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1/12/99

 
Silvia Mascheroni 
 
 
I musei e la didattica

 
   
 
 
   

 
 
La mia tesi di fondo è che la funzione educativa del Museo è una sua funzione istituzionale - non ancillare, aggiuntiva o accessoria - che qualifica la sua azione quanto quella della tutela, del restauro, della ricerca.
Questa azione deve essere fortemente voluta e progettata “dentro” al Museo, non attribuendo all’istituto di tutela un compito opzionale, “in più”, non proprio della sua vocazione, al di là delle proprie competenze.
Nella mia visione, il museo deve essere promotore e produttore di cultura, di formazione, di conoscenza .
Il pubblico di cui parlerò è quello scolastico, dagli alunni della scuola materna agli studenti delle scuole medie superiori; il pubblico adulto - che è un pubblico importantissimo - ha però altri bisogni e aspettative, e richiede modalità di approccio, completamente diversi.
Come un museo può essere promotore e produttore di formazione e cultura dei cittadini, tenendo conto che non è il luogo dell’educazione “formale” - vale a dire intenzionalmente progettata - ma che ad esso devono essere riconosciute delle specificità con dei traguardi abilitativi stabiliti?
Cosa si intende per educazione al patrimonio, per didattica museale?
Quali gli orientamenti e gli avanzamenti più recenti in merito alla pedagogia del patrimonio; quale il quadro di riferimento culturale cui afferiscono i due soggetti: istituzione scolastica e istituzione museo?
Quali le responsabilità del museo e della scuola, alla formazione di una coscienza civica? Quali le risorse, i vincoli? Quali le condizioni di fattibilità che consentono di realizzare ogni progetto?

Il Progetto educativo

L’accezione di “servizio educativo” vuole esprimere e sottolineare un concetto preciso rispetto a quello più generico di “didattica” perché presuppone alla sua base l’idea di progetto. Non si può fare educazione se non c’è progetto e il progetto porta con sé una precisa cultura, richiede specifiche procedure da mettere in atto, una serie di competenze, che devono essere riconosciute, rispettate e condivise tra gli insegnanti, preposti all’apprendimento e alla formazione presso le istituzioni scolastiche e gli “attori” della ricerca, gli operatori della istituzioni culturali.
Senza questa condivisione, questa reciprocità, questa messa in comune delle finalità, degli obiettivi e delle strategie non c’è progetto educativo.
Un progetto deve essere continuamente documentato, tenuto sotto controllo, bisogna prevedere i tempi, le modalità e gli strumenti per la documentazione;
possedere e custodire tale documentazione significa alimentare continuamente la ricerca sul campo, per consentire al museo di porsi come luogo primario di produzione culturale. Le esperienze significative dei servizi educativi possono fornire indicatori di qualità al museo stesso: ad esempio, per una migliore presentazione delle proprie collezioni, per una promozione della propria cultura, per una revisione delle proprie strategie, ma questa documentazione deve trovare anche concrete opportunità di diffusione.
Uno dei bisogni più forti nei giovani è quello di poter progettare, sentendosi partecipi e responsabili: credo, che anche in questo caso, i servizi educativi - sempre correttamente intesi - possano essere un valido campo per esercitare la “professione cittadino”.
Le relazioni tra mondo della scuola e mondo del museo sono relazioni complesse ed è necessario riconoscere lo specifico di ogni istituzione; il quadro di riferimento delle linee di tendenza attuali sposta l’accento da un rapporto, che può essere sintetizzato utilizzando i termini “collaborazione”, “coabitazione”, “complementarità”, alla nuova e diversa relazione, che si instaura con un “partenariato educativo”, vale a dire un rapporto negoziato e regolamentato da un contratto formativo, alla cui base esiste un progetto condiviso, elaborato congiuntamente dagli insegnanti e da coloro che operano all’interno dell’istituzione museale: “non si tratta più di cooperare o di collaborare, ma di integrare in un insieme coerente modi di pensare e di agire differenti”.
Per arrivare al paternariato ci vuole una formazione condivisa. Il museologo, l’architetto, il designer, l’insegnante non hanno avuto la stessa formazione, hanno conoscenze e competenze specifiche. Come fanno a lavorare insieme in un progetto educativo se non c’è scambio, se non c’è un momento di condivisione? Quando esiste una situazione di paternariato, e si lavora insieme, si determina la reciproca assunzione del progetto. Se la scuola, ad esempio, non crede al progetto del museo, non lo attua, o si avrà un risultato non di qualità. E viceversa.
La scuola e il museo non sono dei “partner naturali”, perché hanno alle loro spalle diversi modelli culturali di riferimento, finalità, vocazioni specifiche. Quindi è un discorso di negoziazione, che vede, purtroppo presenti soltanto gli insegnanti e i responsabili museali, ma non gli architetti, i designers, gli esperti della comunicazione.
Walter Gropius in un saggio del 1946 sottolineava l’esigenza di una commissione composta da diversi professionisti, che elaborasse un progetto unitario: «tutte le decisioni della commissione devono essere verificate per quanto riguarda il loro potenziale effetto sul visitatore, poiché è lui che intendiamo informare, educare, intrattenere».
Nel 1987 Giulio Carlo Argan, al Corso di aggiornamento in Museologia e Museografia tenutosi al Politecnico di Milano, nella sua relazione sosteneva che i designer e gli architetti sono parte integrante dell’équipe che lavora all’interno del museo .

