Marine Van Warinerdam, i soggetti sono di una assoluta ordinarietà. La pittura di Veja Cilmins non ha una particolare connotazione cromatica o contenutistica e spazia sul primo piano dell'oggetto generico, come la lampada o un fornellino elettrico. Le foto di Sarah Jones sono nella stessa linea metodologica di Dicorcia, si differenziano quelle di Sharon Lockhart solo perché si preoccupano di essere meno spontanee nella ripresa, pur non allontanandosi dal gesto minimo del quotidiano. Anche le manifatture di Richard Wentworth lavorano sulle Occasional Geometries. Nel lavoro sulla Semiotica della cucina di Martha Rosler, il mezzo televisivo e la vita di tutti i giorni si scambiano, proprio perché ambedue sono delle coccarde dei tempi e degli spazi più banali ed impensati della nostra esistenza. Il tratto artigianale si riconosce nel lavoro di Udonisak Krisanamis. L'artista, anche se sembra che intervenga sulla geografia della comunicazione come Vic Muniz, che usa però il cioccolato, incollando dei chicchi di riso sulle pagine dei quotidiani fino a trasformarne completamente il senso. Decorazione e design vengono tesi verso un confine esistenziale. Andrea Zittel, nell'estate del 1999 nel Central Park di New York, ha istallato Deserted Islands. Isole di fibra di vetro, che ricordano degli iceberg, si offrono come sedie. I lavori sono collocati in mezzo ad un laghetto del parco e si possono raggiungere solo a nuoto o camminando nell'acqua. Inoltre, gli Espace Vehicles dell'artista californiana si prestano per la collettivizzazione di viaggi di memoria o di desiderio.
Riegl fa risuonare un'idea di arte popolare facendo trasparire le declinazioni di canali individuali e di classe, di epoca e di astrazione delle forme. Egli sconvolge la visione consueta dell'organico visuale e l'identificazione dell'armonia figurativa, chiarisce il problema che il linguaggio tende ad una zona di cristallizzazione, dicendo che la "tradizione domina i motivi decorativi" e che un'arte fine a se stessa "tenderà sempre all'organicità". Gli esempi suddetti ci sembra possano essere l'attualizzazione di tale discorso, perché nella loro composizione rispecchiano ciò che vi è di più cristallizzato nella storia dell'avanguardia. La tradizione, però, non è data solo dall'appellativo della copia, ma tende ad "una ricerca continua di perfezione". Anche Arnold Hauser, riferendosi alla Stilfragen (1893) in Riegl, scrive: "la soluzione tecnica è essa stessa parte o variante della forma estetico-visuale" . Riegl, come annunciatore delle problematiche dell'avanguardia, "ha accostato la sensibilità stilistica e le intuizioni di quell'espressionismo che sarebbe sorto di lì a vent'anni, ai monumenti del tardo periodo imperiale […] ed a quella che prima era una "ricaduta nella barbarie", ha riconosciuto un nuovo senso dello spazio, una nuova volontà artistica. Kunst-Industrie è una delle più convincenti prove del fatto che ogni grande scoperta scientifica rappresenta automaticamente una rivoluzione del metodo, anche se non pretende di esserlo." . La rivoluzione nell'analisi tecnica delle opere e l'"Artifiziellen Gesellschaft" (come Henrich Popitz definisce "l'efficienza tecnologica con le già affermate differenziazioni tra mestieri") vanno di pari passo.
