Attraversare le contingenze allargando le prospettive

26/06/2008
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Eurasia

Europa e Asia sono una unica massa continentale, i due sub-continenti infatti, non hanno una netta separazione geologica e geografica, esiste solo una linea di demarcazione convenzionale che è quella dei Monti Urali in Russia.
Di molti animali si legge comunemente che vivono in Eurasia e di molte piante che li' sono diffuse; invece degli umani che oltrepassano i confini geo-politici si può dire che sono "transmigrants", oppure che commettono reato. Di "Dissolvenze geografiche dell'arte" tratta la mostra Eurasia al Mart, così come di utopia, forse di eterotopia, antropologia, antroposofia, euritmia...
O meglio: di questo ed altro trattano gli artisti, superando molte frontiere per rincorrere una nuvola in motocicletta, facendo scomparire pezzi di storia, seguendo il circuito venoso del petrolio, costruendo torri di finestre. Ce ne parlano Julia Trolp, Cecilia Casorati e Lorenzo Benedetti, tre dei curatori della mostra...



L'allestimento al Mart di Chiharu Shiota: His Chair, 2005. 750 vecchie finestre, 1 sedia, vetro rotto, h 650 cm, ø 400 cm. Courtesy dell'artista



Adrian Paci, Centro di Permanenza Temporanea, 2007. Videoproiezione 16:9, 5'30", col. Courtesy Galleria Francesca Kauffmann, Milano


Ursula Biemann, Black Sea Files, 2005. Video installazione, 2 video (43' ciascuno) e stampa su PVC. Courtesy dell'artista


Stefano Cagol, FLU GAME, 2008. Installazione, spurghi industriali, polimeri multicolori e scritta prespaziata nera a muro, misure varie. Courtesy dell'artista


Beatrice Catanzaro, The Water Was Boiling at 34° 21' 29'' S, 18° 28' 19'' East, 2008. Installazione, progetto site-specific. Courtesy dell'artista e Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto


Sirous Namazi, Untitled (Modules), 2007. Ferro, smalto 168 x 175 x 28 cm. Courtesy dell'artista e Galerie Nordenhake Berlin/Stockholm. Foto Gerhard Kassner, Berlin


Lida Abdul, White House, 2005. Film 16 mm trasferito su DVD, 5'00


Vladimir Nikolic, Death Anniversary, 2004. Video, 4' 20", col. Courtesy dell'artista


Jun Yang, Paris Syndrome, 2007. Installazione, video, 10', col. e piante di cartone. Courtesy Galerie Martin Janda, Vienna e Vitamin Creative Space, Guangzhou/Pechino


Cao Fei, Nu, 2007. Installazione, tenda, video proiezione, altoparlanti, sofa e banidere, misure varie. Courtesy Vitamin Creative Space, Guangzhou/ Pechino


Vadim Zakharov, When I Was a Child, I Was a Mouse in a Zen Monastery, 2002. Installazione, sabbia, formaggio e legno, 650 x 650 cm. Courtesy dell'artista


Aidan Salakhova, Dalla serie Persian Miniatures [From the series Miniature persiane], 2007. Gouache, acrilici e matita su carta, 76,5 x 55,5 cm. Courtesy XL Gallery


Intervista a Cecilia Casorati, Julia Trolp e Lorenzo Benedetti, co-curatori di Eurasia

 

A cura di Elvira Vannini

 

La mostra al Mart Eurasia. Dissolvenze geografiche dell'arte indaga i riflessi della pratica artistica e culturale di Joseph Beuys nella produzione contemporanea rintracciando un'analoga propensione alla ridefinizione dell'agire estetico nel sociale e un'attitudine dell'arte al multiculturalismo, al dissolvimento dei confini, alla rilettura della realtà, ecc. Come nasce la mostra, come si è sviluppata? Quali dinamiche di lavoro curatoriale avete attivato?

