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3/09/99

 
Alberto Veca 
 
 
Il consumo della memoria

 
   
La doppia natura del museo: custode e propulsore 
 
   

 
 
L'uomo contemporaneo è un consumatore di memoria e spesso affida quest'ultima a degli strumenti esterni, dalla capacità di ritenzione particolarmente estesa. Questi strumenti sono la replica, aggiornata, dell'antica ambigua condanna della scrittura formulata da Platone nel Fedro: Phármakon come medicina ma anche come veleno, strumento adeguato a far ricordare, ma capace di eliminare il monopolio della memoria orale, il tesoro della mente del singolo individuo.
Il museo non deve, però, essere solo conservazione della memoria, infatti sin dalla sua origine ha delineato un?altra tendenza, quella di assumere una funzione propositiva.
Il museo ha una natura di custode, custode della memoria, ciò non implica che il museo debba svolgere solo un ruolo ?passivo? e rivolgersi necessariamente al passato, in quanto può accogliere anche il presente, registrandolo, catalogandolo, e comunque affidandolo a una memoria durevole.
Per celebrare la riapertura della milanese Pinacoteca Ambrosiana, avvenuta due anni fa, erano stati appesi dei manifesti, magari discutibili dal punto di vista grafico, sui cui spiccavano le parole 'Pinacoteca' e 'Biblioteca'.
Questi due universi, quando il Cardinale Borromeo decise di donare la sua collezione di quadri e di libri alla città, rientravano in un disegno preciso finalizzato alla 'custodia della memoria', attuabile attraverso la creazione di un'Accademia del disegno, che si poneva allora come ente attivo e propositivo.
In questo modo si è arrivati alla prima definizione moderna di pubblico, benché selezionato dall?unione di Pinacoteca e Biblioteca: un pubblico in grado, quindi, di passare da un ambiente all?altro con estrema facilità.
Come è noto, l?ottimo pittore vasariano non deve essere solo l?uomo dotato di capacità manuali, ma anche l?uomo delle lettere, della filosofia o della morale: questa premessa giustifica la scelta significativa di Michelangelo come modello in quanto capace di essere valente in tutte le arti, della mano come del pensiero.
Il pubblico selezionato come veniva inteso allora, a differenza di quello di oggi, era attivo, basava la sua attenzione al museo su un piccolo assioma, oggi venuto a cadere: il concetto di imitazione.
La didattica del Cardinale Borromeo si basava sull?idea che l?imitazione dell?antico fosse l?imitazione del modello perfetto, e quindi come tale il moderno, il contemporaneo, coincideva con lo studio e la reinterpretazione del passato.
Il primo museo in senso stretto è quello realizzato da Paolo Giovio a Como tra il 1537 e il 1543, circa settanta anni prima che Federico Borromeo cedesse alla città di Milano la sua raccolta e, come l?Accademia del Cardinale, anche questo museo prevedeva la biblioteca. Non dobbiamo pensare alle Belle Arti come pittura e scultura, ma dobbiamo ritenere le belle arti e la letteratura come strumenti fra loro connessi e entrambi durevoli nel tempo, adatti per ricordare.
Il concetto delle belle arti di temporaneo consumo esemplificabile con la frase ?andiamo a vedere una mostra? è parte della nostra cultura e non di quella del passato.
Preciso questi concetti perché solo se abbiamo memoria e conoscenza della fisionomia del museo, si può iniziare a ragionare tanto su quella che è una collezione di antichità, tanto su quella che è una collezione odierna, una collezione in contatto con l?attualità.
Ogni museo ha la su storia e può essere riferito a una data tipologia, solo se si affronta la tipologia del museo esistente o futuro, allora il ragionamento inizia ad essere interessante.
Il grande museo, il museo ?elefantiaco?, ad esempio il Louvre, la cui linea di condotta indica una data scelta su cui è doveroso riflettere, può avere un impatto scoraggiante per le sue dimensioni. Senza scomodare la ?sindrome di Stendhal? si possono ricordare le impressioni negative di un visitatore particolare come Marcelin Pleynet.

Le tipologie di museo: due esempi di musei ?attivi?