Il patrimonio culturale

Un’acquisizione importante riguarda lo stesso concetto di patrimonio culturale; mi piace ricordare, tra le altre, la definizione di Jean-Michel Leniaud: “l’insieme dei beni che una generazione vuole trasmette alle successive perché ritiene che questo insieme costituisca il talismano che permette all’uomo, al gruppo sociale, che sia famiglia, nazione o qualsiasi altro gruppo, di comprendere i tempi nelle tre dimensioni”. Patrimonio non inteso in senso giuridico, di eredità, non qualcosa di statico, e non solo da conservare, ma che richiede il nostro impegno affinché venga custodito, tutelato, valorizzato.
E, accanto a questo, il concetto di “diritto al patrimonio”: bisogna poterlo vivere, conoscere, deve essere accessibile a tutti. In Italia esiste una rete di musei piccoli e medi, che permea e caratterizza il territorio, ed è proprio a questi che bisogna prestare attenzione; è vero che non tutti i musei possono essere adibiti a promuovere un servizio educativo basato su progetti specifici, ma bisogna comunque verificare come si potrebbe svolgere un’azione di comunicazione e di didattica.

I rapporti tra museo e istituzione scolastica

È fondamentale conoscere la normativa vigente, così come il dibattito in corso, cercare di chiarire quale è il quadro concettuale di riferimento riguardo alla “natura” del servizio educativo che il museo e il territorio possono offrire.
Un testo recente, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 17 ottobre 1997 , consente una modalità di gestione delle attività educative diversa rispetto a quella dei “servizi aggiuntivi” , perché si parla di possibili convenzioni che il museo statale può stabilire con gli istituti scolastici, aprendo quindi un discorso di rapporto, di intesa.
Se i “soggetti” in campo sono il museo e la scuola, va da sé che bisogna conoscere anche la normativa riferita all’istituzione scuola e quali sono le linee di tendenza più attuali in ambito pedagogico.
Con la legge n. 59 del 15 marzo 1997 , la scuola ha acquisito un’autonomia, che le consente di stabilire convenzioni e rapporti con il territorio, quindi di inserire nel progetto educativo di istituto anche attività di educazione al patrimonio, interagendo con le istituzioni culturali.
Deve esserci una forte volontà progettuale per concordare esperienze educative non solo con il museo, ma anche, ad esempio, con le biblioteche e gli archivi, luoghi deputati per promuovere le attività di ricerca e di uso consapevole delle fonti.
Un altro capitolo ancora aperto - e di estrema importanza per la ricaduta che assumerà - è quello del progetto di riforma dei cicli scolastici , non si sa ancora come verrà articolata la scansione, non si sa quali saranno i “nuovi saperi” , comunque quello che sicuramente ci sarà, è una popolazione scolastica con precisi bisogni formativi, a cui dare risposta.

