Attraversare le contingenze allargando le prospettive

05/04/2009
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Giovanni De Dona'

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"Industrial lies. Visioni distopiche del progresso nell'era dell'immateriale" non e' una mostra rappresentativa di un qualche genere o corrente, gli artisti presentati non cercano di confluire in una categoria seguendo quel processo di segmentazione dell'arte contemporanea in linea con le richieste di mercato.
INDUSTRIAL LIES pone piuttosto al centro del discorso l'operazione di accostamento di soggettivita' artistiche formatesi attraverso percorsi diversi, a volte affini, a volte distanti nelle modalita', ma ad ogni modo vigili, critiche e disilluse. Tale accostamento non consiste dunque in uno sterile avvicinamento, bensi' diventa produttore di un discorso caleidoscopico che affronta la condizione contemporanea operando lo smascheramento attento di suoi vari frammenti figli del mito del progresso e del miraggio di un benessere diffuso ed indiscusso che esso avrebbe dovuto portare.
I protagonisti di tale operazione sono giovani artisti internazionali figli di una generazione che ha comunemente vissuto più o meno prossimamente in eta' adolescenziale degli avvenimenti che avrebbero cambiato il mondo in modo drastico e irreversibile come la Perestrojka, la caduta del muro di Berlino, della cosiddetta "cortina di ferro", e che e' cresciuta intensificando le proprie relazioni internazionali tramite i media digitali.
Alcuni di loro vengono infatti dalla Net-Art e ne sono stati profeti e cofondatori, certi si riferiscono piu' specificamente agli ideali macinati dalla politica, anche se in modi e con linguaggi diversi, altri invece vengono dalla Street Art ed hanno subito una deriva concettuale, oppure realista con uno sguardo al sociale espressa tramite il mezzo fotografico, mentre altri ancora "Concettuali" lo sono sempre stati per attitudine.
I mezzi utilizzati non sono funzionali alla costituzione di una piattaforma stilistica bensi' asservono al concetto tematico di base sul quale gli artisti si confrontano, concetto che porta il segno della consapevolezza della compenetrazione inscindibile di economia e politica, del rapporto circolare soggetto-mondo intensificato dall'uso dei media digitali, della possibilita' della rottura, del malfunzionamento, del conflitto, della realizzazione attuale e drammatica della profezia futurista che vedeva la guerra come volano del mondo, dell'avvento dell'economia di mercato globale, del turbocapitalismo cinese che sostiene il debito pubblico americano, della speculazione economica, della crisi energetica dietro l'angolo alla vigilia dell'inaccessibilita' dei costi delle risorse fino a quelle primarie, in una cornice di sostenibilita' dello sviluppo sempre piu' fragile mentre si ode qualcuno che nel frattempo bussa alle porte dell'Impero. Il focus di questa mostra e' come una banchina che si affaccia sull'oceano delle possibilita' del contemporaneo, al quale sono attraccati vari tipi di imbarcazioni, i cui abitanti si trovano a condividere le proprie storie su mari spesso lontani e le proprie visioni spesso non troppo distanti.
Essa rappresenta di per se' la creazione di un network, che esprime in quanto sistema sinergico di interrelazioni tutta la sua potenza.

