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15/07/99

 
Vanni Codeluppi 
 
 
MUSEO: OLTRE IL NON LUOGO

 
   
Se Batman, Robin e Joker si incontrano al museo di Gotham City 
 
   

 
 
Il museo e tutti i nuovi luoghi del consumo possono essere fatti rientrare in una categoria interpretativa messa a punto dall’antropologo francese Marc Augé: i “non luoghi”. Questi sono “le vie aeree, ferroviarie, autostradali e gli abitacoli mobili detti ‘mezzi di trasporto’ (aerei, treni, auto), gli aeroporti, le stazioni ferroviarie e aerospaziali, le grandi catene alberghiere, le strutture per il tempo libero, i grandi spazi commerciali e, infine, la complessa matassa di reti cablate senza fili che mobilitano lo spazio terrestre”.
Secondo Augé, tali particolari luoghi sono accomunati dal fatto di contrapporsi alla tradizionale concezione antropologica che considera il luogo come uno spazio fisico legato a una precisa cultura, cioè dotato di solide radici in un contesto sociale e storico ben determinato e, pertanto, consente quelle relazioni con il prossimo grazie alle quali ciascuna identità, sia essa personale o di gruppo, può costituirsi e mantenersi stabile nel tempo. Augé sostiene, infatti, che nei non luoghi l’individuo, nell’attuale fase di “surmodernità” che caratterizza le società più avanzate e che rappresenta sostanzialmente una forma di estremizzazione della cultura moderna, è costretto a vivere in una situazione di solitudine e provvisorietà. È cioè sottoposto a tre tipi di eccessi: “un eccesso di eventi che rende la storia difficilmente pensabile, un eccesso di immagini e di riferimenti spaziali che hanno l’effetto paradossale di richiudere su di noi lo spazio del mondo, e un eccesso di riferimenti individuali, intendendosi con questo l’obbligo di pensare da soli il proprio rapporto con la storia e con il mondo in seguito al crollo di ciò che Durkheim chiamava i ‘corpi intermedi’ e all’impotenza confermata dei grandi sistemi di interpretazione”.
Ne deriva che per Augé nei non luoghi l’individuo può liberarsi completamente da quel gravoso fardello che è rappresentato dalla sua identità personale e che ritrova soltanto al momento dell’uscita. Diventa cioè una sorta di anonimo viaggiatore che attraversa un territorio a lui estraneo, anche se per poterlo fare deve prima fornire una prova dell’identità posseduta (e conseguentemente anche della propria “innocenza” e affidabilità), attraverso un documento di riconoscimento o una carta di credito, altrimenti gli vengono negati l’accesso e la possibilità di fruizione del non luogo.
In realtà, in quelli che Augé chiama non luoghi l’individuo non perde la propria identità, la quale viene invece trasformata e resa adeguata alla nuova situazione, che si presenta all’insegna del consumo. Perché è evidentemente la cultura del consumo il tratto comune ai tanti e diversi non luoghi che tendono ad occupare il territorio delle società più avanzate. Se consideriamo l’aeroporto, uno dei non luoghi citati da Augé, possiamo vedere come esso oggi sia sempre più un luogo di consumo: c’è il consumo dei beni del freeshop, che è l’attività principale di chi aspetta di partire, e lo stesso viaggio aereo è una forma di consumo. Non è un caso perciò che gli aeroporti si stiano progressivamente trasformando in enormi shopping center, con boutique e negozi specializzati di alto livello, così come sta d’altronde avvenendo anche alle altre tipologie di non luoghi (dalle stazioni alle autostrade).