Educare alla conoscenza del patrimonio culturale

La scuola è un’interlocutrice privilegiata perché ha la possibilità, se vuole, di costruire un curriculum continuo, di ordinare le discipline in modo da abilitare a un complesso di conoscenze e di competenze inserite nella programmazione curriculare. I percorsi di apprendimento, che si possono costruire nell’ambito dell’educazione al patrimonio culturale, per la “complessità” propria degli oggetti stessi del patrimonio, consentono di utilizzare diverse metodologie e mettere in atto continui collegamenti tra le aree disciplinari. Inoltre, a diretto contatto con il museo e con il territorio, l’apprendimento da parte di un gruppo di alunni può essere potenziato perché esiste un effetto di socializzazione, di messa in comune delle reciproche acquisizioni, che raramente avviene in classe, in una situazione più formalizzata. Ma, soprattutto, le esperienze significative di conoscenza promuovono l’acquisizione di comportamenti fortemente connotati in senso civico ed il “cittadino in formazione” può diventare moltiplicatore di attenzione nei confronti della salvaguardia di ogni bene e di conseguenza produttore in prima persona di cultura.
Il bambino, l’adolescente, se educato a conoscere il patrimonio culturale, saprà svolgere la professione più importante, quella di cittadino: interrogando le istituzioni, ponendo istanze e problemi che riguardano la tutela, la salvaguardia, l’uso consapevole. Altrettanto rilevante è la relazione tra patrimonio ed affettività, identità personale e collettiva; la relazione tra patrimonio e memoria; la relazione tra museo e rappresentazione della cultura.
È fondamentale che tutto ciò inizi con la prima formazione.

Il primo approccio al museo

Ognuno di noi conserva memoria della visita di istruzione al museo.
Allora pensiamo a quanti bambini e adolescenti si accostano al museo per la prima volta durante gli anni della scuola, e forse per molti rimane l’unica esperienza di approccio al patrimonio culturale. Va da sé che l’azione educativa è un’azione molto delicata perché bisogna avere un’estrema “reverenza” nei confronti di un “pubblico”, che ha bisogni, tempi di apprendimento, curiosità precisi e specifici.
È necessario quindi un rispetto profondo, e il primo approccio al museo è estremamente importante, così come è essenziale portare nella scuola e nel museo la cultura del progetto. Non soltanto per quanto riguarda gli aspetti museografici, legati all’allestimento, alla comunicazione, ma anche per quanto concerne il versante dell’apprendimento. Le strategie possono e devono essere le più diverse: è necessario che ogni museo si interroghi e rispetti la propria specificità, non ci sono modelli omologabili.