Il fenomeno della sedentarizzazione e delle strutture sociali artefatte, che sorge nei pressi dell'antichità e si matura nella vita della tarda antichità, apre già la strada all'agire collettivo che è vicino a noi. In questa atmosfera cresce una critica diversa alla configurazione che Riegl fa non fissando "un periodo d'arte in ben definiti limiti di tempo". Facendo un confronto con quanto possiamo recuperare dell'insegnamento di Riegl sul presente, va detto che vale la pena osservare ancora la storia delle forme, ma in una maniera che non può più essere considerata secondo un suo "svolgimento organico". Essa dal '900 in poi va vista insieme al mondo della tecnica più in generale. Facciamo due esempi: come è possibile guardare un Jean Tinguely o un Robert Rauschenberg (con l'esperienza dell'associazione newyorkese E.A.T. fondata nel 1966) staccati dal mondo contemporaneo della tecnica? A differenza di ciò che Riegl sosteneva, l'oggetto artistico odierno è dotato di tutti i condizionamenti tecnici. E il "wollen" (il mögen, il verlangen) va verso la generalizzazione dell'esecuzione artistica. Si pensi al motivo per cui il pittore Fabrice De Nola ormai si presenta con l'etichetta De Nola & World Lab. L'artista, per comporre le sue pitture, miniaturizza i progetti su dei supporti digitali, lavora all'elaborazione dell'immagine, trasferendo da contesti iconografici diversi tutti i pezzi di mondo e di storia che si presentano più appetibili, e poi, con un colpo di mano che non dimentica la necessità di soddisfare una funzione pratica di produrre una pittura come un oggetto ben confezionato, usa il pennello e riporta sulla tela tutto il plotter dell'oggetto visivo ben assemblato. Qui il gioco si consuma apparentemente sul piano dell'arte applicata, ma la realtà è che esso è mosso secondo un particolare rapporto tra l'artefice e la sua materia, nel senso della materia che ha fatto sua dopo averla conquistata e progettata nella direzione del quadro da riprodurre.
Franz Wickhoff prova a sottolineare che "l'estetica del ciabattino" di Riegl, non è l'apologia del negozietto che ripara il prodotto secondario dell'arte, ma si pone come complessa relazione tra arte e cultura: è una ricerca indiretta sulla tecnica che porta oculatamente ad un confronto tra arte e scienza. La tradizione dell'arte applicata notoriamente si presenta come un lavoro sulla materia, che una volta poteva essere il legno come l'avorio, il ferro come l'oro, il vetro come la stoffa, la carta come il materiale edilizio. Queste materie sono i risultati di un percorso già sfruttato dalla storia e si presentano ancora irrigiditi nel loro meccanicismo, pur avendo rivelato, anche se in forma embrionale, le proprie possibilità di trasfigurazione estetica. I prodotti di questa attività risultano, perciò, da un particolare equilibrio tra forma e funzione, tra arte e utilità. Con l'introduzione dello strumento tecnologico avanzato, le fasi di realizzazione del lavoro si sviluppano tutte nelle capacità progettuali del prodotto e, quindi, il lasso di tempo dedicato all'esperienza diventa più concettuale e mentale. L'artista allo schermo riesce a conquistare, prima della riproduzione definitiva, un prototipo soddisfacente del suo lavoro, attraverso una sorta di cesellatura digitale. In altri termini, si vuole dire che il laboratorio visivo, introdotto dalle tecnologie per la lavorazione dell'immagine, conduce ad una sorta di officina immateriale, una bottega invisibile, miniaturizzata da uno schermo, una stampante ed un collegamento in rete. Se la sfera dell'arte applicata un tempo comprendeva l'arredamento della casa, carte da parati, vetri, utensili da cucina, soprammobili, telefoni, radio, apparecchi d'illuminazione, stoviglie, abbigliamento, gioielli, calzature, mezzi di trasporto, armi, edizioni librarie, monete, tessili, vasellami, oggi comprende anche la progettazione pittorica e le sue forme di esecuzione, la scultura e anche l'installazione tanto cara alle forme di arte concettuale post-duchampiane.
