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18/06/99

 
Gabriella Belli 
 
 
IL MART DI TRENTO E ROVERETO

 
   
Un progetto culturale ed economico territoriale 
 
   

 
 
Nel Trentino stiamo costruendo una nuova struttura e il primo problema che ci siamo posti è stato quello di agire in maniera tale che il territorio, su cui graviterà il museo, sia partecipe di questo singolare evento, che in misura più o meno grande trasformerà la fisionomia culturale, economica e sociale del territorio. Dietro la costruzione di questo museo esiste infatti un progetto culturale ma anche un progetto economico, che ha inteso questo grande investimento come una possibilità concreta di sviluppo del settore turistico, una delle fonti di reddito primario della nostra provincia. Inutile dunque dire di quanto sarà importante che l’intera comunità sia pienamente consapevole di ciò che si progetta e si promuove. Ma come avviene il raccordo con il territorio? In prima istanza con la comunicazione più o meno sofisticata, ma costante e continuativa nel tempo, in secondo luogo con il dibattito pubblico e con la partecipazione diretta dei cittadini o di loro rappresentati alla vita e alle decisioni del museo (per es. Associazione Amici del Museo), in terzo luogo attraverso servizi e strategie promosse dal settore della didattica.
Parlando di didattica va rilevato che si tratta di un investimento a lungo termine ma sicuramente tra i più redditizi in termini culturali della struttura museale.
Al MART abbiamo attivato fin dal 1982 una sezione didattica, sezione che oggi può contare circa ventimila presenze l’anno. Un investimento davvero consistente del quale oggi possiamo tenere conto nelle proiezioni sulla futura utenza: questo costante processo di alfabetizzazione all’arte dà infatti sempre maggiori frutti.
Ma altri possono essere i raccordi tra museo e territorio, come per esempio le associazioni degli amici del museo. Un’esperienza questa che come è noto è stata lungamente sperimentata all’estero ma che in Italia non ha ancora riscosso quel successo necessario a far sì che queste associazioni diventino di fatto fonte irrinunciabile di consenso e talvolta anche di finanziamento.
All’estero dove sono attive da anni, queste associazioni sono ormai una parte fondamentale della vita del museo. In Italia invece, le poche che esistono si sono spesso e volentieri costituite come controparte della direzione scientifica o amministrativa del museo, con risultati assolutamente negativi.
Se pensiamo che queste associazioni possano di fatto costituire un raccordo “forte” con il territorio bisognerà perciò fare in modo che esse diventino una vera e propria cordata di solidarietà culturale e di sostegno finanziario dei musei.
Il problema del raccordo con il territorio significa anche la necessità di indirizzare la struttura verso una concezione di museo-impresa.
Adottare un concetto di impresa significa attuare una gestione efficace ed efficiente, ovvero capace di ricavare utili culturali ed economici dal proprio lavoro e dalla vendita dei propri servizi. Perché se è vero che il museo non dovrà mai essere guidato da una logica di profitto, essendo un impresa di tipo culturale, è altrettanto vero che esso potrà e sempre più dovrà ricavare utili dalle proprie attività.
Gli utili di un museo possono oggi essere ricavati dall’attivazione di nuovi servizi, come per esempio la vendita di iniziative culturali, di consulenze specialistiche, l’affitto di spazi, o, ancora, dall’area del merchandising, ovvero dalla vendita delle proprie icone e della propria immagine sotto forma di oggettistica e di editoria, pensiamo per esempio ai diritti d’autore.
Queste nuove fonti di reddito sono anche fonti di investimento, capaci di ottimizzare proprio grazie alla qualità dell’offerta, il rapporto del museo con il suo pubblico.


