21/12/2006

 
Marco Izzolino 
 
 
La cultura Hip Hop

 
   
e il movimento A3 
 
   

















































 
La cultura underground (o controcultura, o cultura alternativa) ha una forte relazione con la cultura popolare tradizionale. Essa è nata nell'epoca del capitalismo sviluppato, quando l'industria culturale è stata trasformata dall'avvento dei mezzi di comunicazione di massa. E' quindi una reazione alla cultura "ufficiale", ma anche un prodotto di questa cultura nelle società industriali più avanzate (come Usa e Gran Bretagna soprattutto a partire dagli anni '50-‘60), e non si propone un recupero della cultura tradizionale, ma lo sviluppo di una cultura "popolare" nelle condizioni di una società medializzata.
La cultura undergroud non rifiuta gli strumenti di comunicazione delle società esistenti, ma cerca di utilizzarli a fini diversi da quelli della creazione di consenso sociale. Possiamo assumere, comunque, che la cultura underground sia un tentativo di diffondere e praticare prodotti culturali, comportamenti e stili di vita alternativi a quelli ufficiali della società industriali. È evidente, quindi, che c'è una relazione fra l'underground e i movimenti di massa di opposizione al capitalismo e alle politiche dei governi.

Tra le culture underground l'Hip Hop ha un eccezionale longevità: nata, infatti nel Bronx intorno al 1969 non ha mai smesso, fino ad oggi, di generare elementi innovativi in tutti gli ambiti culturali nei quali si è espressa (musica, danza, arte). Il motivo della sua grande longevità rispetto ad altri movimenti (come ad esempio il Punk e le sue derivazioni, tutte cronologicamente e geograficamente circoscrivibili) è il fatto che l'Hip Hop non ha un'identità ideologica rigida e si basa su una fondamentale modalità espressiva: l'incontro e la competizione.
Più che un'identità ideologica l'Hip Hop manifesta un "peccato d'origine", cioè può "attecchire" e crescere soltanto all'interno di contesti fisicamente e socialmente degradati, dove lo sviluppo della creatività è l'unica arma per combattere l'assenza di mezzi materiali.
L'incontro e la competizione tra due "artisti", due gruppi o due tendenze non sono funzionali al raggiungimento di uno status sociale, quanto piuttosto al miglioramento della propria creatività.

Fin dalle sue origini la cultura Hip Hop è cresciuta grazie alla competizione tra gruppi afro-americani, giamaicani e portoricani. Quando è uscita dai confini di New York, si è sviluppata grazie alla competizione tra le tendenze West Coast e East Coast.

La cultura dell'arte visiva di strada, sia abusiva, che legale, in tutte le sue tendenze, dipendenti o indipendenti tra loro (del graffiti-writing o della street-art), si è sviluppata all'interno della cultura Hip Hop. La tradizione muralista latino-americana si è "metropolizzata" già a partire da quei gruppi che hanno creato nei primi anni '70 l'Hip Hop nel Bronx ed è diventata un elemento fondamentale di questa cultura. Inoltre, poiché il graffitismo si è sviluppato per lo più grazie ad interventi abusivi su superfici pubbliche, tale forma d'arte è diventata una delle più coraggiose forme espressive dell'Hip Hop: poiché si ribella all'indifferenza delle istituzioni contrastando, con la creatività, le regole e i limiti che esse impongono.

Nonostante l'arte visiva di strada si sia evoluta, sia a diretto contatto con le altre modalità espressive dell'Hip Hop (principalmente la musica e la danza), sia in forma autonoma (tanto che esistono artisti che quasi disconoscono il genere musicale) essa conserva in ogni sua forma le caratteristiche costruttive della cultura da cui ha tratto origine.
La musica Hip Hop prende origine dall'incontro e il confronto tra due interlocutori che si stimolano a vicenda nella creazione di brani in FreeStyle. La musica dell'altro costituisce una sfida, ma nello stesso tempo anche un punto di partenza: più l'interlocutore è bravo e da il meglio di sé, più chi lo sfida deve migliorarsi per essere, se non superiore, allo stesso livello. Così anche nell'arte visiva di strada molto spesso i "pezzi" sono frutto dell'interazione tra diverse mani; spesso s'interviene addirittura su lavori che altri artisti hanno lasciato molto tempo prima (se li si considera superati li si copre, altrimenti li si "rispetta"). In sostanza non esisterebbe l'arte di strada se non con l'incontro ed il confronto con "l'altro".