L'arte applicata ha assorbito tutto il contesto di esecuzione della storia dell'arte e, quindi, in questa sfera si potrebbe inserire anche il canone di esecuzione di alcune forme di ipermanierismo. Da questo punto di vista, se fino agli anni Settanta era facile includere anche l'arte commerciale, cioè quella zona di attività artistica che si svolge a sostegno della propaganda economica: la réclame di ogni tipo, i manifesti murali, le copertine dei libri, le esposizioni, il disegno da impacco e simili, oggi è più naturale dire che anche una grande installazione elettronica concepita da Studio Azzurro, una grande diavoleria digitale manifatturata dal laboratorio di Mario Canali è un'estensione del processo di inorganicità dell'artigianalità mediale. Il sistema elettronico su larga scala ha introdotto dei livelli sofisticatissimi di elaborazione e progettazione computerizzata, che hanno spazzato via quasi del tutto qualsiasi forma di architettura, di arte, di scenografia teatrale, di cinema che non abbia una sua fase di realizzazione attraverso la simulazione digitale. Tale possibilità non ha chiuso le porte ai sistemi tradizionali di lavoro artigianale, ma piuttosto ha tessuto una sorta di integrazione dei risultati di ricerca, fino al punto che manualità e digitalità si stanno ibridando.
Officina e nome improprio. Ciò che va recuperato a pieno titolo di A. Riegl è il gusto formale dell'artista che supera l'individualità per allargarsi oltre, estendendosi in maniera immanente in un'epoca intera. Questo elemento va associato a ciò che negli anni Sessanta si è inteso come il superamento della funzione-autore. Ricapitolando: superamento della dialettica minore-maggiore, superamento dell'impronta individuale, superamento dell'impulso creativo spirituale. Dalla formazione di questa sintesi viene fuori una caratteristica costante del nostro momento nelle arti. Sergio Bettini conclude un suo lavoro del 1948, sul linearismo post-barbarico e l'arte di Giotto o di Cimabue, scrivendo: "dove si vide già balenare, librata in equilibrio ancora difficile, la rinnovata concretezza storica dello spirito moderno." . Cosa succedeva nell'arte alla fine del mondo antico studiato da Bettini: uno strano incontro con l'Oriente e con il linearismo zoomorfico delle arti "barbariche". I presupposti concettuali del tardo antico sono al limite tra il senso della bottega, della sapienza del vasaio e dell'autore, il quale si incontra con una comunità di soggetti in grado di sviluppare e di costruire insieme, tramite il supporto di un nuovo paradigma tecnico. Per paradosso noi ci troviamo forse alla fine del tardo-contemporaneo, ovvero in quel momento esatto in cui il tardo-antico e il tardo-contemporaneo si incontrano e producono concettualità. Una concettualità situata a cavallo tra la tradizione delle arti minori e delle arti maggiori e una forma applicativa che non manca di una nuova corticalità diffusa. In sostanza, cosa sta succedendo oggi? Non ci troviamo forse di fronte ad una molecolarità di soggetti artistici, che hanno trasformato il sapere tecnico ed espressivo in un'estetica diffusa? In ciò che, in una bella espressione di Michel Foucault, appoggiata dallo storico amico Paul Veyne, viene detta "estetica dell'esistenza"? Se è vero ormai che nell'età post-industriale lo styling è ormai entrato a far parte di qualsiasi oggetto della vita quotidiana e si è introdotto, attraverso le fabbriche decentrate, perfino nel kunstwollen dei cosiddetti paesi in via di sviluppo, limando gli effetti radicali della mondializzazione, chi è fuori da questo stato pervasivo? L'Elogio del Bello si è trasformato in una sorta di Romanticismo dell'Oggetto di consumo. Nelle tazze, nei bicchieri, negli orologi da polso, nelle confetture, nelle scatole di carne, come nelle auto si può trovare riprodotto il taglio di Lucio Fontana. I nuovi schermi piatti, come ammicca anche la pubblicità, sono dei veri e propri quadri con cornice. Tra merci e feticci d'autore c'è uno strano intreccio, si verifica un fenomeno di dissoluzione delle identità. E questo accade anche nella parola, nel testo scritto. Tramite i mass media forti, il giornalista ha la funzione del commentatore medioevale e traccia le perizie sui documenti apocrifi.
