Attraversare le contingenze allargando le prospettive

24/06/2008
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Zig-zag interdisciplinare

'Sguardo periferico': una definizione usata in neurologia che indica una sorta di percezione 'sferica' delle cose intorno a sé. Con uno sguardo periferico si può uscire dalla prospettiva soggettiva e sentire il 'corpo collettivo' muoversi avanti e indietro nel tempo. E' semplice associare alla danza e al teatro questa visione, e proseguendo collocare la performance in un ambito di attenzione al rapporto tra corpo, spazio e tempo. E alla fine usare il termine 'politico' "nella misura in cui la costituzione e la progettazione di un gesto implica sempre un corpo a confronto con uno spazio e con un altro corpo", come dice Eva Fabbris, curatrice con Letizia Ragaglia e Corinne Diserens della mostra 'Sguardo periferico e corpo collettivo' nel nuovo Museion di Bolzano.
Nell'intervista ci spiega come incontri, performance e proiezioni, che si susseguono dall'inaugurazione, non siano un programma collaterale ma parte integrante della mostra tanto quanto le sculture o i video presenti all'interno dell'edificio. Un percorso di rimandi, snodi ed esperienze multiformi che raccontano del presente allo spettatore, tracciando una storia frattalica...



24.05.08: inaugurazione di Museion. Foto Othmar Seehauser




Vito Acconci. Foto Richard Kern


Xavier Le Roy, Self Unfinished, 1998. By and with: Xavier Le Roy. In collaborazione con Laurent Goldring.


Phil Collins, The louder you scream, the faster we go, 2005. Collezione Josef Dalle Nogare. Courtesy l'artista e Gall. Kerlin


Joan Jonas, In the Shadow a Shadow: My New Theatre III, 1999. Museion - Sammlung/Collezione Righi


Julia Loktev


Paul Thuile, Lustkandelgasse 14 a, 1985. Courtesy l'artista e Elisabeth e Klaus Thoman


 

Conversazione con Eva Fabbris, assistente curatoriale Museion

 

UnDo.Net : La mostra “Sguardo periferico e corpo collettivo” analizza come le proposte artistiche più recenti siano state influenzate dalle Avanguardie Americane del Secondo Dopoguerra, che a loro volta avevano ripreso le sperimentazioni sviluppate all'inizio del XX secolo tra la Germania, la Polonia, la Russia e altri paesi. Quali sono le tracce di queste influenze storiche negli incontri performance e proiezioni che fanno parte della mostra?

 

Eva Fabbris: Mi vengono in mente due eventi: uno che è appena passato e l’altro che arriverà. Quello che sta arrivando è una notte interamente dedicata al cinema e alla danza tedesca dal 1910 al 1990 con estratti di documenti relativi a pieces di grandi danzatori e coreografi che hanno avuto un ruolo importante a partire dalla Danza Espressionista, soprattutto in ambito tedesco. Questa del 31 luglio sarà una serata con 3 ore di proiezioni improntata ad un punto di vista storico-documentaristico.

Mentre il 6 giugno la scelta di Flaming Creatures (un film di Jack Smith del 1963) che ha aperto la programmazione cinematografica, è stata dettata sia dall'attitudine storicizzante che dall'impatto storico di questo film, che, nel ’63, è ancora un film semi-muto, con delle atmosfere ambiguamente erotiche, riproposte basandosi su stilemi estetici assolutamente retrò.

E’ indicativo che alcuni spettatori siano usciti dalla sala riflettendo su quanto il film anticipasse poetiche di artisti venuti dopo, come ad esempio il travestitismo di Cindy Sherman, o chiedendosi quale fosse la distanza temporale che separa Flaming Creatures dalla Factory di Andy Warhol. Flaming Creatures è secondo noi uno di quei punti nodali che abbiamo cercato di individuare nel percorso storico della mostra, in quanto gli anni '60 rappresentano il punto mediale tra le Avanguardie e quello che viene oggi.

 

Una breve traccia partendo da quello che avete citato nella programmazione della mostra e oltre va da Djagilev a Meyerhold e Schlemmer e, spostandosi in America, da Martha Graham a Trisha Brown e Lucinda Childs, tra Danza Espressionista e Modern Dance, fino ad arrivare a Xavier Le Roi...

Sono una serie di personaggi che dagli inizi del Novecento in poi hanno cercato di conciliare tutte le forme d’arte aprendosi sempre di più ad una visione multidisciplinare dell’arte…

 

Certo, non a caso questo programma non è collaterale, ma costituisce la parte centrale della mostra, infatti nel catalogo le performance, i film che vengono proiettati, le visite a edifici nei dintorni di Bolzano fanno parte anche della checklist delle opere. Per noi anche se costituiscono un evento che avviene in un determinato momento, sono comunque parte costituente della mostra tanto quanto le sculture o i video presenti all'interno dell'edificio museale, dove, d'altro canto alcune performance sono presenti sotto forma di documentazione video. Penso ad esempio a Linoleum di Robert Rauschenberg o a Performance, Audience, Mirror, di Dan Graham.