Siamo a conoscenza della quantità di visitatori che ha avuto il centro Pompidou di Parigi: è stato talmente ?consumato? fisicamente dal successo che è stato chiuso per restauri, quasi non si aspettasse o non si avesse preventivato una tale affluenza.
Un secondo esempio è l?Accademia di Brera, che ricordiamo ha origine da quella ?Accademia? voluta dal Borromeo prima citata. Saltando un secolo in avanti rispetto all?Ambrosiana, ci si trova davanti al progetto illuminista, dove ancora una volta una pinacoteca viene accostata alla scuola, collegando operativamente passato e presente. Ci si trova davanti un museo come esempio per il futuro, per ciò che riguarda la conservazione dell?antico.
È l?associazione di due istituzioni decisamente vitali, in progress, un conflitto tra ciò che viene conservato, e ciò che viene prodotto. Si può andare a studiare le mostre degli allievi dell?Accademia di Brera in rapporto coi loro modelli. Questi primi due esempi sono rappresentativi di musei vivi, di musei che producono e che hanno un pubblico privilegiato, attivo.

Il senso della collocazione delle opere nelle raccolte private

C?è però una differenza tra questi: l?Ambrosiana è frutto di una raccolta privata, è il gusto del signor Borromeo, cardinale per mestiere, ma letterato e uomo di cultura per passione, pastore di anime, di coscienza ma anche di gusto, che seleziona una serie di opere come esempi del passato.
Come esempio dell?influenza, in una raccolta, del gusto del collezionista si può fare un raffronto tra l?Ambrosiana e la riaperta Galleria Borghese a Roma in cui si evidenzia come le personalità dei due fondatori e la fisionomia dell?ambiente renda i due musei completamente differenti.
Il terzo esempio, sempre milanese, è il Poldi Pezzoli.
Siamo slittati di duecento anni, è il 1881 quando viene inaugurato il museo in via Manzoni come atto di donazione alla città della collezione del Sig. Poldi Pezzoli, questi, replicando il gesto munifico del precedente mecenate, offre alla cittadinanza la visione della sua collezione nella propria abitazione.
Risulta molto interessante analizzare le fotografie, appese nelle varie sale, raffiguranti la dislocazione degli oggetti del 1881 in rapporto alla disposizione attuale.
Di grande interesse sarebbe, inoltre, poter confrontare le immagini degli allestimenti creati negli anni cinquanta con quelli sopra menzionati.
Adesso il museo è stato diviso in due parti, da una parte le sale dimostrative realizzate con criteri contemporanei, dall?altra le sale in cui è stata mantenuta, anche se non completamente, a causa degli incendi dovuti alle guerre, la disposizione originale degli oggetti.
Bisogna rendersi conto che l?oggetto antico, il vaso cinese comprato dal Sig. Poldi Pezzoli e da lui sistemato nel suo studio ha un valore ben diverso dallo stesso vaso cinese collocato sotto una lampada alogena in una vetrina o in un cassettone. Questo ci indica come una collezione possa variare la connotazione di un oggetto, che avrebbe, inoltre, un altro valore se fosse collocato in un altra collezione.
Alla Fondazione Magnani Rocca, vicino a Traversétolo in provincia di Parma, si può trovare una splendida raccolta di quadri antichi; adesso ospita una mostra delle opere di Füssli che interpreta Shakespeare, in queste sale nella parte temporanea ci sono quattro incisioni di Dürer, tra cui la ben nota Melancolia I.
La copia della fondazione Magnani sarà pressoché analoga alla copia presente in un?altra fondazione; ma un conto è se si possono vedere questo Dürer, un conto è se si chiede di vedere tutti i Dürer del gabinetto delle stampe della National Gallery.
In un caso avrete tutti i fogli quasi a contatto l?uno con l?altro, nell?altro caso avete pochi quadri.
Allora una tiratura tarda della Melancolia I, che un collezionista può comprare attualmente, è ben diversa da quella della Fondazione Magnani non solo dal punto di vista della qualità, ma anche perché collocata in un posto diverso.
Per quanto possa sembrare paradossale due pezzi identici cambiano di senso e di valore a seconda di dove sono collocati.
Uno studioso di questi problemi, K. Pomian, parlando degli oggetti di una collezione usa il termine ?semioforo?: l?oggetto della collezione è un oggetto che produce informazione.
Tornando al Poldi Pezzoli: esso può essere definito un museo solo ?passivo?, di pura contemplazione del bello in quanto non comprende un?accademia, e anche la tipologia del visitatore è diverso. Il visitatore del Poldi Pezzoli delle origini inizia ad assomigliare a quello di oggi, dico ?inizia ad assomigliare? perché stiamo parlando di un élite; entrare nella casa del Signor Poldi Pezzoli era un rito riservato alla alta-media borghesia milanese, piuttosto che agli inglesi che arrivavano in visita, comunque a un visitatore eccellente.