 

Cecilia Casorati: Naturalmente non si cerca un'eredità di Joseph Beuys e non si cerca nemmeno Beuys come radice nei lavori dei giovani artisti. Questo non è assolutamente possibile. Gli anni trascorsi non sono tanti, ma è come se fosse passato più di un secolo. Abbiamo attraversato una crisi del moderno in cui lui era molto presente, forse già con un pensiero post moderno, ma ormai non siamo nemmeno più nella crisi del post moderno, siamo nel post post moderno e quindi secondo me c'è una grande distanza fra noi e Beuys.

La mostra è la focalizzazione su una possibilità/impossibilità dell'utopia, in quanto Eurasia è un luogo che esiste ed è allo stesso tempo un luogo utopico. Ci sono 6 curatori, che provengono da zone diverse dell'Eurasia con la direzione di Achille Bonito Oliva, abbiamo lavorato insieme, discutendo quelli che potevano essere i temi principali secondo noi e proponendo gli artisti. E' una mostra che - anche se curata da 6 persone diverse - è stata discussa molto e funziona da questo punto di vista.

 

Julia Trolp: La mostra nasce da un scintilla di Achille Bonito Oliva che ha pensato all'importanza che ancora oggi ha il nucleo di opere che Beuys ha sviluppato nei tardi anni '60 dal titolo Eurasia. L'artista ha fatto una serie di aktionen che prendevano in esame il pensiero steineriano sulla riunificazione tra l'uomo dell'Ovest e dell'Est. Questo pensiero ci sembrava molto importante e di questi tempi anche molto attuale, come l'idea di "utopia" intrinseca nell'opera di Beuys: la sua volontà di cambiare il mondo, la sua idea di rivoluzione, e il suo costante sguardo verso l'antropologia...

Questi sono alcuni dei temi presenti in mostra. Forse gli artisti di oggi non sperano più di fare una grande rivoluzione, ma piuttosto si sforzano di realizzare piccole utopie con gesti molto leggeri, che portano dei cambiamenti percettibili per pochi istanti, ma dove rimane comunque molto visibile quella sensibilità che Beuys ha sempre dimostrato nella sua opera.

Nell'organizzazione della mostra c'è stato un forte lavoro di squadra, che in un primo momento poteva sembrare una cosa non proprio facile, ma che poi al contrario si è rivelata una fertile occasione di crescita e di scoperta di un mosaico di opere e di energie così grande che con un team più piccolo non si sarebbe mai potuto realizzare. Una cosa che tengo ancora a precisare è il fatto che la mostra non si limita ad occupare un unico spazio espositivo, ma abbraccia tutto il museo con opere esposte in più sale e con un'installazione sonora nella piazza antistante il museo.

 

Lorenzo Benedetti: La mostra riprende un po' la metafora del viaggio, essa stessa è un viaggio dove l'arte diventa un modo per ricostruire una serie di realtà e alcune di queste, ovviamente, prendono spunto da temi politici e sociali o geografici. Ci sono artisti molto diversi tra di loro che alla fine ricostruiscono una visione eterogenea che va a ricomporre un paesaggio particolare: appunto quello dell'Eurasia. E' come la metafora di un luogo geograficamente molto vasto, un super-continente, un luogo molto frequentato anche dalla letteratura cosiddetta fantascientifica. Un luogo misterioso in cui i confini si compongono e si scompongono continuamente dando vita al contrasto tra unicità e diversità enormi. Questi elementi sono sicuramente molto interessanti da recuperare all'interno di una visione artistica, in quanto l'arte lavora tantissimo su tematiche che si basano sulla diversità.

 

 

Nella geografia visionaria di Beuys in fondo Eurasia è la metafora di un'unità territoriale e artistica, una sorta di utopia situata, o un'eterotopia in senso focaultiano. Questo Stato immaginario, fittizio, senza confini o barriere politiche, sociali e culturali, attualmente quanto è influenzato da una geopolitica dell'arte e dai cambiamenti che avvengono su scala globale?

 

Cecilia Casorati: Io credo che la cosa più interessante in questo momento sia l'arte che non ha a che vedere con l'immaginario e il lavoro di quegli artisti che mostrano di volersi concentrare su un'idea di coscienza dell'arte; che intendono quindi l'arte non come sequenza di immagini belle o spettacolari ma, ancora una volta, come spazio nel quale pensare il mondo... In alcuni momenti è l'arte che si sovrappone al mondo e in altri momenti viceversa, credo che questa sia la cosa più interessante.