Il MART, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto

Il terzo punto del mio intervento sarà direttamente collegato alle vicende del Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, che dirigo dal 1982.
La sua storia è abbastanza anomala in un paese come l’Italia che non è mai stato particolarmente generoso nel settore e nei confronti dei beni culturali. Il Trentino Alto Adige ha un grande vantaggio rispetto alle altre regioni d’Italia, essendo una regione a statuto speciale. Le regioni a statuto speciale hanno competenza primaria in vari settori e nel caso specifico la nostra regione ha competenza primaria nel settore dei beni culturali. Competenza primaria significa che la regione può legiferare, significa che la regione a sua disposizione ha risorse economiche per gli investimenti, significa, in sostanza che in un territorio periferico come il Trentino è stato possibile progettare una delle più grandi strutture museali d’Italia.
Dico questo perché tutto quello di cui parlerò, che non è affatto eccezionale nell’ambito di un confronto europeo, diventa assai importante nell’ambito di un confronto italiano. Non c’è dubbio infatti che in assenza di questa particolare autonomia politica, nulla si sarebbe potuto fare e lo Stato certo avrebbe avuto priorità diverse rispetto all’investimento in una regione così lontana e fuori dai circuiti tradizionali dell’arte come il Trentino.
Va inoltre rilevato che in Italia l’investimento nel settore museale, peraltro sempre raro ed eccezionale, è per lo più rivolto all’ambito dell’antico, o del suo recupero. In questo nostro Paese purtroppo la questione della contemporaneità non è sentita come un problema cruciale. Nel settore dei Beni Culturali si lavora e si vive con uno sguardo sempre rivolto al passato, spesso nella logica della pura conservazione. In questa nostra nazione il passato fagocita il presente, che è sentito quasi come una sorta di stato d’animo più che una condizione storica.
Per questa ragione in Trentino, come in quasi tutte le altre regioni d’Italia in passato non è mai esistita una tradizione della contemporaneità. Nel campo del collezionismo pubblico infatti, qui come altrove, non sono mai state realizzate raccolte d’arte contemporanea. Tutto ciò che oggi i musei possiedono proviene per lo più da donazioni o lasciti di collezionisti privati. È cosa nota del resto che le collezioni pubbliche in Italia, mi riferisco anche a musei metropolitani importanti, si fermano per lo più agli anni Cinquanta/Sessanta. Se le cose continueranno così la contemporaneità in questo Paese sarà solo un vuoto pauroso.
A fronte di quanto sopra voi potete immaginare le difficoltà incontrate nel far approvare un progetto di investimento per una nuova struttura museale dedicata all’arte contemporanea. Tutto ciò in un territorio in cui l’aspetto culturale non è mai stato sentito come una priorità.


Il progetto del MART: didattica, ricerca e produzione culturale

Il progetto della nuova sede viene da lontano, dai primi anni Ottanta, quando emerse l’esigenza di fondare un centro espositivo dedicato all’arte moderna e contemporanea. A quell’epoca in Trentino il dibattito sulla questione era molto acceso, anche grazie ad un forte impegno e ad una forte pressione degli artisti attivi sul territorio.
Venni incaricata di realizzare questo progetto, per il quale era stato messo a disposizione un prestigioso edifico cinquecentesco appena ristrutturato, Palazzo delle Albere. Nel 1982 iniziai a lavorare in una situazione logistica e organizzativa assai precaria. Il bilancio a disposizione era meno che esiguo e così pure il numero dei miei collaboratori. Una delle mie prime decisione fu quella di attivare attorno al museo una collaborazione con gruppi di volontari, cui venni via via affidando la gestione di alcuni servizi basilari della struttura nascente, come per esempio il settore della didattica.
Il settore iniziò la sua attività in via sperimentale ancora nel 1982. Fu la prima sezione di didattica museale funzionante sul territorio provinciale.
Accanto alla didattica, ho attivato il settore della ricerca scientifica, il cuore pulsante di tutta l’attività della nostra istituzione. Per ricerca intendo il fatto che il nostro museo non vuole essere una struttura nella quale si ospita la cultura o nella quale transita la cultura, ma piuttosto vuole essere una struttura nella quale si produce cultura. Per produrre cultura ci si può avvalere di collaborazioni esterne di studiosi di chiara fama, specialisti nei vari campi, strada da noi ampiamente battuta, ma si può anche produrre cultura creando all’interno della struttura dei fondi specializzati e unici nel loro genere, fonti inestimabili di ricerca. Ho fondato così, proprio per perseguire questo obbiettivo, l’Archivio del ‘900, una sorta di dipartimento interno al museo, votato alla ricerca scientifica e organizzato in settori che vanno dal Futurismo, alla danza moderna e contemporanea, all’architettura, al design. A sua disposizione oltre 100.000 carte, moltissime inedite, provenienti dall’acquisizione di prestigiosi archivi di artisti, architetti e uomini di cultura del nostro secolo.
Il discorso archivi È a mio parere cruciale. Il MART è un museo periferico, che se pure ha ereditato competenze culturali rispetto ad un territorio con delle emergenze significative dal punto di vista artistico, è anche vero che è povero di grandi capolavori, fatta eccezione per alcune collezioni in deposito, come per esempio la collezione Giovanardi costituita da oltre 60 capi d’opera dell’arte italiana del ‘900.
Grazie alla politica degli archivi, oggi siamo diventati un museo che può produrre cultura, nel quale l’asse di interesse prioritario è passato dal quadro al documento, alla ricerca scientifica. Lungo questa direttrice si orienteranno anche in futuro gli indirizzi programmatici del MART. Per questa strada il MART crescerà.