Testo critico

Il Fordismo era localizzato da qualche parte. Il Postfordismo è dappertutto. Alvin Toffler, scrittore e futurologo americano, si è occupato di rivoluzione digitale, di comunicazione, in particolar modo di tecnologia e del suo impatto sulla società; ha definito l'importanza delle abilità emotive oltre a quelle cognitive ed ha dichiarato che l'analfabeta del XXI secolo non sarà colui che non saprà leggere e scrivere, bensì colui che non sarà in grado di imparare, disimparare e reimparare. Nella sua analisi del progresso sociale definisce tre “ere” diverse che si sintetizzano in quella agraria, quella della Rivoluzione Industriale, e quella della società Post-industriale. La seconda era, figlia del cogito cartesiano e della definizione moderna del soggetto, si è sviluppata dal 1600 in poi fino alle sue estreme conseguenze che hanno dato luogo alla produzione e al consumo di massa, all'urbanizzazione e alla nascita dei grandi centri (attorno ai luoghi di produzione stessi), alle armi di distruzione di massa, ai mass media, alla standardizzazione, alla centralizzazione in seno al neonato stato nazionale con la sua burocratizzazione di napoleonica memoria, all'intrattenimento di massa per mezzo della macchina bellica che spara 24 fotogrammi al minuto nel nostro immaginario.
Chiediamoci perchè la città americana dell'industria automobilistica viene utilizzata nel cinema principalmente per scenari distopici futuristi dell'era Industriale, come una specie di Gotham City simbolica, o per documentari di denuncia alla Moore, mentre il resto della pellicola scorre per le vie di NY, della California, della postmoderna Las Vegas. “Industrial Lies” è il titolo di una traccia di musica elettronica prodotta nel 1983 da Juan Atkins, personaggio proveniente da una città emblematica quale appunto Detroit, città che ha visto crescere e svilupparsi il modello Fordista dagli inizi.
Almeno dagli inizi del 1950, sostiene Toffler, la maggiorparte dei Paesi si stanno muovendo dall' era cosiddetta “Industriale” alla terza era: quella della società post-industriale, dell'era dell'informazione, dell'elettronica, della conquista dello spazio; a questo aggiungerei anche dell'era delle biotecnologie (codice genetico come sequenza d'informazioni manipolabili). La deflagrazione del modello Fordista è stata più forte proprio qui dove era materialmente nato, ed ha portato con sé tutte le sue promesse di benessere, riversando sulla società locale le conseguenze della delocalizzazione nel modo più estremo e tragico che il mondo abbia potuto conoscere. Fu leggendo Toffler che Juan Atkins battezzò “Techno” il genere musicale che contribuì a creare, fondando nel 1985 l'etichetta “Metroplex” proprio a Detroit.
Il resto è la storia che conosciamo, quella di un genere musicale derivante dalla distillazione meccanica di influenza germanica del soul e del funk, generi originatisi anch'essi nella stessa città nei decenni addietro. E' interessante notare che attorno alla musica techno si è creata una subcultura internazionale e modulare, un network creativo spontaneo costituitosi prima dell'era di Internet con il quale tutta la musica mondiale ha dovuto fare i conti. Ora, nell'era Post-Industriale, viviamo nuove promesse e nuove contraddizioni, nuove bugie -per riprendere il tema del titolo- differenziate a livello di specificità locale. La percezione del capitalismo in USA, nella vecchia EU, in quella allargata, in Russia o in Cina dipende infatti da fattori culturali così diversi che assume forme e crea contesti tutt'altro che omologhi e riconducibili ad un banale modello unico. La stessa idea di “Villaggio globale” appare ormai come il prodotto di una visione del mondo viziata dal paradigma dominante nell'era precedente, che era quella del superuomo di massa e anche della Pop Art. La dissoluzione del soggetto moderno portata da questi cambiamenti ha avuto come esito l'apparizione di alcune discrepanze tra lo stato di fatto e quello di diritto inerenti lo statuto di alcune tipologie di soggetto come ad esempio quella di proprietario, di lavoratore, di cittadino. L'uomo politico si avvicina ora sempre più all'uomo comune, il produttore al cliente, il pubblico al privato e viceversa, il prodotto passa da standardizzato a customizzato, l'informazione sostituisce i beni materiali e il proletariato si trasforma in cognitariato con la comparsa del lavoratore dell'immateriale che maneggia informazioni e usa la tastiera come attrezzo.
L'apparato giuridico va alla deriva della realtà, inadeguato al nuovo stato del soggetto della cosiddetta “terza era”, produce spesso usurpazioni o monopolizzazioni di proprietà intellettuali, identità in esilio che non sono riconosciute o non si riconoscono nei nuovi confini tracciati dalla politica economica, condizioni lavorative precarie, statuti di privacy ambigui, incertezza sui diritti umani che vengono amministrati come un businness da Organizzazioni Non Governative tutt'altro che No Profit. Soggettività artistiche alla periferia dell'Impero si confrontano con queste nuove promesse e contraddizioni, e sebbene non siano coordinate in un movimento, ne individuo quantomeno un atteggiamento reattivo di natura simile, che fa spesso riflettere sui meccanismi della realtà mediatica, economica e dunque politica. La democrazia è ormai un volano che gira a vuoto scollato dalla sua antica definizione, un bene esportabile in cambio di contratti. Il panico accelera l'economia e la notiziola di fondo domina la cronaca, mentre la visione complessiva si perde all'interno di neonati luoghi comuni.
L'interesse di questa mostra è quello di focalizzare il lavoro di artisti sensibili ai cambiamenti dei modelli economici e di gestione dell'informazione con annesse le relative conseguenze; artisti che come rappresentanti di una moltitudine di barbarie locali si affacciano sulla presunta uniforme superficie dell'Impero scoprendo i limiti di una civitas sempre più discutibile che vorrebbe ancora dettare la versione ufficiale della storia, e si raffrontano con essa anche frontalmente, coraggiosamente, portando spesso alla luce un antico e umano “common sense” a fronte di un piattume mediatico da “reality show”.
Foucault ha detto chiaramente che il potere produce più di ciò che reprime, e il più importante prodotto sono le soggettività. I nostri corpi incrociano relazioni di potere e il nostro divenire si orienta a seconda di come ci opponiamo a questo potere oppure ne seguiamo il flusso.
Per dirla con Claire Fontaine, non vogliamo riferirci qui alla riproducibilità tecnica dell'opera d'arte , bensì alla riproducibilità degli artisti nell'epoca delle singolarità qualunqui. Saranno qui esposte dunque azioni dimostrative o narrative di artisti derivate da una loro visione critica del presente, comunicate tramite il medium del documento video, cartaceo, immagini fotografiche e grafiche. Giovanni De Donà New York, 30 marzo 2008

