13/06/2002

 
Marina Sorbello 
 
 
Interviste ai co-curatori di Documenta11

 
   
Carlos Basualdo, Octavio Zaya e Ute Meta Bauer 
 
   
Carlos Basualdo




Octavio Zaya




Ute Meta Bauer




Gaston A. Ancelovici (Colectivo Cine Ojo)




Huit Facettes Dynamique Artistique & Culturelle




Igloolik Isuma Productions




Multiplicity




Raqs Media Collective




Black Audio Film Collective




tsunamii.net




Nomeda & Gediminas Urbonas




Alejandra Riera with Doina Petrescu



 
Carlos Basualdo

Marina Sorbello: Come descriveresti il ruolo di voi co-curatori nella Documenta 11? Venite da paesi diversi e avete interessi differenti: quasi degli ambasciatori delle idee?

Carlos Basualdo: In un certo senso siamo ambasciatori di un nuovo modo di pensare la cultura. Quello che abbiamo cercato di fare è stato presentare l'arte e la cultura contemporanea senza rimanere legati ad un particolare territorio, ma in maniera transnazionale. In questo senso abbiamo cercato di stabilire connessioni fra artisti che lavorano in contesti differenti, cercando di usare le informazioni per cambiare il modo in cui tradizionalmente guardiamo alla storia, e in relazione alla stessa idea di arte e di cultura. Spero che alla fine di Documenta l'impressione che il pubblico avrà del lavoro di questo team internazionale è non ci sono state discordanze a prosposito delle questioni della rappresentazione... Il nostro lavoro è stata come una lunga discussione open-end sul ruolo della cultura al giorno d'oggi. In passato l'idea della nazione era molto vicina all'idea di cultura, si pensi alle varie tradizioni nazionali. La vera operazione della modernità è stata quella di eliminare queste barriere nazionali. Al giorno d'oggi si può seguire l'itinerario di certe teorie dal Sudamerica all'Africa, all'America all'Europa, e così via. Penso che le idee nel 20mo secolo si caratterizzano per il fatto che viaggiano, e spero che la mostra riesca a riflettere questo...

MS: Nel dettaglio, come ha funzionato il vostro lavorare assieme?

CB: Ci sono state due componenti essenziali nel processo curatoriale: una è stata il discutere; l'altra è stata la ricerca. Questa della ricerca è una grandissima cosa di Documenta, che è una delle rarissime istituzioni che permette e incoraggia la ricerca. Questo è importante, perchè al giorno d'oggi nel mondo dei musei di arte contemporanea è sempre più difficile avere il tempo o il budget per fare questo tipo di ricerca. Sicuramente la critica individuerà delle aree in cui avremmo potuto fare o ricercare di più. In questi mesi abbiamo viaggiato e ricercato, talvolta insieme, perlopiù separati. Poi abbiamo avuto vari meeting a Kassel, per confrontare le varie esperienze ed incontri. Così a poco a poco la mostra ha preso forma. Non c'è stato un protocollo, è stato un processo di ricerca comune e aperto. In particolare abbiamo cercato sempre di contestualizzare le cose che abbiamo visto, e il lavoro degli artisti che abbiamo incontrato.

MS: A leggere la lista degli artisti, Documenta 11 è decisamente meno orientata al mercato che la recente Biennale di Venezia.

Penso che Documenta ha un concetto molto complesso. Solo guardando le statistiche è un evento diverso rispetto alle alte mostre. Documenta ha un budget che è piuttosto notevole, e offre al direttore artistico una grande libertà di fare la mostra come meglio gli pare. Enwezor ha optato per la struttura delle Platform, tentativo di capire la cultura contemporanea, e una mostra finale. La mostra avrà un enorme numero di lavori nuovi, e questo renderà Documenta diversa rispetto alle altre mostre. Inoltre il mix, fra artisti più e meno giovani o affermati è molto importante. Si troveranno artisti che si vedono nelle gallerie, e artisti invece impossibili da trovarsi in gallerie perchè semplicemente non operano in questo contesto. Non penso che Okwui Enwezor abbia fatto una scelta pro o contro il mercato, penso che semplicemente abbia cercato di creare una serie di connessioni fra tutte queste forme differenti di arte e di cultura... Inoltre penso che Documenta sarà speciale anche per l'enorme numero di lavori nuovi, ben 79 su 118 lavori/installazioni totali. Penso che il fatto di trasformare Documenta non solo in un luogo in cui vengono mostrate delle cose, ma in un posto dove vengono prodotte, incoraggiate e sostenute le idee degli artisti, sia un enorme e importantissimo passo avanti...