Un altro esempio è il fatto che una giovane artista italiana come Marta Dell'Angelo sia venuta ad installare la sua opera, di natura collagistica, e vi abbia inserito delle fotografie degli “esercizi biomeccanici” di Meyerhold. O ancora My New Theatre III di Joan Jonas che comprende brani della Ursonate di Kurt Schwitters (Die Sonate in Urlauten, 1925), un'opera che è di per sé parte della mostra. Tutto è un continuo rimbalzo tra eventi e opere all’interno del percorso espositivo…

 

Sembra che la vostra intenzione sia quella di comparare lo spazio architettonico con lo spazio del performer e del danzatore. Puoi provare a chiarire questo rapporto prendendo in esame alcuni esempi delle vostre proposte, provando a tracciare un filo conduttore che lega le proposte architettoniche a quelle performative e cinematografiche?

 

Penso a Play Time al quale abbiamo dedicato anche un intero saggio in catalogo, con la centralitá che hanno in questo film la presenza performativa e il rapporto dell’attore con lo spazio architettonico, o alle performance di Xavier le Roi, come Le Sacre du printemps dove subentra anche un’altra arte che è quella della musica, evocata dal gesto: diversi esempi di una contaminazione continua delle arti. Per quanto riguarda l’architettura, per esempio, per noi è importate offrire al pubblico la possibilità di visitare la casa di Walter Pichler in Val d'Ega perché Pichler è un artista che negli anni ’60 ha portato all'interno delle arti visive il confronto con la questione abitativa, quella del corpo del singolo e delle sue capacitá percettive.

Ci interessa andare a conoscere la dimensione abitativa che l’architetto ha costruito per se stesso confrontandosi con un'attitudine utopica e con la realtá naturalistica in cui ha inserito il suo progetto. Questa apertura tra le arti per noi è importantissima e non è solo attinente a questa mostra: vuol essere una dichiarazione d’intenti, un manifesto, anche per la programmazione futura di Museion che si propone come un museo laboratoriale in cui le arti sono tutte esplorabili.

 

Vito Acconci, artista e performer negli anni '70 - quando la performance era una cosa molto diversa - adesso è anche un architetto. Il nesso tra performance e architettura non sembra una cosa facile da spiegare…

 

La sua conferenza a Bolzano di qualche sera fa è stata illuminante perché ha reso comprensibile come secondo lui il nesso in questo percorso sia costituito dall’esplorazione del confine del sé.

A partire dalle performance della fine degli anni ’60, con il passaggio da quelle azioni in cui il corpo è più intimamente indagato a quelle in cui c’è un’apertura verso l’altro, è fortemente presente la necessità di indagare il concetto di confine: il confine corporeo, quello identitario. Nel momento in cui ci ha spiegato questo bisogno, il passaggio all’architettura è stato molto più semplice da capire: si trattava di analizzare questo confine, di chiedersi “quante pelli possiamo avere”.

A questo proposito Acconci ha illustrato dei progetti, dove era fondamentale capire quanto, rispetto al corpo umano, fossero interne e interiorizzabili alcune strutture architettoniche e quanto, per contro, degli elementi che fanno parte del lessico architettonico riescano a ricoprire le diverse funzionalità del “corpo-nel-mondo”.

 

Pensando alla danza e al vostro modo di proporla viene in mente la pratica coreutica, dove si manifesta una rielaborazione e riappropriazione dei movimenti essenziali della vita quotidiana e sociale, quindi sia individuale che collettiva, caratteristica dell'attuale danza contemporanea.

Sembra che queste pratiche coreutiche che ritualizzano il bisogno di stare insieme, unito alle pratiche sociali, si possa rapportare al significato di quel “corpo collettivo” che utilizzate nel titolo.

 

Certamente. Facendo riferimento al testo presente nel catalogo in cui Christoph Wavelet conversa con Jerome Bel e Xavier le Roy, mi spingerei ad usare il termine “politico” nella misura in cui la costituzione e la progettazione di un gesto implica sempre un corpo a confronto con uno spazio e con un altro corpo. Un concetto molto semplice, ma che rappresenta senza dubbio un nostro punto di partenza.

 

Quali sono state le reazioni del territorio rispetto a proposte che potevano sembrare persino provocatorie come appunto il film di Jack Smith, visto qual'è stata la reazione all’opera di Kippenberger?

 

Polemiche a parte, noi abbiamo anche a che fare con un pubblico che ci segue e che è educato e aperto alla storia dell’arte contemporanea, anche perché alle spalle di questo nuovo Museion esiste un museo che ha un’esperienza ventennale e che ha inciso tantissimo sulla vita culturale della città.

Una delle problematiche che hanno accompagnato la polemica sorta attorno a Zuerte die Füsse di Martin Kippenberger, una scultura in legno che rappresenta una rana crocifissa, è che l'opera è stata letta estrapolandola dal contesto espositivo e quindi al di fuori del fluire dei rimandi storici e tematici di cui stiamo parlando.

 

Vuoi aggiungere qualcosa rispetto alla programmazione futura?

 

Vorrei segnalare per la sua originalità un’opera a cui teniamo molto che è A Discussion di Ian Wilson, in programma per il 28 giugno prossimo a Museion, in cui la collettività sarà protagonista: una vera e propria discussione aperta a tutti.

 

 

Il calendario degli eventi di "Sguardo periferico e corpo collettivo"


Museion - museo d'arte moderna e contemporanea di Bolzano
Via Dante, 2 Bolzano
Orario di apertura: tutti i giorni ore 10 - 20. Giovedì ore 10 -22
info@museion.unibz.it
www.museion.it
Ufficio stampa: Tel. 0471 31 24 48 press@museion.unibz.it



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