Le attuali sedi del museo: Palazzo delle Albere a Trento

È un palazzo cinquecentesco, fuori le mura, costruito dalla famiglia dei Principi Vescovi Madruzzo durante il Concilio di Trento. L’area disponibile per l’attività è di circa 1800 mq.
Alla sua nascita, nell’82, il museo non era un ente autonomo, ma un ufficio della Provincia Autonoma, collegato direttamente con il Castello del Buonconsiglio. ciò significa che la sua struttura non era agile e competitiva, perché il suo sviluppo era di fatto rallentato dai meccanismi della burocrazia.
Nel 1986 superate molte difficoltà e dopo una serie di fortunate iniziative come la mostra dedicata a Giovanni Segantini, visitata da 100.000 persone, gli amministratori decidono di dare finalmente autonomia gestionale e finanziaria al museo, che diventa così un ente autonomo pubblico, finanziato dalla Provincia, e gestito da un consiglio di amministrazione, un comitato scientifico, un direttore e un collegio di revisori dei conti.
Arma vincente di una struttura di questo tipo, oltre a molte “leggerezze” amministrative, è il bilancio pluriennale, che consente programmi a lungo termine.
Il nuovo museo, denominato Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (MART), nasce anche grazie alla collaborazione della Città di Trento e della Città di Rovereto. Rovereto dista soli 18 km da Trento. Nel 1957 grazie a Depero qui nasce il primo e unico museo futurista d’Italia. Alla morte di Depero il Comune eredita oltre 3500 opere e il suo straordinario archivio. Nel 1987 questo patrimonio viene unito a quello di Palazzo delle Albere. Da qui la necessità di dare anche a Rovereto una sede adeguata ad ospitare l’attività del MART, che per sua configurazione istituzionale insiste su due realtà geografiche, Trento e Rovereto appunto, oltreché tutto il territorio provinciale. Nel 1987/88 quando la legge diventa operativa, il Comune di Rovereto decide insieme alla Provincia di pensare al progetto di una nuova sede. Risale proprio a quel torno di tempo il primo incarico per un progetto di massima all’architetto ticinese Mario Botta.


Le sedi di Rovereto: l’Archivio del ‘900 e la Casa Museo F.Depero

Nel frattempo al MART viene attribuita una sede provvisoria, denominata Archivio del ‘900, sede nella quale prende corpo il progetto fondativo del museo, quello appunto di centro di ricerca formato da archivi, biblioteca, fototeca, diateca, cineteca ecc. Tutto questo transiterà nella nuova sede, non appena pronta.
Il piccolo e vecchio museo Fortunato Depero invece, collocato nell’antica casa del monte dei pegni della città, verrà naturalmente conservato. Depero fu molto innovativo nel concepire il suo museo, attrezzato con degli spazi organizzati per fornire un servizio lettura, informazioni, incontro tra artisti. Depero aveva pensato ad una museografia funzionale al rapporto tra pubblico e opera d’arte.
Nelle sale del museo Depero vi sono degli affreschi e dei mosaici da lui realizzati, il mobilio cerca di riproporre ciò che era stato il suo laboratorio d’arte, aperto a Rovereto nel 1919, dopo la fortunata stagione creativa di Capri e Roma.


