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15/04/99

 
Guido Belli 
 
 
ITALIANI, RICCHI DI CULTURA?

 
   
La tendenza attuale nella gestione dei beni culturali 
 
   

 
 
Seguendo un trend internazionale, la gestione dei beni culturali è diventata da tempo un tema caldo dell'agenda del mondo della cultura e della politica italiani.
Politici, operatori economici e culturali rivolgono la loro attenzione ed azione verso la ricerca dei benefici economici ed occupazionali derivanti dallo sfruttamento dei beni culturali, dei quali l'Italia è particolarmente ricca.
Essi identificano nel desiderio di arricchimento personale una domanda di valori che il patrimonio culturale può soddisfare. Questo bisogno è riconosciuto crescente e sempre più diffuso nelle società europea, nordamericana e giapponese.
Il mercato del turismo e delle proposte per il tempo libero diventa dunque il luogo dove proporre e vendere la dimensione culturale dell'Italia.
Questo pone le offerte culturali sullo stesso piano dell'entertainment, con il quale entrano in diretta concorrenza per la conquista di clienti.
La strategia messa in atto per guadagnare fette di mercato è di rendere i luoghi d'arte e cultura più vicini alle esigenze del consumatore, offrendo servizi diversificati ed integrati, e applicando al prodotto cultura tecniche di gestione e di marketing già ampiamente sperimentate in altri settori.
Questa tendenza è particolarmente evidente nel comparto dei musei e dei siti archeologici che entrano a buon diritto nel novero dei luoghi maggiormente sottoposti alle attenzioni di questa corrente di pensiero.
L'abbondante pubblicistica edita in Italia di recente testimonia una vivacità di interesse per il tema mai riscontrata finora.
Il punto focale è la discussione delle interazioni possibili tra il museo, la sua mission di conservazione del patrimonio ed educativa, e le applicazioni ad esso del concetto di imprenditorialità ed innovazione.
I possibili equilibri tra la funzione scientifica e culturale del museo e il vantaggio del ritorno economico che potrebbe derivargli dalla sua gestione imprenditoriale sono oggetto di valutazione.
Questi aspetti sono coniugati privilegiando ora l'uno ora l'altro dei due, secondo il background degli autori. Frequente comunque in tutti è il riferimento al mondo anglosassone e statunitense. Esso viene invocato come paradigma positivo di confronto. In particolare, tali esperienze sono utilizzate come termine di paragone sia per quanto riguarda il modello di gestione, sia per ciò che concerne la valutazione delle chance di sviluppo in senso economico delle risorse culturali nazionali.
Le modifiche introdotte nella normativa che regola il funzionamento dei musei statali, e la concessione dell'autonomia a siti archeologici come Pompei, sono un esempio del tentativo di aprire ai privati e all'azione del mercato i luoghi della cultura, consentendo loro spazi di manovra in senso imprenditoriale e commerciale più ampi che in passato.
Fino ad ora questo processo si è concretizzato nelle pratiche di promozione e di facilitazione dell'accesso al patrimonio. Esemplari in questo senso sono l'orario prolungato dei musei statali, e l'apertura di nuovi servizi al pubblico, come bookshop e caffetterie.
Di ciò si è vantata la riuscita, oggettivamente confortati dallo straordinario incremento dei visitatori dei maggiori musei italiani.
Accanto a questo primo indirizzo si è sviluppata la cultura e la pratica del grande evento espositivo o spettacolare, che sembra essere l'unica possibilità presa seriamente in considerazione, da organizzatori e sponsor privati, per garantirsi un adeguato ritorno dell'investimento, sia sotto forma di entrate al botteghino, sia di immagine percepita dal pubblico.
Da questo punto di vista la produzione culturale è sempre più valutata sulla base della sua consumabiltà da parte di un pubblico, le cui caratteristiche sono misurate principalmente in termini quantitativi, operandone una scarsa segmentazione.
Per contro, gli interventi volti a permettere al visitatore una esperienza culturale soddisfacente sotto il profilo emozionale, conoscitivo e didattico sono ancora in tono minore.
Si suppone, infine, che la maggiore imprenditorialità dei musei e l'organizzazione di grandi eventi culturali creino reddito ed occupazione, direttamente (dagli ingressi e dalla fornitura di servizi al visitatore) o inducendoli (servizi di accoglienza, accompagnamento ed altri servizi che trovano mercato nella presenza dei visitatori).
Per questo, lo sfruttamento economico dei beni culturali è indicato come fattore di sviluppo là dove i tradizionali modelli economici sono venuti meno, come ad esempio nei territori dove la deindustrializzazione ha tagliato l'occupazione. La cultura e il turismo culturale sono indicati come presunti portatori di crescita economica anche dove lo scarso sviluppo industriale non è mai stato un fattore di benessere, ma sono presenti beni culturali e paesaggistici rilevanti. È il caso, ad esempio, delle regioni delle prealpi piemontesi e lombarde, del meridione italiano, ma anche di molti paesi dell'area mediterranea e dell'Europa centrale.
A livello locale, questo indirizzo generale si riflette negli obiettivi di progettazione e gestione delle istituzioni culturali, in primo luogo di quelle di proprietà delle amministrazioni territoriali, che ne detengono una percentuale molto significativa.
Un tale orientamento di politica culturale porta a indirizzare l'attenzione dei decisori politici e, di conseguenza, importanti risorse finanziarie, verso la conservazione del patrimonio e verso eventi temporanei di grande portata.
La considerazione che voglio proporre è che questa prospettiva sia insufficiente, anche qualora ci si ponga solamente obiettivi economici ed occupazionali perché trascura il ruolo della comunità locale.