Attraversare le contingenze allargando le prospettive

18/06/2010
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I Sogni della Politica non riguardano la Politica dei Sogni


Con questo titolo e con la domanda "Possiamo scandalizzarci solo all'interno dei musei e restare impassibili di fronte a un telegiornale per la stessa identica tipologia di immagine?" si possono sintetizzare le impressioni di un giovane artista e di una giovane curatrice alle prese con la Biennale di Berlino inaugurata il 9 giugno.
32 gradi il primo giorno e 21 il secondo; lo sbalzo di temperatura non ha fermato il popolo dell'arte che ha invaso la capitale tedesca per l'opening. Proprio da questo ha preso spunto il "diario" di Pierfabrizio Paradiso ed Eleonora Farina, che nelle loro sequenze di immagini hanno voluto cogliere soprattutto gli sguardi e le reazioni dei visitatori.
E nonostante pare condivisa l'opinione che in questa edizione della biennale ci siano "alcuni bei lavori che pero' non creano una bella mostra", Berlino offre molte occasioni per sognare, che i nostri non si sono lasciati sfuggire.



Di Eleonora Farina e Pierfabrizio Paradiso

Il sonno della coscienza non genera più sogni. I perpetui drammi del contemporaneo hanno imposto una nuova grande didascalia all’arte contemporanea: il divieto al sogno. Sembrerebbe ormai diventato un vilipendio alla coscienza umana ricercare il lato poetico e leggero della realtà che ci circonda.
La restituzione letterale della realtà oggettiva è diventata la nuova missione della produzione artistica di questi ultimi anni. Ma senza lo scarto poetico, siamo ancora legittimati a parlare di produzione inerente all’arte?
I lavori presentati all’interno della Berlin Biennale pretendono di guardarci in faccia, dicendoci cosa sia giusto e cosa no, cosa funziona intorno a noi e cosa no, per cosa dobbiamo sentirci in colpa e per cosa no.
Dimenticando però che l’Arte può diventare uno strumento attivo per la coscienza di ciascuno, senza limitarne il libero arbitrio: decretare delle sentenze non è compito dell’arte, bensì poeticizzare il presente cercando degli escamotage emotivi che producano molteplici direzioni di senso del reale, attraverso lo scarto del sogno, che lo spettatore potrà accettare di accogliere nel suo vissuto del quotidiano.
Restare nel limbo tra la documentazione e la pretesa dell’Arte crea un corto circuito nella percezione: possiamo scandalizzarci solo all’interno dei musei e restare impassibili di fronte a un telegiornale per la stessa identica tipologia di immagine?
Forse non è restituendo delle didascalie letterali della realtà che si produce senso. Abbiamo ancora il diritto di affrontare la Realtà costruendo utopie che il sognare comune può rendere possibili.

La prima serie di immagini



BB. Solo nel 2010 sono almeno tre le biennali di arte contemporanea - ricerca di Google alla mano - che usano questo acronimo: la Bucharest Biennale 4 inaugurata il 20 maggio, la 6° Berlin Biennale al via lo scorso 10 giugno e la prossima Busan Biennale 2010 (Corea del Sud) che aprirà i battenti l’11 settembre.
Inutile ricordare in questa sede che eventi come le biennali sono divenuti un’occasione d’incontro piacevole e imperdibile per il popolo dell’arte. E’ pur vero però che questo stesso popolo dell’arte, il quale alimenta in modo sostanziale il mercato del turismo (nel caso di Berlino una capitale europea già all’avanguardia in entrambi i campi), non si accontenta facilmente di fare solo presenza.
Tutti fagocitati dal turbinio di scambi verbali con amici e conoscenti o presi da nuovi incontri (sulla spalla l’immancabile shopping bag dell’evento più cool della stagione) i tanti discorsi da petit dejeuner sur l'herbe - è infatti proprio sul prato di Oranienplatz che giovedì 10 giugno si è svolta l’inaugurazione della Biennale - sono inevitabilmente catturati dalla mania esterofila che porta noi artisti italiani a ritrovarci lì, nella città tedesca per eccellenza (gruppo consistente, infatti, quello italiano, che si è incontrato la sera prima a conversare sulle note del dj Carsten Nicolai/Alva Noto alla Temporäre Kunsthalle...).