Il caso del museo Lia a La Spezia

Il problema d?oggi è che il visitatore è cambiato, si inizia a parlare di pubblico passivo. Abbiamo parlato, prima, del collezionista: il Signor Poldi Pezzoli era un amatore d?arte che ha aperto la sua casa al pubblico.
Un esempio contemporaneo di collezionista dello stesso tipo è rappresentato dal Signor Amedeo Lia, che ha donato la sua collezione di arte antica, raccolta in un museo inaugurato nel 1996, alla città di elezione, La Spezia.
Questo dimostra che non è un fenomeno così lontano e infrequente, benché rimane eccezionale una donazione in vita.
Il museo del collezionista come specchio, quindi, del gusto, del ritratto del collezionista. Amedeo Lia ha creato la sua collezione sostanzialmente sul modello inglese: accostando alla pittura, di cui il nucleo più notevole per qualità è il soggetto su fondo oro dal XIII al XV secolo, la miniatura e l?oggettistica, cosa abbastanza inconsueta per la nostra cultura mediterranea, legata a una concezione gerarchica delle arti. In un museo generalmente osserviamo con attenzione la sezione di pittura, ma difficilmente prestiamo la medesima intelligenza a quella degli avori, degli smalti, dei metalli, all?arte ?applicata? per intenderci, una categoria antica ma dalla sorprendente vitalità ancora oggi.
Nel caso del museo Lia all?opposto la prima sala è dedicata all?oggettistica: la disposizione, non solo la quantità, con cui sono ordinati gli oggetti, per materiale e per epoca, risulta fondamentale non solo per evitare che dopo la prima sala il pubblico sia già stanco, ma per suscitare attenzione verso le ?differenze?.

La natura vitale delle collezioni

Oggi i criteri museografici tendono, non a caso, a ricostruire le collezioni, ciò permette di ripercorrere la scelta, la storia di un dato personaggio. Achille Bonito Oliva, in un intervento del 1973 diceva che un collezionista è un passivo, questo è vero se lo si raffronta all?attività di un artista; se si cambia punto di vista si può attribuire al collezionista una certa fetta di attività come colui che fa vivere le cose fatte dagli altri. Scegliendo, accostando, mettendo in ordine agli oggetti che acquista il collezionista crea, per mezzo di essi, la propria storia.
Sotto questo aspetto il collezionista diviene un feticista, in quanto si crea una specie di diario utilizzando un oggetto comune di suo gusto, un esempio sono le storiche collezioni di civette, coccodrilli, ranocchie et similia di artisti e uomini di cultura contemporanei.
La collezione, di fatto, è un organismo vivente, costituisce le tappe durevoli del gusto in continua evoluzione di una persona.
Una collezione non finisce mai.
Un collezionista ordina il suo materiale secondo un percorso mentale, un disegno prestabilito che rispecchia l?iter della sua esistenza, i suoi gusti e il suo mondo di concepire la rappresentazione del reale raccolto fra le pareti domestiche con tutta l?arbitrarietà che una successione comporta: le pareti sono un ?racconto?, come tale diversamente narrabile.

L?origine della collezione: la ?Camera del Tesoro?

Un?ultima osservazione sul problema delle raccolte: la collezione ha un antecedente nella Camera del Tesoro, la quale è tendenzialmente un luogo segreto e, allo stesso tempo, disordinato. Nel caso della Camera del Tesoro si parla del tesoro della Chiesa, del Principe non di quello di Ali Babà; non a caso vi sono i musei dei ?tesori? delle cattedrali o dei conventi. Si veda a esempio la recente sistemazione del museo di S. Lorenzo a Genova in cui è stata efficacemente enfatizzata la natura delle sale ospitanti rispetto agli oggetti custoditi.
Originariamente il tesoro viene definito come l?accumulo di materiale prezioso, che sia libro, che siano suppellettili in oro, argento o pietre preziose. Fra gli oggetti superstiti e le incisioni settecentesche di Félibien può essere significativo il caso di Saint Denis a cui è stata dedicata una significative esposizione. Questa atavica origine costituisce il ?peccato originale? che il museo porta con sé: la Camera del Tesoro come stanza ermeticamente chiusa, visibile da un numero assai limitato di persone è assai diversa dalla concezione del museo accademia.
La stanza della collezione, al contrario, esprimendo l?intimità di un personaggio, una sorta di autobiografia, tende a mantenere quel senso di segretezza, di privacy, propria del gusto personale dell?individuo. Queste stratificazioni devono essere espresse; se si appiattisce e standardizza l?organizzazione, il museo non si dà ragione della natura dell?origine con cui si è formato, pretendendo uno sforzo inutile e vano da parte del pubblico.
Se è vero che il museo nasce dalle passioni, dal feticismo del collezionista, perché mai il pubblico dovrebbe interessarsi a ciò?
Non dobbiamo credere, come pensavano duecento anni fa, che guardando il ?bello? purifichiamo la nostra anima, che un?educazione al ?bello? ci fa migliori, benché può essere che accada. Davanti all?Apollo del Belvedere o a una anonima urna greca Winckelmann e Keats potevano sottrarsi alle meschinità della terra, del tempo presente, e fantasticare sulla bellezza immutabile: ma si tratta di un atteggiamento di pochi e il problema contemporaneo è quello di rispondere agli interrogativi di molti.
Forse più che di perdita dei valori, è più giusto parlare di evoluzione dei valori. Ma se non è vero che guardare Raffaello ti porta a dipingere meglio, o ti migliora la vista e la morale, perché mai il pubblico dovrebbe andare al museo?
Un tempo il pubblico si presentava come potenziale concorrente: il piccolo collezionista che va dal grande collezionista, il signor Poldi Pezzoli: siamo nell?universo dell?imitazione, dell?invidia. Oggi, però, nessuno si pone nella condizione di competizione con un museo come Brera. Bisogna, allora, cercare nel pubblico una curiosità, un interesse indotto da altro.