E' vero che Roland Barthes già nel 1968 aveva scritto sur la Mort de l'auteur e Michel Foucault nel 1969 lo seguì a ruota con Qu'est-ce qu'un auteur?. E' vero anche che il New Criticism, già negli anni Cinquanta del '900, aveva partorito una figura di autore spontaneo, che trascende da particolari "intenzioni", e che Maurice Blanchot molto prima dei suoi amici francesi aveva dato alla luce lo spazio impersonale dell'arte. Inoltre Derrida, Sollers, Kristeva e Lacan con Tel Quel hanno continuato a porre negli anni Sessanta la questione di un'opera fatta di reti e di rimandi continui, in cui la coscienza intenzionale del protagonista, ovvero il soggetto scrivente, si discosta da se stesso. Ma l'intertestualità nell'arte contemporanea non è qualcosa che viene raggiunto con la tardissima modernità, già appare nei suoi prodromi! Con l'origine della modernità stessa si affacciano i suoi presupposti e poi ricompare come problema nell'industria artistica tardo-contemporanea, alla luce di una risemantizzazione delle tecniche e di un tratto forte della sua immanenza nella lettera, nella parola, come nell'immagine, insomma nella "Grammatik der bildenden", per dirla ancora con Alois Riegl. I giochi di parole erano già diffusi nella Francia del XVIII secolo con il nome di calembour, termine messo in voga dal marchese di Bièvre. Francisco Gómez de Quevedo, invece, portò il gioco di parole ad estremismi che non erano mai stati tentati. I Calligrammes di G. Apollinaire saranno efficaci per collegare la prima e la seconda modernità. In quel testo la presentazione tipografica delle poesie indica un getto d'acqua, la caduta della pioggia o il disco solare, come delle vere e proprie lavorazioni plastiche. L'autore si va disperdendo nell'oggetto del testo stesso. Una conferma attuale di questo riferimento ai calembour è il lavoro dell'artista pakistano Ceal Floyer, che spesso basa le sue opere su giochi di parole o battute di spirito. Nella scuola dove ha studiato ha sostituito le targhe delle porte antincendio, Push si è trasformato in Pushed e Pull in Pulled. Egli mira a ridurre il minimalismo ad una sorta di contenitore per materiale di risulta (Garbage bag, 1996).
L'impostazione del problema sulla morte dell'autore di Carla Benedetti ne L'ombra lunga dell'autore , dunque, non ci sembra corretta. Dalla fine dell'Ottocento, dagli Impressionisti in poi, in arte l'ombra dell'autore è diventata sempre più immateriale e sempre meno soggetto. Quasi come se quest'ombra, da quando si è trasformata in industria cinematografica, avesse mutuato gli organismi dell'arte verso una spettroscopia acefala e reticolare, che è incapace di trovare il nome del testo iniziale. La tradizione crea, come dice indirettamente Riegl, epigonalità, ma essa non è soltanto industria o bottega della copia, gesto preparatorio per una metamorfosi definitiva della figura dell'artifex. Nella tarda modernità sparisce il problema diretto ed avvolgente dell'unicità dell'artefice. Foucault, sulla scorta di un vecchio lavoro di Gilles Deleuze, ripensa alla vita come deliberata forza artistica: "la vita di ogni individuo non potrebbe essere un'opera d'arte? Perché una lampada e una casa sono oggetti d'arte e non lo è la nostra vita?" . Non è una novità che il tempo reale trattato dalla telenovelas, si è riprodotto in rete con quella stessa pretenzione ideologica ed empirica. Infatti, sono ormai innumerevoli i siti di tutto il mondo che mandano in video 24 ore su 24 la vita quotidiana di individui reali continuamente ripresi da una telecamera. Ripensare la nostra vita insieme agli oggetti che la animano e considerare in toto un'estetica dell'esistenza, significa pensare la continuazione ultranichilista di quello che, nel 1969, per Foucault è la morte dell'autore. E non è una fuga dagli altri, è piuttosto ciò che intende Paul Veyne affermando: "Quando si deve constatare che non si può fondare nulla, ci resta una cosa: noi" .