In fondo a me piace pensare Eurasia come a una realtà di superamento delle opposizioni, di un pensare per opposti che è ancora purtroppo un sistema di pensiero comune, in qualche modo Eurasia è questo superamento. Non è più nemmeno un'utopia, come ho scritto anche in catalogo, l'utopia beuysiana è stata sorpassata dall'eterotopia, e quindi da un'alterità, un luogo altro il cui centro sta proprio nella dissolvenza del confine, in cui questo confine paradossalmente diventa centro.

 

Julia Trolp: Sono gli artisti stessi che danno una risposta a questa domanda, ad esempio Beatrice Catanzaro - invitata a realizzare un'opera site specific per la mostra - fa una riflessione che parte da Lisbona, luogo dove attualmente vive, per terminare in India, attraverso un lavoro molto divertente e spiritoso che parte dall'osservazione di un monumento alle grandi scoperte geografiche del Portogallo costruito durante il regime salazariano. L'artista qualche mese prima della mostra ha trascorso del tempo in India dove ha conosciuto un mago che vanta tra le sue prodezze la sparizione del Taj Mahal. Tornando a Lisbona l'artista ha pensato di invitare in Portogallo questo personaggio per far sparire il monumento dalla città. L'installazione che Beatrice Catanzaro ha realizzato per il Mart racconta questo incontro e tutte le relazioni e le discussioni intorno alle possibilità della magia, dell'utopia, ecc. In questo lavoro io avverto ancora oggi il pensiero beuysiano.

 

Lorenzo Benedetti: Certi cambiamenti hanno moltissima influenza. Se pensiamo per esempio che dieci anni fa Harald Szeemann, allora direttore della Biennale di Venezia, invitò tantissimi artisti cinesi per la prima volta in una grande manifestazione espositiva in Europa... Allora ciò fu visto come una grande trasformazione all'interno del panorama artistico, oggi gli artisti cinesi sono presenti in moltissime mostre a testimonianza che questo mutamento è un po' il riflesso di una cultura e di un'economia geo-politica che in dieci anni ha rivoluzionato l'intera visione che noi abbiamo del mondo. Queste veloci trasformazioni sono anche caratterizzate da un incontro-scontro tra diverse culture. Un'arte che viene dall'estremo oriente cerca sempre in qualche modo di dialogare, nutrendosi anche della nostra cultura, ma nello stesso tempo mette in atto una rivoluzione, una nuova visione dell'arte.

 

 

Rispetto alla visione etica e radicale dell'arte di Beuys, dell'azione processuale, politica, ideologica o post-ideologica, quanto pensate che oggi - alla luce per esempio della Documenta XI di Okwui Enwezor tanto per citarne una emblematica - possa esistere un'alleanza tra pratiche artistiche e attivismo culturale, tra problematiche antagoniste, engagè o che comunque pongono delle domande aperte sulla realtà e le sue contraddizioni? Quanto sono necessarie rispetto al sistema mainstream?

 

Cecilia Casorati: L'atteggiamento di oggi è molto molto diverso rispetto a quello anche post ideologico di Beuys, visto che il suo non era nemmeno ideologico ma già post ideologico. Io credo sia abbastanza obsoleto parlare di una pratica sociale dell'arte, anche se è molto comune. E' come se gli artisti giovani - e questo credo sia la cosa più interessante che documenta la mostra - fossero giunti a un punto successivo a quello che prima poteva essere la conquista o la riconquista del sociale e poi la volontaria perdita dell'interesse verso il sociale per un'arte spettacolare ma autonoma. Adesso, rispetto alle grandi mostre che hanno cercato di sottolineare questi aspetti - come Documenta o la Biennale di Berlino - c'è un atteggiamento nuovo/rinnovato della giovane generazione... non c'è nessuna forzatura in questo senso.