Va detto, però, che rispetto all'arte di strada la musica Hip Hop ha due grossi vantaggi: 1) che nella formula base d'espressione, cioè il FreeStyle, può manifestarsi anche, e soprattutto, in ambiti legali d'incontro; 2) lì dove l'incontro non è possibile la musica può essere trasmessa e conosciuta attraverso supporti digitali standard di comunicazione (CD, MP3, ecc.).
Tali vantaggi hanno permesso alla musica Hip Hop di avere maggior influenza all'interno del sistema musicale internazionale, di quanto l'arte di strada abbia avuto nel sistema dell'arte contemporanea. Ciononostante il contesto degli street-artists viene continuamente "derubato" delle proprie idee da pubblicitari, stilisti, grafici e da quanti è richiesta per il proprio lavoro una continua innovazione della capacità comunicativa, a riprova del fatto che l'arte di strada costituisce la forma più avanzata di comunicazione visiva.

La necessità dell'arte visiva di strada di espandere i propri confini e, dunque, di trovare delle forme di comunicazione più rapide che vadano al di là dell'incontro diretto, è sempre stata molto forte. Quando, ad esempio, i graffiti si sono sviluppati sui treni, era perchè permettevano lo spostamento dei "pezzi" negli altri quartieri in modo che i gruppi opposti potessero vederli: per questo molti writer della "Old School" erano soliti apporre vicino alla loro "tag" un numero che rappresentava quello della loro strada.

Faccio mia l'opinione di CYOP di Napoli che i creativi siano gli operai del presente e del futuro. I creativi sono il motore dell'economia di oggi. Le grandi aziende hanno necessità di promuovere i propri prodotti in forme e modi (di comunicazione) sempre più innovativi; a tale scopo si rivolgono ai creativi, i quali, a loro volta, "derubano" il mondo dell'arte di strada delle proprie idee. Altre volte accade invece che, dopo un percorso formativo all'interno del contesto dell'arte di strada, siano gli artisti stessi a dedicarsi successivamente alla grafica, alla pubblicità, alla moda, ecc, e, dunque, a rivolgere la propria creatività al servizio delle AZIENDE.

D'altra parte il sistema dell'arte visiva contemporanea, almeno per come si è sviluppato negli ultimi trent'anni, non ha alcun interesse a consentire ad una cultura espressiva che ha la capacità di rivolgersi ad intere generazioni di giovani, di accedere al proprio "mondo", scardinando una realtà che si basa sull'illusione d'essere appannaggio d'una élite culturale.

Stanco di vedere una realtà artistica e culturale, la cui capacità d'innovazione nell'ambito della comunicazione è a dir poco esplosiva, continuamente derubata delle proprie idee, privata dei propri esponenti più interessanti, relegata ad un fenomeno secondario e illegale, ho scelto di progettare il movimento A3, che possa segnare l'inizio di un principio di "organizzazione". Non è possibile che la cultura Hip Hop continuamente rivoluzioni la realtà musicale contemporanea e lo stesso non riesca a fare l'arte visiva di strada! Chissà che dall'Italia non possa nascere un principio d'innovazione che tragga ispirazione dall'incontro/confronto col mondo dell'arte!!

Per questo movimento ho voluto cominciare prendendo spunto dall'ambito musicale: vorrei tentare di fornire all'arte di strada quei vantaggi che sono stati propri della musica underground e che sono mancati agli street-artists: un contesto legale frequentato da appassionati d'arte contemporanea e un supporto d'espressione standard che sia di facile trasporto e di semplice fruizione.

A3, la sigla che da titolo alla mostra, è il formato nel quale vorremmo che tutti gli artisti coinvolti si esprimessero (42 x 29,7 cm), su materiali facilmente trasportabili e spedibili a loro scelta: carta, cartone, stoffa, plastica, ecc. L'A3 costituirebbe un supporto standard, a metà strada tra un disegno (nelle dimensioni più diffuse, l'A4) e un manifesto (strumento solitamente usato per le strade); sarebbe l'equivalente del CD musicale, se disegnato direttamente, o dell'MP3 nel caso di un file digitale disegnato al computer.