La critica alla caduta dell'autore, sollevata dalla Benedetti, dimostra che ella non ha approfondito delle tematiche cruciali inerenti alle arti contemporanee. Prenderò qui ad esempio alcuni riferimenti del Medialismo, in quanto la problematica della metamorfosi dell'autore è stata in esso indagata in tutto il decennio '90. Nel 1989 Tommaso Tozzi presentava alla Galleria Lidia Carrieri di Roma un lavoro in cui si firmava ABM Computers e, nascondendosi dietro questa label, anticipava ampiamente tutta l'esplosione del nome multiplo, che oggi viene identificato con i quattro autori del romanzo Q, pubblicato inizialmente con lo pseudonimo di Luther Blisset. Carla Benedetti parla del dadaismo, ma non sa forse che nel 1912 Anton Giulio Bragaglia scrive che: "la venale industria si è elevata a squisita espressione del nostro sentimento. L'operaio si fa artista: deve farsi artista con i moderni processi difficili ma efficacissimi sapendoli adoperare, e lo fa così come i primi decoratori, i quali un tempo recandosi ad illustrare le volte nei palazzi dei ricchi, seppero elevare il loro mestiere ad efficacia d'Arte" . Chissà! Forse Bragaglia aveva letto Riegl, oppure più semplicemente aveva già capito dove tirava il vento all'inizio del '900. L'errore degli autorialisti, e della loro kermesse a favore della poetica indiziaria, non è tanto quello di difendere il soggetto presente e vivo dietro alla costruzione dell'opera, ma piuttosto nel non capire che la produzione dell'opera (dell'autore con l'opera), nella sua filosofia della composizione, ha assorbito una metamorfosi strutturale per mezzo di una "tecnica consapevole", come la definiva Ernst Bloch.
Forse l'autore non è morto, ma è sicuramente mutato rispetto a ciò che era nel passato. E non è vero che la sua mutazione sia molto distante e diversa dalla descrizione della morte dell'arte in generale. Autore e arte muoiono per lasciare il posto a dei procedimenti creativi, che la critica contemporanea non ha saputo ancora ben definire e capire, o forse in larga parte accettare. In questa mutazione le registrazioni di frequenza della critica di Barthes e di Foucault - che ne avevano sancito la sepoltura dopo che il secondo aveva teorizzato la morte più generale dell'uomo - ai fini di un'analisi della Kunst-Industrie tardo-contemporanea, rimane assai più efficace di una qualsiasi litania sull'autore, che appare cieca nei confronti di un viaggiatore che non è mai uscito dal suo "Winterreise". Che l'industria della coscienza riduca il canto a canzonetta e che il pensiero di un Marx si trasformi in slogan stucchevole, non ce lo deve ricordare più di tanto Hans Magnus Enzensberger: siamo consapevoli che la macina mediale "offre ai suoi consumatori proprio ciò che intende loro sottrarre". Questo fenomeno ha influito più di ogni altra cosa sui processi identitari del '900, influenzando le ricerche dell'avanguardia come quelle della tradizione, ha trasformato l'universo espressivo nella sua totalità in un difficile campo, in cui l'autore forse non è mai scomparso ma si è trovato continuamente a "morire" per spostarsi altrove, per sfuggire e raggiungere quello stadio "Acéphale" di cui parla G. Bataille: "la morte doveva farsi affettuosa ed appassionata, protestando il suo odio per un mondo che fin sulla morte fa pesare la sua zampa di impiegato" (1936). .