Octavio Zaya

Marina Sorbello: Come si relazionerà la serie delle quattro Platform con la mostra finale Documenta 11? Le discussioni sono da considerarsi una sorta di preparazione teorica per il pubblico, non sempre e non necessariamente al corrente teorie filosofiche e del dibattito accademico contemporaneo?

Octavio Zaya: Non penso affatto che le quattro Platform abbiano funzionato da sorta di incontri illustrativi-accademici al fine di preparare qualcuno per il grande statement finale, la mostra. Possono essere condiderate sicuramente punti di riferimento e pilastri per la msotra. Da una parte le Platform hanno proseguito la tradizione delle prime Documenta di interrogare e coinvolgere la società nel discorso e nelle attività del momento; mi riferisco alle prime sei Documenta e in particolare alla quinta, organizzata intorno alla questione di 'interrogare la realtà', e alla documenta X. Ciascuno di noi co-curatori ha partecipato e seguito attivamente le Platform, impegnandosi in una continua ricerca all'interno dei parametri suggeriti all'inizio da Enwezor. I dibattiti, cui hanno partecipato studenti, scrittori, filosofi, artisti e filmmaker, hanno portato alla luce, fra i vari temi, i fallimenti delle promesse delle democrazie liberali, il melting pot culturale, le nuove configurazioni dell'identità in epoca postcoloniale, le pratiche trans-nationali, trans-culturali e trans-urbane, l'emigrazione, la dislocazione, e le nuove narrative... La quinta Platform, Documenta 11, continua ed espande il lavoro avviato nelle Platform precedenti.

MS: Okwui Enwezor ha commentato la lista degli artisti definendola 'transnationale e trans-generazionale'. Vuoi aggiungere qualcosa?

OZ: La mostra include ogni genere di produzione culturale: scultura, fotografia, pittura, performance, film, video, suoni, architettura e testi, e pertanto estende i confini delle Documenta precedenti. Vorrei aggiungere che gli artisti che abbiamo selezionato superano l'auto-referenzialità. Le loro pratiche ed espressioni guardano verso l'esterno e causano domande, e rendono presenti i temi e le vite cui si riferiscono.

MS: Quali sono stati i criteri più importanti per te, nella selezione degli artisti?

OZ: Non provo mai a incasellare gli artisti all'interno di nozioni preesistenti. Credo che noi, il team curatoriale di Documenta 11, ci siamo mossi all'interno di margini estremamente ampi. Il contesto delle quattro Platform per me ha funzionato come una sorta di punto di partenza, che ha coinvolto diverse forme culturali, incluse le espressioni visive, performative, sonore, la scrittura, che indagano questioni come il 'da dove veniamo, dove siamo, e l'epoca in cui stiamo vivendo'. Attualmente la tecnologia e la ricerca stanno avanzando in maniera estremamente velocemente e anche la produzione culturale ha accelerato a tal punto, che possiamo dire di vivere in permanente transizione.

MS: Che tipo di arte avete ricercato dunque, e cosa ti aspetti dall'arte nel 21mo secolo?

OZ: Non mi sono mai aspettato molto dall'arte. Mi dispiace che la maggior parte di ciò che oggi viene considerato arte contemporanea ha capitolato agli interessi della moda e del mercato, ed è stato separato dalle idee e dalla società. All'interno del cosidetto mercato della cultura, l'arte è stata stumentalizzata a tal punto che è diventata quasi obsoleta. Sembra che l'arte sia diventata una semplice questione di stile, di 'brand' e faccia parte della 'Corporate Culture'. Io ho la tendenza ad avere a che fare con artisti che non hanno paura di sperimentare, e che hanno un ruolo più inquisitivo e di sfida. Non mi interessano quelle pratiche che pretendono di offrire statement risolti e completi. Mi interessano sempre più coloro che mettono in questione la produzione, la ricezione e/o la costruzione della cultura nella nostra società come pratica speculativa. Più rischi e meno sottomissione. Penso che i 'produttori di arte' hanno un ruolo molto importante da giocare nello sviluppo della nostra società. Per questo penso che sia assolutamente necessario che gli artisti mantengano e proteggano la loro indipendenza dalla costante seduzione del mercato...