La percezione nell’adolescente tra nuove tecnologie e meraviglia

Sul versante più strettamente pedagogico vi sono alcuni ambiti particolarmente interessanti e ancora tutti da indagare: ad esempio quelli che riguardano il cambiamento della percezione da parte dell’adolescente in formazione, il modo di percepire lo spazio e di porsi nei confronti di un museo, l’approccio al territorio.
Pensiamo a tutte le problematiche, anche relative all’insegnamento-apprendimento, che pone oggi la nuova tecnologia, la presenza diffusa del “virtuale”, del multimediale. La sfida educativa dell’educazione al patrimonio culturale è anche in questi termini: come può competere un’opera, che ha un’immagine fissa e statica, con la straordinaria accattivante capacità di virtuosismo e di movimento di una tecnologia sempre più raffinata?
Questa sfida si pone come obiettivo quello di educare alla conoscenza diretta, non mediata, dell’opera, della realtà, dei documenti: esperienza insostituibile per ognuno.
Oppure interrogarsi su quali possano essere le strategie educative per trasformare un’ “attenzione distratta” una superficialità di visione nei confronti degli oggetti del patrimonio, anche i più familiari, in desiderio di conoscere, per suscitare meraviglia, consapevolezza.
Desidero ricordare uno scritto di Bettelheim sulla curiosità e “il suo posto nel museo”. L’autore sostiene che la conoscenza passa attraverso la meraviglia - i francesi parlano di “démarche de l’éveil” - e racconta che quando da piccolo andava a visitare i musei in compagnia della madre, l’esperienza più straordinaria, quella che poi lo ha condotto a voler conoscere di persona, era accorgersi del sentimento di meraviglia provato dalla madre incantata di fronte alle opere, non riuscendo però a capire cosa lo suscitasse.
La sfida è anche quella di coniugare questo bisogno di stupore con il rigore metodologico.

Le carenze degli allestimenti museali

Un dato di realtà con cui bisogna confrontarsi è quello dei vincoli che ci pone l’ubicazione dei nostri musei situati in edifici storici con una destinazione d’uso diversa da quella museale; gli edifici stessi hanno una loro storia, che deve essere conosciuta. Quando entriamo in un museo non siamo tenuti a sapere quale era la funzione originaria dello spazio, quali le collezioni ospitate e il percorso compiuto per giungere nelle sale dove ora si trovano.
Pensiamo allora a quanto lavoro c’è da fare da parte dei musei di Milano - se vogliamo parlare della nostra città - nei confronti del pubblico, ideando e predisponendo, ad esempio, una segnaletica, che fornisca un’informazione, un primo orientamento rispetto alla loro collocazione nel tessuto urbano, a quale è la loro identità e specificità.
Purtroppo ciò che esiste è poco e scadente.
Se per questa attrezzatura di base ci sono ancora molte carenze, pensate a come è difficile allestire e organizzare un servizio permanente di educazione all’interno di un museo, perché significa ordinare ed allestire degli spazi, predisporre dei progetti, costruire degli strumenti. Ai progettisti, ai designer bisogna chiedere di progettare partendo dai vincoli oggettivi, vincoli legati all’identità del museo, indicatori di specificità.
Ma attività educativa non è solo comunicazione, non è solo promozione: il museo deve produrre prima di tutto cultura e ricerca, affinché diventi oggi un punto di riferimento per il riconoscimento dell’identità personale e della storia di ogni collettività.
I problemi del museo non si superano con il potenziamento del marketing o con una gestione fortemente modellizzata su quella d’impresa , ma se alla base c’è una volontà di fare e produrre ricerca e cultura più avanzate.
Purtroppo invece ci si trova a dover risolvere situazioni di quotidiana emergenza.
Ripeto, ci vuole progettualità; quindi analisi dei bisogni, repertorio delle risorse, individuazione dei vincoli. Valorizzare la funzione educativa dei musei significa anche relazionarsi con il territorio, costruire alleanze, lavorare in équipe su finalità condivise.