Un altro parametro di confronto con la composizione e la costituzionalità dell'arte del '900 rimane il fenomeno del falso. Hans Van Meegeren, pittore olandese della prima metà del '900, divenne ben presto il più celebre falsario mondiale. Dal 1935 si specializzò nella tecnica di ricopiatura del Seicento Olandese, riuscendo a trarre in inganno numerosi esperti. Il suo capolavoro in materia di falsi, I discepoli di Emaus, fu acquistato su parere di Bredius nel 1937 dal Museo Boymans di Rotterdam, come opera prestigiosa di Vermeer. Sempre attribuiti al pittore di Delft nel 1943 furono acquistati dal governo olandese La Lavanda dei piedi per il Museo Nazionale di Amsterdam e dal famoso collezionista D. Van Beuningen, L'Ultima Cena. Ma mentre Meegeren usava quest'atto quasi eroico come verifica contro lo spirito dell'avanguardia del '900, intestardito a dimostrare che era impossibile uscire dalla dimensione simbolica dell'arte tradizionale, la stessa avanguardia, allora rappresentata da Duchamp & co., era schierata nel senso di un falso come atto e condizione politica di ribellione. In un falso che viene attribuito ad una scuola, oppure ad un periodo molto labile di storia, diventa piuttosto difficile stabilite l'attività del singolo artista. Meegeren, essendo allievo ed amico di Bertus Kosterling, attuava la strategia del mettere in cattiva luce il valore artistico delle opere dell'avanguardia, sostenendo che l'arte in qualche modo si ferma alla pittura classica, al Rinascimento ed al Seicento Olandese. Dall'altra parte, nel ventre del Lettrismo, con la nascita dell'Internazionale Situazionista, questo problema dell'identità viene posto in tutt'altro modo, fino a perseguire radicalmente gli scopi politici della denigrazione di un qualsiasi establishment artistico. Nel 1972 i Situazionisti si sciolgono, con l'idea di diventare nome collettivo fra la gente e nella popolazione. Censor, nel 1975, redigendo il Rapporto Veridico, con la scusa di aver messo sotto inchiesta le sorti del capitalismo italiano, mandò sotto processo anche "l'attendibilità dell'autore". Dietro quell'etichetta si celava Gianfranco Sanguinetti, il quale redige quel documento per Scotti Camuzzi e poi scrive nel 1976 le Prove dell'Inesistenza di Censor (Enunciate dal suo autore) . Molti personaggi famosi della politica italiana cascarono nella rete di Censor, così come accadde successivamente per gli storici dell'arte che si trovarono coinvolti nel caso delle teste di Modigliani. Sanguinetti usò in quel caso il PCI come un contenitore per "detournare" un ready made politico.
La pratica di gruppo nell'arte contemporanea è sempre stata un esercizio utile per far transitare forme e costituzioni psicologiche nella direzione di uno stato anonimo in cui, più che la partecipazione del soggetto e il riconoscimento anodino di esso, è l'immagine finale che fa da atto propulsivo. Il lavoro finale prende il sopravvento rispetto alle caratteristiche del soggetto. Nella storia dell'arte degli ultimi Cinquant'anni abbiamo diversi casi che vanno in questa direzione: qualcuno ci va in maniera più esplicitamente politica e qualcun altro si sofferma al dato genericamente estetico. Vanno ricordati i General Idea che si formarono nel 1968 e agirono sino al 1994 in maniera "capziosa", spargendo difficoltà. In questa direzione metterei anche Tim Rollins and K.O.S. che, con un Workshop nel South Bronx negli anni Ottanta, animarono i Kids of Survival and Art of Knowledge. Sull'idea del gruppo, sin dagli anni Cinquanta, si fonda anche un aspetto del lavoro di alcuni architetti progettisti, vicini alle arti visive, come AntFarm gruppo radical che disegnava prendendo spunto da giocattoli in plastica. Non dimenticherei neanche Archigram, Archizoom Associati. Questi ultimi realizzarono un lavoro insieme a Giuseppe Chiari, che consisteva in