Ute Meta Bauer

Marina Sorbello: Mi parleresti dell'esperienza curatoriale di Documenta 11?

Ute Meta Bauer: Okwui Enwwezor ha deciso di lavorare insieme a dei curatori dal backgroud differente, non necessariamente curatori "classici", ma che provengono dall'insegnamento e dalla ricerca, dall'arte e dalla pratica con progetti artistici. Naturalmente i nostri interessi personali e i progetti di ciascuno sono entrati a fare parte in un certo modo della Documenta, ma non in maniera diretta. In questi mesi abbiamo visionato moltissimo nuovo materiale, visitato tanti artisti e artiste nei loro atelier, e in particolare abbiamo viaggiato molto. Questo processo di ricerca è una parte importantissima di Documenta.

MS: Degli artisti che partecipano alla Documenta molti sono noti per le loro posizioni critiche e politiche. Quale tipo di arte avete ricercato durante la preparazione della mostra?

UMB: Ci è interessato quale ruolo può avere al giorno d'oggi la pratica artistica, e come gli artisti possono prendere parte attivamente nella società e possibilmente rivestire il ruolo di "intellettuali organici", come suggeriva Gramsci. In particolare in un tempo di grande instabilità politica e sociale come il nostro, ci interessa come gli artisti possono prendere posizione attraverso i loro lavori usando linguaggi estremamente diversi, che vanno dal video, alla pittura, alla scultura, alle installazioni. E come attraverso questi linguaggi vengano comunicate o espresse delle posizioni e dei commenti sulla attuale situazione politica e sociale, che possono arrivare a raggiungere la popolazione.

MS: Una sorta di sensibilizzazione della società attraverso l'arte?

UMB: In un certo senso. Come un modo di portare l'attenzione attraverso l'arte su particolari sviluppi nella società. Prendiamo ad esempio la questione della paura dello 'stranierio': in Europa attualmente c'è questo enorme movimento di destra, e d'altra parte abbiamo sempre più ristoranti etnici, dappertutto, dove anche coloro che votano a destra vanno a mangiare. Occorre dunque capire quale direzione abbiano preso queste persone, e perchè, e cosa sta dietro alle loro scelte... Tutto il capitolo del colonialismo e del postcolonialismo è per noi naturalmente importantissimo, e non si può parlare di globalizzazione senza fare riferimento alle teorie postcolonialiste. L'approccio degli artisti a queste teorie e alla realtà contemporanea è molto importante, e utile al fine di una maggiore apertura.

MS: Da cui anche la relazione fra la mostra vera e propria, e le Platform?

UMB: Abbiamo cominciato relativamente presto a lavorare insieme agli artisti, e le varie Platform sono state organizzate in un periodo di tempo relativamente breve. L'idea della serie di incontri è scaturita da Okwui Enwezor, ma ha anche a che fare con noi co-curatori e le nostre ricerche. Le discussioni si sono articolate fra teoria e prassi, alla ricerca di nuove forme di produzione del sapere che superino le barriere accademiche rivolgendosi ad un pubblico più ampio. Le tematiche oggetto delle Platform saranno da trovarsi nella mostra in maniera translata, non didattica.

MS: Come descriverebbe la mostra che sta per inaugurare?

UMB: Penso che la mostra sarà molto varia. Sarà grande, nel senso che ciascuno degli artisti avrà a disposizione relativamente molto spazio. Ci saranno film, diaproiezioni, videoproiezioni; non sarà solo una mostra di artisti giovani, ma ci saranno artisti di ogni età l'uno a fianco dell'altro. Ci sarà molto da sentire, da vedere, e ci sarà anche molto contenuto. E i lavori i mostra, in generale, avranno molto contenuto.

     

 
 

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