I “non luoghi” come luoghi di consumo

Quindi, in realtà, quelli considerati da Augé non sono non luoghi ma luoghi di consumo, supermerci, enormi “merci-contenitori” che contengono al loro interno tante altre merci pronte per essere consumate. L’espansione delle supermerci è resa possibile dalla scomparsa della necessità per l’individuo di appoggiarsi sulla cultura di un luogo per costruire e radicare la propria identità sociale. Quest’ultima viene oggi definita soprattutto mediante il consumo, cioè mediante i beni acquistati e la specifica sintassi che ciascun individuo è in grado di costruire grazie a questi beni.
D’altronde, non è un caso che, come sostiene lo stesso Augé, “lo straniero smarrito in un Paese che non conosce (lo straniero ‘di passaggio’) si ritrova soltanto nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio, dei grandi magazzini e delle catene alberghiere. L’insegna di una marca di benzina costituisce per lui un punto di riferimento rassicurante ed è con sollievo che ritrova sugli scaffali del supermercato i prodotti sanitari e i casalinghi consacrati dalle marche multinazionali”.
Questo non è, come sostiene Augé, un fenomeno paradossale, dal momento che le supermerci sono in grado di produrre identità allo stesso modo dei luoghi tradizionalmente studiati dagli antropologi. Per gli individui sono altrettanto ricchi di significato dei luoghi antropologici tradizionali. Certo, in essi non c’è storicità in quanto sono di nascita recente, perché la cultura del consumo è caratterizzata da una focalizzazione sul presente e il passato è vissuto solamente nelle forme del revival, ma ci sono l’identità e la relazione, gli altri due elementi che, secondo lo stesso Augé, caratterizzano il luogo antropologico tradizionale. Il consumatore, infatti, è in grado di costruirsi delle paradossali identità stabili ma “nomadiche”, cioè non radicate in un luogo particolare, e comunque si affeziona anche ad alcune supermerci, ne impara a riconoscere gli spazi, i percorsi e i luoghi di ritrovo.
L’identità viene definita dal consumatore anche attraverso un processo di costruzione sociale dell’immagine di quel corpo individuale che rimane la più preziosa risorsa a disposizione del soggetto dopo la disgregazione di quasi tutti i legami collettivi. Ciò avviene però sostanzialmente adornando il corpo stesso con molti dei beni di consumo acquistati. Dunque, nel momento in cui il concetto di “luogo pubblico” tradizionale tende a scomparire, perché semplicemente perde di significato la determinazione culturale dei luoghi storici della città, la società rende pubblici dei luoghi che sono privati, cioè, come le supermerci, posseduti da qualcuno, ma trasforma anche il corpo in un nuovo “luogo pubblico”, una sede decisiva per gli scambi di informazioni, dove circolano quei flussi comunicativi che sono oggi assolutamente necessari per la costituzione e il mantenimento dell’identità individuale.


Batman e dintorni

Nel più recente film della serie del supereroe Batman, Batman & Robin, è particolarmente importante il ruolo svolto da un museo di scienze naturali. In quello che ha dato avvio alla serie, Batman, c’è invece un museo d’arte. Forse non è un caso che nei kolossal americani recenti siano presenti così tanti musei. Ce ne sono, per esempio, anche nei due film diretti da Steven Spielberg sui dinosauri. I musei sono dei luoghi sicuramente suggestivi, ma anche di grande attualità in quanto, come si è detto, è in corso un processo di crescita d’importanza per tutte le supermerci, musei compresi.
Nel film Batman c’è una scena particolarmente importante a proposito del museo. In questa scena il regista Tim Burton mette in scena il conflitto sociale in atto nella nostra cultura postmoderna tra la nostalgia dell’opera spettacolare conchiusa in se stessa (l’opera d’arte classica racchiusa dentro una cornice) e il nuovo assetto ipermediale che sta coinvolgendo oggi il mondo delle comunicazioni e che si basa su una comunicazione di flusso, sulla disgregazione della struttura della cornice. All’interno del film Batman c’è dunque un conflitto tra due diverse concezioni estetiche: da un lato, quella di Batman e di Gotham City (la città gotica, una New York trasfigurata che rappresenta in qualche modo la tradizione), dall’altro, quella del Joker, l’antagonista. Su tutti i piani del film, troviamo così due concezioni che si confrontano:

- un’identità doppia e schizofrenica (Batman) e un’identità “forte” in quanto totalmente simulata ed esteriore (Joker);
- un mondo oscuro ed introverso (il mondo della notte è quello di Batman) e un mondo solare e spettacolare (quello del Joker);
- il tecnologico e il primitivo istintuale;
- la vendetta e l’uccisione come gioco;
- il nero assoluto e l’esplosione cromatica;
- la conservazione e l’avanguardia.