Ad ogni artista coinvolto si è chiesto o si chiede di realizzare un album di disegni A3, così come si chiederebbe ad un musicista/cantante un album su CD con una media 10 brani. Come in un CD musicale ogni artista coinvolto può liberamente scegliere di realizzare un album nel modo che crede: 10 disegni tutti sullo stesso tema o tutti diversi o un unico grande disegno composto dei 10 fogli. Ecc.
Ogni mostra del movimento non intende avere un tema, ma vuole essere un reportage sulla Street-art in Italia e sulle sue possibilità di libero sviluppo.

Tutti gli album convergerebbero di volta in volta nei luoghi in cui il progetto A3 viene messo in mostra.

Il movimento ha preso avvio con la mostra A3 alla NOTgallery di Napoli (di cui sono direttore creativo) dove i disegni, giunti da tutta Italia, hanno costituito i mattoni di una mostra nella quale l'intera galleria è stata trasformata in un grande wall-paper. A gennaio la mostra sarà spostata in uno spazio Bolognese, in seguito in uno spazio romano e, successivamente, in altri spazi di altre città, coinvolgendo sempre più artisti e pubblico.

A3 intende essere un reportage sulle discipline eredi del writing: il progetto ha lo scopo di storicizzare il fenomeno della Visual Street Art in Italia e contemporaneamente di proporne una innovativa possibilità di sviluppo, sia in forma analogica che digitale.

Approfondimento 1:

Il paragone con la musica non l'ho fatto a caso. Ho usato nel progetto il termine "disegno" in senso generico (perchè ci sono artisti che producono disegni in brevissimo tempo!), non ho assolutamento escluso che potessero essere realizzati con supporti seriali.

E' vero che le registrazioni su CD ed MP3 sono seriali e tutte uguali, però è anche vero che la musica viene ascoltata in ambienti sempre diversi, con tecnologia audio sempre diversa ed a volumi ed equalizzazioni sempre diverse, cioè in sostanza: data l'incisione audio sempre uguale, essa viene presentata in forme e modi sempre diversi.
Creare in ambito artistico visivo dei lavori seriali (stampe, fotografie, ecc.) esclude quest'ultima possibilità, non la
esclude però l'utilizzo di modalità di lavoro seriali.
Mi spiego meglio.
Un lavoro a stampa, su foto o su poster, ecc. è generalmente fine a se stesso (tanto che spesso viene incorniciato); non lo sono più se sono pensati specificamente per interagire con lo spazio in cui devono essere messi (così come CD ed MP3 devono interagire con l'impianto stereo in cui devono esser messi).
Un banalissimo esempio di quello che dico potrebbe essere: una fotografia o un poster nel quale l'artista chiede che il suo fruitore colori una parte o più parti con colori a sua scelta (o a scelta tra una gamma fornita dall'artista)... in questo modo data l'incisione sempre uguale, essa verrebbe presentata in forme e modi sempre diversi (come la musica).
Dico questo perché credo che aveva un senso fare incisioni fino all'800, quando la serialità era un'eccezione all'interno di un contesto produttivo completamente artigianale, non ha più senso oggi dove tutto ciò che l'uomo produce (fra poco anche egli stesso) è prodotto serialmente. Compito dell'artista è dunque, secondo me, sfruttare la serialità per arrivare a
più persone possibile, ma con lavori che possano stimolare nei fruitori la propria individualità e personalità.

Approfondimento 2:

Ogni mostra può essere contenuta in una valigetta. Ogni lavoro può arrivare, come è arrivato alla NOTgallery di Napoli, per semplice spedizione postale (esattamente come si spedirebbe un CD).
Il critico/curatore si sposta di mostra in mostra con la valigetta piena di disegni di artisti di provenienza contesti e generi diversi, come un DJ che si muove di serata musicale in serata conducendo con se la propria valigetta di CD di artisti di ogni dove.
Non sarebbero più gli artisti a cercare luoghi d'epressione ma le opere a girare in contesti sempre nuovi i quali non chiedono altro che d'essere espressivi.

     

 
 

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