Abbiamo scelto dei lavori che affrontano questi temi senza andare a cercare degli artisti che manifestano in maniera eclatante una riproposizione del sociale, ma che invece sviluppano in modo naturale questa attenzione; questo si vede soprattutto nel lavoro dei più giovani. Ciò è probabilmente dovuto ad un concetto di vulnerabilità, che attraversa l'esistenza di ciascuno di noi e che adesso ha cominciato ad attraversare le strutture estetiche e di pensiero.

 

Julia Trolp: La tematica delle migrazioni è sicuramente un argomento centralissimo della mostra, faccio un altro esempio parlando del lavoro di Alessandro Nassiri Tabibzadeh, anche questa un'opera site specific. L'artista ha prodotto un video dove rincorre con una motocicletta una nuvola attraverso i continenti. Il progetto parte da Istanbul dove Nassiri comincia a riprendere una nuvola rincorrendola con la videocamera e continua in un percorso che va dall'Asia all'Europa. E' un gesto molto semplice che parla della libertà delle nuvole e della fatica di un gesto del tutto inutile e impossibile. Una metafora molto bella della possibilità di viaggiare senza frontiere, che per molti è ancora un traguardo difficile.

 

Lorenzo Benedetti: Ci sono elementi che si confrontano continuamente e all'interno del percorso espositivo e sono presenti tante opere che fanno riferimento a situazioni politiche e culturali molto contrastate. Ursula Biemann, ad esempio, ha focalizzato la sua attenzione sull'importanza del petrolio oggi. Lo vede quasi come una sorta di vena che attraversa l'Eurasia partendo dal cuore e diramandosi su un territorio teso tra due estremità. Questo per accennare ad uno dei problemi che stanno cambiando lo scenario politico e sociale attuale.

O ancora, l'artista spagnolo Fernando Sanchez Castillo crea una barricata - l'opera si intitola proprio Barricata - con elementi e oggetti di recupero come ruote o mattoni... ma ricreate in bronzo come in una sorta di monumento alle barricate...

C'è sempre una forte attenzione da parte degli artisti rispetto a situazioni socio-politiche, anche dal punto di vista dell'esplorazione del concetto di confine. Per molti questo rappresenta un desiderio, una continua ricerca, per altri invece costituisce una forma di terrore... In mostra si susseguono tantissime componenti politico-sociali che poi vengono rivisitate e riconsiderate da un punto di vista artistico.

 

 

L'assunto eversivo di Beuys corrispondeva a trasformazioni storiche, sociali e a nuove forme utilizzate dall'arte: happening, azioni, discussioni, campagne ecologiste.

Per esempio nell'Ufficio per la Democrazia Diretta attraverso il referendum (presentato alla Documenta V del '72 curata da Harald Szeemann) Beuys rinunciava a qualsiasi installazione oggettuale e per 100 giorni il suo Ufficio diventava uno spazio d'incontro e di discussione. Qual'è il lascito di questa modalità di lavoro?

E come si riscontra in mostra, nella declinazione dei diversi dispositivi linguistici assunti dagli artisti?

 

Cecilia Casorati: Io credo che il lavoro più vicino a quello pensato da Beuys per Kassel sia l'opera di Ursula Biemann che è fra le meno giovani in mostra. Ursula fa un lavoro di documentazione e di informazione, però secondo me lo fa in maniera esattamente opposta a quella proposta da Beuys. Infatti Beuys parte dall'arte e arriva al sociale, alla realtà e alle sue problematiche forse pensando anche ad una potenzialità "terapeutica" dell'arte. Nel caso della Biemann il lavoro parte da problematiche indagate in maniera parziale dai mezzi di comunicazione che vengono mostrate utilizzando l'arte nel suo aspetto più comune, non di rappresentazione ma di trasformazione. Siamo di fronte ad una sorta di paradosso: parliamo di una realtà rivedendola attraverso uno strumento che la trasforma in qualcos'altro. Resta questa ambiguità, ma in fondo quello che noi vediamo contiene più informazioni rispetto a quanto i media ci permettono di vedere.

Queste pratiche servono anche a sfondare una consuetudine alla critica verso l'informazione; in fondo questi artisti sono “consapevoli” non sono solo critici e la consapevolezza permette una visione diversa.