A tale proposito, la scena ambientata nel museo è una scena chiave, perché il Joker vi sostiene di non essere un killer ma un artista, si accanisce con secchiate di colore simili a quelle lanciate dagli artisti del movimento Action Painting su tutte le opere che sono antecedenti all’epoca delle avanguardie storiche, pratica una forma personale di Body Art scolpendo direttamente sul corpo umano vivente (quindi con una grande sintonia con quelle che sono le tendenze più attuali del mondo dell’arte, ma anche portando queste ultime alle loro più estreme conseguenze), gioca con il linguaggio, alla maniera dei rapper ma anche come facevano i futuristi. Gli uomini del Joker, inoltre, sfruttano i segni della cultura Hip Hop dei giovani neri afroamericani (dall’abbigliamento da rapper alla gigantesca radio da cui esce la musica del musicista e cantante Prince).
Ma se la società nel suo insieme vive ancora questa contraddizione, non è un caso che il personaggio con cui il regista sintonizza maggiormente sia il Joker, perché questi non è solo l’antagonista di Batman e di tutto ciò che è rappresentato da Batman stesso in termini estetici, ma simboleggia in qualche modo il superamento della contrapposizione vissuta dalla società, la capacità di padroneggiare una cultura spettacolare e ipermediale che tende al superamento di questa contraddizione, quindi una cultura dove conservazione e avanguardia sono già fuse insieme.
È dunque importante, nel momento in cui ci si pone in atteggiamento di riflessione verso il ruolo sociale attuale del museo, dunque di un grande contenitore culturale, pensare a ciò che sta avvenendo nella società e a quelle che sono le principali tendenze nel campo dell’estetica e delle forme espressive. Nella scena del film considerata ci sono una serie di elementi centrali per quello che riguarda l’evoluzione attuale della nostra società e della nostra cultura. L’ha messa in luce anche Alberto Abruzzese, che parlando proprio di questa scena ha sostenuto che: “Joker vuole mostrare tutta la sua ricchezza interiore al cospetto della quale non vi è Forma [...] né dell’Antico né del Moderno [...] che possa reggere il confronto, conservare il suo luogo e affermare il suo valore. Il consumo è per Joker una pulsione insaziabile e sfrenata verso tutto ciò che gli resiste, che gli si oppone, che gli manifesta la sua ‘oggettività’. Joker costruisce la propria identità che è vocazione ad essere ovunque ‘presente’, a segnare di sé il tempo e lo spazio [...] sulla totale consumazione del mondo esterno. Consumo di uomini e di cose; su queste ultime l’effetto del consumo non è meno doloroso di quello esercitato sui corpi. Esercizio della tortura come ‘arte plastica’, invenzione, lavoro. La violenza sull’ambiente non è inferiore a quella sulla comunità; di fronte al magistrale tocco delle sue invenzioni diaboliche [...] divisorie, catastrofiche [...] gli esseri e le cose si spengono, si congelano, lasciando la scena al loro distruttore. Joker non ha il senso della misura: sempre riduce a giocattolo la vita e sempre la distrugge per scoprire il segreto meccanismo, proprio come il bambino di Baudelaire (che [...] guarda caso [...] giocava persino con il cadavere di un topo di fogna). Joker è un dandy postmoderno in cui la filosofia dell’arte per l’arte si è trasformata in quella del consumo per il consumo. Consumo che [...] assolutamente ‘gratuito’ [...] si è spinto oltre ogni naturale bisogno e non ammette resistenze e resti, producendo invece voragini del senso, buchi neri dell’esperienza, sublimi assenze. Una risata che non può mai rimarginarsi”.

References

D. Blair, Oasi nella città. Design commerciale e del tempo libero, in “Flash Art”, anno XXX, n. 205, estate 1997.

G. MacDonald, Epcot Centre in museological perspective, in “Muse”, vol. 27, n. 9, spring 1988.

J. Baudrillard, Simulacri e impostura. Bestie, Beaubourg, apparenze e altri oggetti, Bologna, Cappelli, 1980.

A. J. Greimas, La semantica strutturale. Ricerca di metodo, Milano, Rizzoli, 1968 e Del senso, Milano, Bompiani, 1974. e Del senso 2. Narrativa, modalità, passioni, Milano, Bompiani, 1985

J.-M. Floch, Identità visive, Milano, Angeli, 1997

V. Codeluppi, La pubblicità. Guida alla lettura dei messaggi, Milano, Angeli, 1997

M. Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano, Elèuthera, 1993, p. 74.

M. Augé, Storie del presente. Per una antropologia dei mondi contemporanei, Milano,
Il Saggiatore, 1997, p. 129.

M. Douglas e B. Isherwood, Il mondo delle cose. Oggetti, valori, consumo, Bologna,
Il Mulino, 1984.

A. Abruzzese, Viaggi di ritorno. Saggi sulla comunicazione (1981-1993), Bologna, Esculapio, 1995

Questo testo propone l'intervento di V.C. al seminario Il museo imprenditore organizzato dal prof. Francesco Mauri nel 1997/98 all’interno del laboratorio tematico per il quinto anno del Corso di laurea in disegno industriale del Politecnico di Milano, Facoltà di architettura.