una canzoncina cantata da una bambina secondo un arrangiamento del tutto fuori fase. Tra gli architetti vi è anche il Grau, Rimmel Blau Bau-Coop, il New York Five, gli UFO, il SuperStudio, lo Studio Alchimia. Come pure dal 1972, uno o più graffitisti, che circolano per New York, si nascondono dietro alla sigla del nome di un quartiere. E scendendo nelle pratiche più vicine a realtà movimentiste e rivoluzionarie, farei i nomi dei Mutoid Waste Company, della Fura dels Baus o del multiple name Hakim Bey. Negli ultimi anni Novanta, a questa situazione movimentista, si aggiunge anche Stranonetwork animato da un gruppo di artisti che lavorano in rete. Nell'affermazione di situazioni politiche di un lavoro di gruppo, come storia più recente, vorrei ricordare anche i Wochen Klausur, con il loro intervento sull'Istruzione dei Profughi Kosovari in Macedonia, e i Knobotic Research, con l'istallazione Io lavoro Immateriale . Poi vi sono gruppi più emblematici come i classici Gilbert & George, oppure gli attuali Pierre & Gilles che vanno verso il comportamento, mentre sul lato più sociologico si sono affacciati negli anni Ottanta i rappresentanti delle ditte e delle aziende, che personalmente trasportai nel contesto delle Imprese Mediali. Oggi questo contesto ha prodotto altre realtà di gruppo in cui il tratto dell'anonimato si sposa con la costruzione di situazioni particolari, che genericamente si dissolvono nel contesto dell'impercettibile artistico. Aldo Spoldi, ad esempio, progetta Cristina Show sui parametri di Maastricht, facendola finanziare con il FIB 30. Cristina Show ha una vera e propria biografia che potrebbe stare al fianco di tante altre nei cataloghi di arte generica. Essa spazia dalle immagini agli oggetti alle performance, progetta servizi da tavola o da caffè, oggetti per la casa, lampade. Un altro gruppo in cui l'artista compare con un nome generico per svolgere un lavoro che si confonde tra la tecnica del copywriter e quella del pianificatore urbanistico, è Ethical Bros. Su quest'onda pubblicitaria si espande anche il lavoro di Maurizio Bertinetti e quello di Tessarollo-Team. Bertinetti lo fa spettacolarizzando la storia e Tessarollo rendendo iper-riproducibile un prodotto dell'industria del giocattolo, che di per sé è già privo di una stretta identità autoriale. Luigi Baggi, che ormai ha raggiunto una gran quantità di rappresentanze come Tecnotest, la pasta Delverde, Demetz Spituality, le pipe Savinelli, oppure il De Bosco Funerals attualizza, in una maniera quasi superiore all'iperrealismo, il concetto di "Agent for the following artist factories". Una delle ultime acquisizioni nel campo della pratica anomica sono il gruppo GAHP e il progetto OPU. Il primo dei due è supportato dalla scansione teorica di un'associazione di tre militanti, che si sono prefissi lo scopo di far emergere la nozione di arte nella sua dissoluta grossolanità, equivocità e, perché no, scientificità. Si tratta di un'associazione fondata nell'estate del 1999 che si traduce in Generic Art History & Promotion. Essa opera nella comunicazione visiva, nei canali più popolari della storia del quotidiano e nel campo di attestazione e valorizzazione del kunstwollen. La GAHP si occupa di indagare i parametri per l'attribuzione di valore artistico e per il riconoscimento di ciò che è genericamente tale. Nel commento all'atto costitutivo dell'associazione, si legge una suggestiva citazione da Italo Calvino, che trasforma Il Castello dei Destini Incrociati del 1973 in un epifonema (massima di valore generale). Il Progetto OPU porta avanti un lavoro definito La Manifestazione dei Desideri, che sicuramente distoglie l'attenzione dal gesto della Gillian Wearing che avevo conosciuto a Napoli qualche anno fa. L'artista inglese dalla seconda metà degli anni '90 porta avanti un progetto che si svolge chiedendo per