Biografia

Giovanni De Donà nasce a Belluno il 06/09/1974; si laurea in Filosofia a Bologna con una tesi sulla proprietà intellettuale nei media digitali, trattando il problema della soggettività nel postmoderno. In seguito compie l’esperienza del progetto Leonardo a Londra in una piccola casa di produzione video, e nel 2006 frequenta un Master in gestione del software Open Source presso l’ateneo di Pisa.

Percorsi di ricerca

Nei primi anni 2000 De Donà dopo essersi interessato di streaming audio e di net_art, portando nel festival di Riga “Art+Communication” la problematica della semplificazione dell’audio durante la compressione per la trasmissione in rete, partecipa ad una performance collettiva attinente al tema presso Prix Italia RAI a Bologna. Segue brevemente questa scena, esplorando le possibilità della rete forte dell’eredità estetica e strutturale della Detroit Techno. Durante i primi anni 90 diffonde anche musica sperimentale tramite i canali delle radio libere, oltre a questo genere di elettronica afrofuturista che si basava su un network invisibile ai media di massa, e che ha cessato di praticare una volta diventato teatro di grandi festival commerciali generalisti.
Nel 2001 partecipa con un progetto al festival Medi@terra che si tiene prevalentemente nei media center dell’area balcanica.
Successivamente inizia a collaborare con il neonato collettivo Alterazioni Video per progetti sperimentali inerenti l’uso organico del suono e della luce. Questa ricerca sul suono, in riferimento anche a quella condotta dal finlandese Kurenniemi e alla sua fabbricazione di macchine musicali sperimentali, gli permette di esplorare i ritardi e le variazioni che le strutture musicali subiscono via via che fenomeni fisici interferiscono con lo svolgimento della performance, materializzazione di un interesse generale per l’errore in un sistema programmato. Ciò vale sia per quanto riguarda il progetto “Photons” attuato per il memoriale della teoria della relatività nel 2005 alla “Casa dell’energia” a Milano, sia per il concerto di luci “Lightwaves” che lo ha portato a vincere il finanziamento Movin’up con i ragazzi del gruppo per recarsi a performare dapprima al P.S.1. di NY, successivamente al Moca di Shanghai, ed infine a Bologna dove risiede.
L’anno seguente abbandona il gruppo pur tuttavia continuando saltuariamente ad organizzare party alle loro inaugurazioni, come alla DDM Gallery di Shanghai, al lido di Venezia per la 52°Biennale, in una baita alpina a Rovereto per Manifesta7.
Nel frattempo approfondisce il tema dell’immateriale, e spinto dalla necessità di superare l’impasse postmoderno del revival e della ripetizione, si dedica al progetto visionario e avanguardistico di creazione di un nuovo strumento digitale per musica basato sul dinamismo plastico di Boccioni, curando lo sviluppo e l’utilizzo della sua versione accademica “Temporoom” operato da studenti poi trasferitisi all’IRCAM di Parigi. Tale progetto prende il nome di Diachronic e il suo manifesto è online dal 2006.
Nel 2007 decide di approfondire la possibilità di articolare ed esprimere un pensiero curando un evento artistico collettivo, e compie la breve esperienza veneziana del “corso per curatori” frequentato presso il centro d’arte sloveno A+A.
L’anno seguente si trasferisce a Brooklyn per un periodo, stabilisce nuovi contatti e sviluppa una feroce critica alle proposte soprattutto del “New Museum”. Decidendo di affermare le proprie idee in merito al contemporaneo, decide di organizzare una mostra collettiva in Italia con giovani artisti internazionali provenienti da background diversi, ma con unico filo conduttore: nasce così la collettiva “Industrial Lies”, svoltasi nel 2008 presso la galleria “Dispari e Dispari” di Reggio Emilia.
A settembre decide di esplorare le “Biennali di periferia” per comprenderne meglio i meccanismi, e contribuisce come curatore per Italia alla Biennale di Vienna nel medesimo anno.
Successivamente inizia un percorso di collaborazione con l’artista russo Petr Bystrov inerente la revisione ed interpretazione del Futurismo italiano in Russia, portandosi definitivamente ad operare nell’enfasi degli elementi di rottura con la tradizione dei nipotini di Duchamp.

 

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