Progetti e network informativi

Esistono alcuni progetti di alta valenza formativa a livello nazionale e internazionale.
Ad esempio “La scuola adotta un monumento”, nato con una dimensione cittadina a Napoli, che si è diffuso a livello europeo; all’interno di un piano articolato di iniziative la Fondation Pégase dal 1994 è diventata il referente e il coordinatore del Progetto triennale “Un monumento da adottare” presso 15 città dell’Unione europea, che vede coinvolti a tutt’oggi 400 istituti scolastici e 150.000 studenti. Per consentire un collegamento e un confronto continuamente aggiornati tra tutti i partecipanti è stata creata una rete multimediale; la diffusione di questo network permette ad insegnanti e allievi di conoscere il progress dei lavori e i prodotti realizzati, verificare le strategie e le procedure adottate, promuovere la conoscenza del patrimonio culturale, attivare gemellaggi tra i diversi istituti scolastici.
Nel 1997 questo progetto è stato acquisito dalla Regione Lombardia con il titolo “Un monumento da adottare”, dove i referenti non sono più direttamente le scuole, ma i musei, che diventano i responsabili del progetto coinvolgendo le istituzioni scolastiche.
Uno degli scoperti più importanti di queste attività sono le fasi di controllo del progetto: la documentazione, la verifica e la valutazione, la validazione. Le scuole, i ragazzi realizzano prodotti e servizi anche con standard di alta qualità, il problema è di garantirne una memoria, condividerli, “metterli in rete”, farli conoscere.
In Italia non esiste ancora un network dei servizi educativi e uno dei compiti prioritari e specifici del costituendo Centro presso il Ministero per i beni culturali e ambientali sarà proprio di coordinare e far circolare le energie di tutte queste esperienze.
La documentazione e la riflessione sulle attività educative intraprese consentirebbe a tutte le figure professionali coinvolte (il museologo, il progettista, il designer, il pedagogista, l’insegnante) di conoscere i modelli metodologici e operativi, di potersi confrontare e condurre una verifica.

Le tecniche di comunicazione nella didattica

Per quanto riguarda le tecniche e le strategie di comunicazione, Piera Panzeri - che si occupa da anni di ricerca nell’ambito della didattica dei beni culturali - ha individuato sei tecniche di comunicazione.
Tra le altre, l’approccio al museo come istituzione, la conoscenza delle funzioni che svolge e l’importanza delle collezioni.
Il progetto “Alla scoperta di Brera” , che sto seguendo da anni, prevede come prima fase un percorso in cui i bambini conoscono lo spazio-museo.
Per quanto riguarda il gioco come mediatore dell’esperienza cognitiva e il laboratorio come “officina” di scoperta e di operatività, sarà Marco Ferreri, che ho invitato, a parlarvi dei laboratori di “Giocare con l’Arte” di Bruno Munari.

La sfida educativa

Ho parlato di “sfida educativa” riguardo all’educazione al patrimonio culturale, desidero precisare che il lavoro dei servizi educativi è un lavoro in “contro-tendenza” rispetto al quadro di riferimento degli imperativi, che oggi governano: non è spettacolare; non si alimenta di emergenza, di eccezionalità; è un servizio continuato e nascosto. L’azione dei servizi educativi è controtendenza anche da questo punto di vista: deve avere una progettualità, che si basa sui tempi lunghi, non è una didattica che lavora sull’effimero, sull’episodico.
Mi chiedo, infine, come fare quando la conoscenza diretta della realtà non costituisce più lo strumento di formazione della coscienza; quando ogni esperienza sembra risolversi nel presente, anzi nell’ “iperpresente”; quando i modelli culturali si trasformano sempre più rapidamente?
Non bisogna abdicare all’educare alla complessità del conoscere, del ricercare, alla fatica della scoperta; bisogna credere in un apprendimento progressivo, sistematico, che richiede un tempo non strumentale, saper porsi interrogativi per trovare risposte, e confrontarsi in modo consapevole con la realtà.

Silvia Mascheroni, storica dell’arte, è esperta di educazione al patrimonio culturale e di didattica museale (metodologia dell’apprendimento; formazione sia degli operatori culturali che degli insegnanti); consulente per l’ideazione e la realizzazione di progetti educativi da parte di musei e istituti scolastici; membro della Commissione di studio per la didattica del museo e del territorio presso il Ministero per i beni culturali.

Questo testo propone l'intervento di S.M. al seminario Il museo imprenditore organizzato dal prof. Francesco Mauri nel 1997/98 all’interno del laboratorio tematico per il quinto anno del Corso di laurea in disegno industriale del Politecnico di Milano, Facoltà di architettura.