L?importanza dell?integrazione col tessuto sociale

Occorre osservare che il museo vive se ha un rapporto con la cittadinanza, che deve considerarlo come proprio patrimonio. Se andate a Faenza trovate il museo della ceramica, museo in cui i cittadini si riconoscono; forse perché c?è una connessione con l?attività tipica del luogo.
Un altro esempio di armonia tra museo e cittadinanza è la pinacoteca comunale di Forlì che, sia pure ospitata in edificio sostanzialmente inadeguato, è resa familiare al visitatore dalla intelligenza e dalla disponibilità del personale: è una esperienza personale recente, pertanto verificabile da tutti.
Solamente creando un senso di appartenenza, museo come luogo di concentrazione di una ricchezza a cui non si potrà mai accedere, di una bellezza che non potrà mai essere nostra, solo all?interno di questa prospettiva si potrà avere un ragionamento di ?possesso affettivo? del museo.
Oggi è più facile vivere nell?ordine dell?effimero. La sindrome di fine millennio ha portato alla museificazione e alla conseguente ostensione di materiali i più disparati, dall?etnologia contadina all?archeologia industriale, al museo settoriale; ma questa corsa all?immagazzinamento va regolata per cercare di dare una fisionomia alla collezione-fondazione-museo e per riflettere sul fatto che tanto più l?immagine del museo che viene data come mappa o segnaletica è trasparente, non omogeneizzata, bensì specifica, tanto più l?utente si sente a suo agio all?interno dell?ambiente, della situazione museale.
È inutile importare i vizi degli altri, bisogna riflettere sui nostri e lavorare sulle differenti fisionomie dei musei, dovute alla sfaccettatura di origine, conservazione, qualità e natura dei materiali esposti tipica dei musei italiani, che ora non permettono l?instaurarsi di percorsi alternativi.


References
Una riflessione dalle origini ai giorni nostri in L. Binni, G. Pinna, Museo, Milano 1989
J. Derrida, La farmacia di Platone, in ?Tel Quel?, n. 1, ed italiana, Milano 1968
Collezioni Giovio. Le immagini e la storia, catalogo della mostra, Como. Musei civici, 1983; P. L. De Vecchi, ?Il museo gioviano?? in Omaggio a Tiziano, catalogo della mostra, Milano 1977
M. Pleynet, Rivedere il Louvre, in ?L?Illustrazione italiana?, n. 14, 1983-84
Dalla casa al museo. Capolavori da fondazioni artistiche italiane, catalogo della mostra, Milano 1981.
K. Pomian, Collezione Amatori e Curiosi, Milano 1989
A. Bonito Oliva, Il collezionista, in Sogno italiano. La collezione Franchetti a Roma, Milano 1986
A. Veca, Preliminari, in Museum. Intorno alla collezione, catalogo della mostra, Bergamo 1994
Le trésor de Saint-Denis, catalogo dell?esposizione, Museo del Louvre, Paris, 1991

Questo testo propone parte dell'intervento di A. V. al seminario Il museo imprenditore organizzato dal prof. Francesco Mauri nel 1997/98 all?interno del laboratorio tematico per il quinto anno del Corso di laurea in disegno industriale del Politecnico di Milano, Facoltà di architettura.