Attraversare le contingenze allargando le prospettive

16/04/2009
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Dorothee Richter

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Elvira Vannini/Matteo Lucchetti: Pensi che la direzione che la curatela di una Biennale può prendere, possa permettere la costruzione di uno spazio per il dissenso e la sperimentazione di nuovi formati culturali, rispetto alla deriva mainstream del fenomeno di espansione delle Biennali stesse in ogni parte del mondo?
Nella tua opinione in che modo le biennali "post-coloniali", o cosiddette periferiche, possono apportare cambiamenti all'interno del display espositivo? Possono avere ambizioni geopolitiche? Quali scenari culturali tracciano?

Dorothee Richter: Vedo la sfera culturale come rappresentazione di un apparato ideologico pubblico, così come Althusser lo ha posto, o come Chantal Mouffe ed Ernesto Laclau descrivono: come sfere egemoniche dove avviene un continuo dibattito/scontro su soggetto, nazione, arte, e dove ha luogo la rappresentazione ed il significato (politico) si crea.
Da questo punto di vista una Biennale può fare una grande differenza nel suo contesto politico, nel modo in cui le politiche stesse sono incluse o escluse, nel modo in cui il mondo non occidentale è rappresentato e nel modo con il quale ci si rivolge al pubblico. Qui le guerre culturali sono dichiarate e questo accade frequentemente in modalità che non sono così ovvie, sebbene per esempio gli artisti ebrei sono esclusi dagli stati Arabi (e nessuno sembra farci caso).
Si veda anche l'inclusione di organizzazioni non governative e i dibattiti interni alla Biennale di Istanbul come esempio positivo sull'inclusione di voci differenti.
In un certo senso è contraddittorio prendersela con la globalizzazione all'interno di un formato-biennale perché è chiaro che ogni biennale è parte della globalizzazione; perciò è sicuramente possibile criticare gli effetti specifici e mostrare una connessione con la scena culturale locale, con abitudini locali, politica e storia.

Elvira Vannini/Matteo Lucchetti: In una situazione, su scala internazionale, dove la produzione culturale è spesso sottoposta a pratiche di potere che si esprimono attraverso l'attività dell'istituzione, come può la pratica curatoriale mantenere il suo potenziale critico e trasformativo?

Dorothee Richter: Un atteggiamento curatoriale conservatore implica l'ignorare fattori contestuali e storici e mettere in scena l'arte come qualcosa di neutrale e trascendente che si concentra su di un ingegno, su un soggetto neutro, che sia questo un artista o un curatore. Anche scegliere di comportarsi come mediatore potrebbe assumere persino le caratteristiche di un atteggiamento pedagogico e paternalista. Ma l'istituzione può essere vista anche come un qualcosa di naturalizzato che trascende il tempo.
Quindi, se qualcuno contraddice questi formati ed adotta la posizione per la quale l'arte dovrebbe conferire un significato per dare voce a gruppi di persone che vengono tenuti sotto silenzio, allora si potrebbe arrivare a fare funzionare l'istituzione come un apparato contro lo Stato.
In questo senso, la Documenta X e per certi aspetti anche la Documenta 11 resero possibile per lo spettatore abbracciare nuove possibilità di produzione culurale.

Elvira Vannini/Matteo Lucchetti:
Relativamente alla tua esperienza diretta, come si intrecciano le dinamiche sopracitate nel tuo lavoro?

Dorothee Richter: E' costantemente necessario parlare, pensare e scrivere a proposito di questi argomenti e farlo durante esperienze di conferenze e progetti condivisi con studenti e pubblico in genere. Per mezzo di tale intensivo lavoro, posiamo condividere molte esperienze , che potrebbero sicuramente comportare una gran quantità di rivalutazioni. Noi abbiamo fondato il giornale online www.on-curating.org con il fine di scambiare opinioni su queste tematiche con tutti coloro che fossero interessati alla teoria ed alla pratica curatoriale.


Biografia
Dorothee Richter è una storica dell'arte, autrice e curatrice. è direttrice (con Barnaby Drabble) del programma specialistico in Curating e membro del gruppo di ricercatori sul "display espositivo", presso la University of Art and Design di Zurigo.
Tra il 1999 ed il 2003 è stata la direttrice artistica della Künstlerhaus di Brema, in Germania, dove il suo programma curatoriale di progetti, mostre, dibattiti e simposi, ha esplorato, tra le altre cose, i problemi delle pratiche artistiche impegnate socialmente, la posizione femminista contemporanea e la collaborazione artistica.
Ha dato lezioni teoriche alla Merz Akademie di Stuttgart e all'Università di Brema, insegnando nel corso di critica e curatela dei cybermedia presso l’Ecole des Beaux Arts di Ginevra e all'Università di Lueneburg. Dal 1998 Ha collaborato con Barnaby Drabble al progetto dal titolo Curating Degree Zero, che prosegue tutt'oggi.


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