 

Julia Trolp: Sicuramente da parte degli artisti c'è ancora tanta voglia di lavorare in gruppo, in mostra ad esempio è presente il lavoro di Andrea Caretto e Raffaella Spagna, che da anni lavorano insieme con materiali naturali, con un continuo rimando al rispetto per l'ambiente, dove la figura di Beuys è centrale. E poi ci sono artisti che di solito svolgono un lavoro autonomo che per l'occasione si sono confrontati per creare dei lavori collettivi. E' il caso di Eva Maria Wilde e Jenny Rosemeyer che hanno sviluppato un lavoro composto da sigoli pezzi che in mostra diventano un'installazione unica, o Nina Beyer e Marie Lund che lavorano insieme sviluppando pratiche collettive. Il concetto è quindi molto attivo in mostra e ci auguriamo che attraverso l'allestimento di tutti i lavori venga fuori un'ulteriore visione d'insieme, sicuramente più sciolta ed eterogenea, ma con una forte idea di gruppo.

 

Lorenzo Benedetti: Questo è un tema molto interessante che bisogna rileggere inserendolo nel contesto originale, quello appunto del 1972, un periodo storico che usciva dal '68, da grandissimi cambiamenti storici e culturali dove l'attività artistica rappresentava in qualche modo il riflesso di quel particolare contesto sociale. Oggi, a distanza di quarant'anni, ci troviamo in una dimensione totalmente diversa, e questa differenza si sente tantissimo: la politica non influenza più la metodologia del fare artististico, ma piuttosto la pratica artistica diventa un modo per rivisitare la politica. Possiamo dire che oggi è l'arte che va verso la politica, inglobandola e modificandola. In mostra ci sono personalità artistiche molto forti, che comunicano un messaggio politico altrettanto forte.

 

 

Nei testi in catalogo ho notato che ogni curatore dedica dei focus su alcuni artisti invitati. Come è stato impostato a livello curatoriale questo progetto? Avete fatto delle scelte condivise oppure ognuno ha dato un punto di vista personale sugli artisti?

 

Lorenzo Benedetti: C'è stata una prima discussione su alcune tematiche e successivamente ognuno ha dedicato un testo critico agli artisti ai quali si sentiva per certi versi più vicino. Sicuramente siamo partiti da un lavoro di gruppo per quanto riguarda la scelta di alcune tematiche, poi ogni curatore ha approfondito il lavoro su alcune personalità che riteneva rappresentassero in modo più interessante una determinata idea.

 

 

Le mostre che inaugurano il 27 giugno al Mart di Rovereto:

 

Eurasia. Dissolvenze geografiche dell'arte

Progetto e curatela generale di Achille Bonito Oliva. Con la collaborazione di Lorenzo Benedetti, Iara Boubnova, Cecilia Casorati, Hu Fang, Christiane Rekade e Julia Trolp

Fino al 16 novembre 2008

 

Germania contemporanea

Dipingere è narrare. Tim Eitel, David Schnell, Matthias Weischer.

A cura di Gabriella Belli e Achille Bonito Oliva

Fino al 26 ottobre 2008

 

Il trittico del '900

Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi. Video-opere in memoria della Grande Guerra.

Fino al 31 agosto 2008

 

Giuseppe Capitano. Qualcosa di giallo

A cura di Martina Cavallarin

Project Room - Fino 24 agosto 2008

 

La Raccolta Talamoni.

Al centro dell'Informale europeo

Fino al 17 agosto 2008

 

Il comunicato stampa delle mostre pubblicato su Pressrelease

 

 

MartRovereto

Corso Bettini, 43 - 38068 Rovereto (TN)

Orari: da martedì a domenica ore 10.00 - 18.00. Venerdì ore 10.00 - 21.00. Lunedì chiuso

www.mart.trento.it

 

Comunicazione Mart:

Responsabile Flavia Fossa Margutti

 

Ufficio stampa Mart:

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Elvira Vannini è storica dell'arte, critica e curatrice indipendente. Vive e lavora a Bologna.

 

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