I servizi: bookshop, caffetteria, didattica

In tutte le nostre sedi, prima dell’approvazione della ben nota legge Ronchey, abbiamo aperto dei servizi aggiuntivi, quali il bookshop e la caffetteria.
Il merchandising in particolare ci ha dato molte soddisfazioni. Una osservazione importante: in piccole strutture funziona molto bene quando è collegato all’immagine istituzionale o delle collezioni, molto meno bene quando è collegato a singole iniziative temporanee.
Un altro servizio fondamentale è costituito dall’attività didattica. Obiettivo importante per la didattica museale era quello di portare gli utenti verso una creatività autonoma dagli stereotipi, verso un approccio naturale e gioioso con l’opera d’arte, verso, infine, una coscienza del valore educativo e sociale dell’arte e del museo. Il nostro principio guida è stato quello dell’alfabetizzazione all’arte.


La nuova sede: le funzioni

Le ragioni per costruire una nuova sede sono state molteplici, sia d’ordine culturale che logistico. Dal primo punto di vista è stata soprattutto l’esigenza di dare visibilità alla nostra tradizione dell’arte, parimenti divisa tra spirito mediterraneo e cultura nordica, dal secondo l’esigenza di spazi e servizi adeguati alla domanda del pubblico e ad uno standard europeo.
La concezione dell’edificio progettato da Mario Botta si basa su due elementi importanti: da una parte la buona integrazione con la parte settecentesca della città, sulla quale verrà ad insistere la nuova costruzione, dall’altra l’idea di proporre un immagine forte del museo, pur in assenza di spazi ampi sui prospetti e sulle facciate in vista, perché chiuse sul retro di edifici già esistenti. Per risolvere il problema della visibilità, ovvero del grado di rappresentazione simbolica, Botta ha investito di valore architettonico monumentale la facciata interna dell’edificio, quella prospiciente la piazza circolare.
Il museo occuperà 4 piani. Nel complesso è anche previsto l’ampliamento della biblioteca civica, un auditorium, e un grande parcheggio sotterraneo.
La spesa prevista per la costruzione è di 89 miliardi, di cui 43 per la costruzione della sola macchina museale.
L’opera è tutta finanziata e già in fase di costruzione. I tempi di consegna previsti sono il dicembre 2000. L’apertura è prevista quindi per la primavera del 2001.
Nel piano interrato sarà situato l’archivio, la biblioteca, l’area depositi e il caveau.
Al piano terra, oltre alla grande hall con area caffetteria, guardaroba, bookshop, una grande zona servizi per il restauro, il carico e scarico, lo stoccaggio delle opere e delle casse, la falegnameria. La zona per l’esposizione temporanea sarà situata in parte al primo piano e in parte al secondo. Le collezioni permanenti saranno ospitate in circa 4000 mq. L’illuminazione sarà naturale per l’area permanente, mista, artificiale e naturale, per le mostre temporanee. I percorsi espositivi permanenti prenderanno avvio dal futurismo. Il progetto prevede accanto all’esposizione dei capolavori, l’organizzazione di aree espositive flessibili, che muteranno nel tempo, allestite con i cosiddetti materiali del museo. Aree di ricerca in continua trasformazione, che bene rappresentano il concetto di museo come una realtà flessibile e dinamica, che deve continuamente suscitare sorpresa e meraviglia.
Il percorso permanente si svilupperà dunque su due livelli: un livello minimale che è quello dei capi d’opera e un livello di ricerca che è quello delle aree contigue, flessibili che muteranno appunto fisionomia ogni 6-7 mesi, mettendo di volta in volta in gioco i materiali del museo. Per questa strada il museo diventerà uno spazio vivo e tutti suoi materiali avranno una fruizione continua e un’ampia visibilità. Nella nuova sede l’orientamento museografico sarà assolutamente interdisciplinare.

Gabriella Belli è Direttrice del MART di Trento e Rovereto

Questo testo propone l'intervento di G.B. al seminario Il museo imprenditore organizzato dal prof. Francesco Mauri nel 1997/98 all’interno del laboratorio tematico per il quinto anno del Corso di laurea in disegno industriale del Politecnico di Milano, Facoltà di architettura.