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22/11/2004

 
Diana Marrone 
 
 
Il fundraising, quale professione?

 
   
La normativa, la relazione, la strategia e la gestione del rapporto tra progettisti culturali e sponsor: identikit di un professionista nell’ombra. 
 
   

 
 
Esiste la possibilità di imparare il mestiere di fundraiser in Italia e quali sono le competenze di questo professionista? Concretamente, non esiste una formazione valida, certificata ed affidabile, sebbene fioriscano corsi privati di diversa qualità e sebbene nelle maggiori università che si occupano di economia della cultura, oggi più di ieri si insista sull’importanza di formare figure chiave come i fundraiser. Quest’ultimo affianca il progettista culturale puro nella gestione di un budget e nel reperimento di risorse per la genesi ed il compimento di un evento culturale, inclusa la campagna di comunicazione istituzionale (sovrintendendo ai rapporti con le media agencies dedicate). In altri paesi (soprattutto anglosassoni), vi sono staff di un numero di persone variabili, in rapporto all’estensione dell’istituzione culturale o dell’evento e del relativo peso economico, che – accanto ed insieme alle risorse che si occupano di marketing puro - sono dedicati al reperimento dei fondi per produrre mostre, concerti, attività didattiche. Insomma di tutto quanto è per sua natura no-profit.

L’identikit del fundraiser è diviso equamente tra la risorsa di analisi e relazione e lo stratega di gestione. In quanto risorsa di analisi e relazione, il fundraiser ha una grande padronanza di normative relative alla defiscalizzazione, alla gestione di contratti di pubblicità e di accordi commerciali che devono necessariamente essere affiancate a spiccate doti di comunicazione e ad un nutrito carnet di qualificati contatti diretti con manager e decisori che fanno di questa risorsa un esploratore incessante, attento e documentato del mercato dei possibili sponsor - adeguandolo attentamente all’evento da sponsorizzare. La conoscenza diretta dei decisori dell’allocazione di risorse in un’azienda o in un ente pubblico, la conoscenza dei tempi giusti per interessare possibili partners ad un evento rispetto alla chiusura dei bilanci e alla targettizzazione dei budget nazionali e per prodotto destinati alla comunicazione, devono necessariamente unirsi a una capacità di elaborazione di un concept paper mirato, che sintetizzi perché l’evento che si sta vendendo è esattamente quello che la strategia corporate e di social responsability territoriale il partner individuato ha bisogno.

La legislazione tributaria italiana permette, anche se non incoraggia, investimenti in cultura. Bisogna che le regole per rendere edotti i progettisti culturali siano meno esegetiche e più veicolate, incentivando specifiche session formative di qualità a riguardo. Il regime di detassazione italiano in materia (v. La defiscalizzazione dell’investimento culturale, Il Panorama italiano e internazionale, aa.vv. a cura dell’Osservatorio Impresa e Cultura, Roma 2002) modula le detrazioni a seconda se si tratti di sponsorizzazione o mecenatismo. Al momento, sintetizzando dal saggio più interessante del volume (autore Massimo Sterpi, avvocato specializzato in art management), gli sponsor deducono dal reddito di impresa le somme investite (come spesa di pubblicità e in presenza di un contratto di scambio a prestazioni corrispettive, denaro in cambio di brand visibility o quantaltro, tra sponsor e sponsee). Le aziende/mecenati erogano somme senza che il beneficiario sia vincolato dal tenere obblighi di qualsiasi tipo (mentre il benefattore di regola si riserva la facoltà di pubblicizzare il proprio contributo) e possono dedurre totalmente la somma dal reddito di impresa. Se persone fisiche non imprenditori, soci di società semplici o enti non commerciali, erogano somme con liberalità, detraggono il 19% della somma donata dal loro imponibile, senza limiti di tetto alle detrazioni. Ci sono vincoli all’utilizzo delle somme in termini temporali precisi, in alcuni casi vige l’obbligo di stipulare una convenzione, ci sono nuove distinzioni di categoria di attività importate con la nuova (e discussa) legge 342/2000 che, pur non sostituendosi al ginepraio di leggi, regolamenti, pareri, e articoli del T.U.I.R., integra la normativa precedente nella parte riguardante la disciplina (ora) unitaria di beni culturali e spettacolo. La L. 291/2003 ha dato i natali ad Arcus, agenzia del ministero di Urbani, presieduta da Mario Caccia: poche di 70 milioni di euro per accendere mutui da destinare a interventi operativi per beni culturali, paesaggistici, arte, spettacolo e sport. Oltre cento milioni di euro saranno stanziati nel prossimo biennio (il 3% degli stanziamenti per le infrastrutture). Si tratta di una società, azionista di maggioranza il dicastero di Tremonti, in cui la proprietà pubblica potrà scendere fino al 40%. Arcus finanzierà interventi di concerto con le Regioni e le Fondazioni bancarie, ma pare non si sostituirà al Ministero, affiancandolo: per il fundraiser la società Arcus, una volta che saranno resi noti i decreti attuativi che ne chiariscono il funzionamento e le modalità di erogazione dei finanziamenti, sarà il nuovo attore con cui relazionarsi.
Quando il fundraiser indossa invece i panni dello stratega di gestione, significa che è molto spesso colui il quale determina il quantum necessario all’evento di staff agli ideatori, suddividendo i fabbisogni economici e organizzando un piano di ricerca fondi che preveda “uscite di emergenza” laddove non si sia trovato un forte interesse all’evento in questione. In queste vesti, è, e resterà per tutta la gestione critica dell’evento (dai primi contatti alla conclusione dell’accordo e al feedback finale), anche però la figura di riferimento tra l’organizzazione culturale beneficiaria e l’organizzazione esterna (sia essa azienda locale, sia essa grande gruppo o ente di governo) che sponsorizza l’attività o l’evento. Questo carico è uno dei più delicati: il fundraiser usa contatti e relazioni personali e di volta in volta le mette al servizio di un progetto culturale. E’ vitale che egli quindi ne garantisca una buona gestione per utilizzi futuri e gestirli correttamente per la buona riuscita dell’evento che ne raccoglie i benefici, garantendo due soddisfazioni. Quella dell’investitore o del mecenate (che di solito ha precise idee di ritorno dall’investimento in cultura) e quella dell’organizzazione no-profit, che ha spesso poca dimestichezza con bilanci,visibilità di brand e rispetto di accordi di posizionamento e di comunicazione.
Il mercato italiano, ancora acerbo in questo settore, regola i compensi di questa figura professionale in maniera percentuale rispetto all’effettivo risultato ottenuto.

Diana Marrone
diana@undo.net

Diana Marrone, 31 anni, dopo studi avanzati in relazioni internazionali e diverse esperienze professionali, decide di abbandonare la carriera diplomatica per dedicarsi alla libera imprenditoria e alle collaborazioni editoriali. Fonda pressreleaseundercover, designer, producer e fundraiser di eventi nel campo musicale artistico e collabora con riviste e quotidiani nazionali (Alias, Il Manifesto, Cultframe). Vive e lavora tra Milano e Napoli.