strada al passante di scrivere ciò che gli passa per la testa e poi farsi fotografare con il suo foglio, da qui viene fuori un curioso panorama delle popolazioni presso cui l'artista di Birmingham si sposta. Ma tra il perlustrare in questa maniera nelle occasionalità di esistenza metropolitana e il guardare con una telecamera nel frigorifero di una casa e vedere quali sono gli alimenti che lo affollano, come fa Zhu Jia, non c'è nessuna differenza. Fa differenza se invece, come sta facendo il Progetto OPU con un regolare contatto e legittimazione di insediamento presso il Comune di Roma o di Napoli, si organizza nelle città un banco al quale si invitano i cittadini a scrivere i tratti salienti dei propri desideri, per poi consegnarli in forma di istanze all'amministrazione della "ville". Il lavoro animato da Colantoni presuppone un mondo altro, dove possono essere presenti delle condizioni da realizzare. Colantoni collettivizza qualsiasi incontro con il lavoro artistico, indagando le sorti di questo mondo-altro proprio come struttura relazionale e "disegno dei possibili".
Conclusioni. Da tutto questo discorso possiamo delineare un panorama artistico strutturato in quattro modalità operative convergenti. C'è una strada che regola una sorta di tradizione concettuale dell'avanguardia, sviluppandone delle caratteristiche di istallazione e di ambientazione, fino al punto di aver prodotto una sorta di manuale di situazioni caratteristiche per essere individuata come una teoria al lavoro. Tale prospettiva può far riferimento, oltre che agli esempi già citati, a gran parte delle opere in mostra al Bildmuseet di Umea sotto il titolo Mirror's Edge. In particolare a Thomas Hirschhorn con Critical Laboratory (1999) - un'istallazione con luci al neon, video, mensole, scotch, sedie, fotografie, libri, specchi, tavoli e un testo di Manuel Joseph - ed a Beth Coleman & Howard Goldkrand con Integrated System: Mobile Stealth Unit (Pink Noise) series 002* (1999) - lavoro composto da legno, dispositivi elettronici, batteria a 12V, stereo, lap top computer, modem, telecamera computerizzata e triciclo.
La seconda prospettiva è quella dell'individuo-artista che da solo, con il supporto delle tecnologie avanzate, si attrezza in forma di laboratorio. L'opera finale è un oggetto ben definito, quale può essere un quadro o una scultura, che però per giungere allo status finale è passato attraverso diverse elaborazioni multimediali. Un esempio fra i tanti può essere quello di Giorgio Lupattelli che da sempre sceglie nell'ambito della medialità i suoi soggetti, confrontandosi con i registri più diversi della grafica, della pubblicità, della fotografia, della musica e della letteratura, fino a mettere a punto un laboratorio totale di comunicazione.
Una terza possibilità che mira di più alla connivenza con situazioni ambientali quotidiane, sottolineando in esse la pervasività digitale in vorticoso aumento, può essere compresa seguendo attentamente la tendenza di Akihabara TV, un progetto realizzatosi a Tokio, che ha coinvolto numerosi videoartisti provenienti da diversi paesi istallandone le opere nei negozi di elettronica. Il gruppo di artisti che lo ha animato si chiama Command N. Anche qui si verifica la dissoluzione dell'identità artistica nei processi di espansione tecnologica generalizzata, perché si è già orientati ad accogliere la distribuzione delle risorse soggettive al di là dell'individualità.
Una quarta ipotesi è affidata alla pratica di gruppo come avvio di una metamorfosi dell'autore. Nel gruppo vi è l'impresa e lo spettacolo, la collettivizzazione dei segni e la frantumazione del significante per l'elaborazione del significato. Si tratta di nuove botteghe mediali alla prova della nuova industria tardo-contemporanea totale.




     

 
 

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