La seconda serie



Sabato 12 giugno, pomeriggio: I redattori di questo diario di un’esperienza tedesca - dopo un primo, breve scambio all’opening party della Biennale - si danno appuntamento ai tavoli di un tipico ristorante turco di Kreuzberg (quartiere clou di questa edizione) alla fine dell’immancabile tour de force di tre giorni in giro per Berlino.
E certo la loro impressione è la stessa nonostante si conoscano lì, davanti a un falafel, per la prima volta: mostra didattica e didascalica, dove il forse interessante concept della curatrice Kathrin Rhomberg non riesce a decollare.
Dal suo testo in catalogo: "Sviluppi tecnologici come anche attuali crisi economiche, politiche e sociali globali hanno causato delle rotture nella nostra realtà, hanno allargato il divario tra il mondo del quale parliamo e il mondo che esiste realmente". Insomma, il reale è presentato in modo così reale da chiedersi se alcuni siano semplici documentari più che lavori d’arte.
Poche quindi, a detta nostra, le opere di questa Biennale che rimarranno incise nella memoria: nell’impressionante sede di Oranienplatz i video marxism today di Phil Collins e I Can Sing di Ferhat Özgür, nonché l’installazione Das Haus bleibt still di Adrian Lohmüller.
Certamente lo storico video The Girl Chewing Gum di John Smith datato 1976 nel particolare caffè di Dresdner Strasse; forse la gigantesca casa - con galline a completare - del più giovane partecipante a questa edizione, Petrit Halilaj, presso la sede del KunstWerke.
Non ci convince l’installazione home-made di Danh Vo nel suo appartamento di Kohlfurter Strasse e anche la retrospettiva su Adolph Menzel (1815-1905) presso l’Alte Nationalgalerie ci è sembrata più la mera applicazione di una ricetta culinaria che la dimostrazione di un vero interesse per il nostro recente passato.
Risultato finale: gente annoiata ha sfilato davanti alle opere di questa ultima biennale berlinese, senza troppa passione e senza la minima intenzione di sorbirsi ore e ore di video-lavori nella sede di Oranienplatz. Avrà forse influito il forte caldo nel tenere le persone fuori dalle buie e afose stanze?

La terza serie



Certo è che siamo tutti andati in giro per Berlino con un atteggiamento più entusiasta la sera di venerdì 11 giugno, quando numerose gallerie hanno presentato le loro nuove proposte. Grande successo quindi per ciò in cui la città è specializzata: la moltitudine infinita di spazi privati - circa 400 secondo l’Unione delle Gallerie Tedesche.
Noi abbiamo visitato la bellissima personale dell’artista romeno Ion Grigorescu (il cui video Sleep, è in mostra alla Biennale) a cura di Magda Radu presso la Galerija Gregor Podnar e la mostra di Gordon-Matta Clark presso la Galerie Thomas Schulte; infine grande party di inaugurazione per la nuova location del Künstlerhaus Bethanien, la famosa residenza berlinese per artisti internazionali.
Le vere sorprese di questa lunga settimana sono arrivate durante il weekend: decisamente interessante la performance dell’artista slovacco Ján Mančuška Riverse Play e impedibile il videowalk Ghost Machine di Janet Cardiff e George Bures Miller, entrambi presso il teatro Hebbel am Ufer; affascinante, accogliente e leggera la personale Inner City Out di Olafur Eliasson curata da Daniel Birnbaum presso il Martin-Gropius-Bau.
Insomma, nonostante le alte aspettative per una biennale fatta di nomi per la maggior parte poco conosciuti - e citiamo le parole di un visitatore - e nonostante - continuiamo la medesima citazione - la presenza di alcuni bei lavori che però non creano una bella mostra, possiamo concludere che artisti più interessanti si sono proposti nella due giorni di open studio realizzata presso l’atelier dello stesso Eliasson all’interno del progetto Space Activism.
Prossimo appuntamento con le biennali? Ovviamente agli inizi di ottobre per Manifesta8 a Murcia, che si è fatta annunciare anche a Berlino, con un suo tipico brunch...

Il comunicato della Biennale su pressRelease

Su Magazines puoi leggere l'intervista di Raimar Stange con Kathrin Rhomberg, tratta dal numero di aprile - giugno 2010 di cura.magazine

Link utili:
http://www.berlinbiennale.de
http://www.kunsthalle-berlin.com
http://www.gregorpodnar.com
http://www.galeriethomasschulte.de
http://www.bethanien.de
http://www.hebbel-am-ufer.de
http://www.innenstadtaussen.de
http://www.indexberlin.de (da scaricare il pdf; con tutti gli eventi a Berlino da giugno fino ad agosto, soprattutto la grande retrospettiva di Bruce Nauman all’Hamburger Bahnhof)


Eleonora Farina è laureata all'Università "La Sapienza" di Roma in storia dell'arte contemporanea con una tesi sulla Kunsthalle Portikus di Francoforte sul Meno (attualmente diretta dal Prof. Daniel Birnbaum). Dopo un anno di lavoro a Bucarest presso il dipartimento curatoriale del Museo Nazionale d'Arte Contemporanea, al momento vive a Berlino dove sta iniziando un dottorato di ricerca presso la "Freie Universitaet" (Prof. Gregor Stemmrich) sull'attuale situazione dell'arte romena. E' su questa tematica che ha inoltre realizzato diversi progetti curatoriali, ha partecipato a lecture e ha scritto articoli specialistici. Collabora regolarmente con UnDo.Net e con la rivista "Arte e Critica".

Pierfabrizio Paradiso: artista, vive e lavora a Milano. Si è diplomato all'Accademia di Belle Arti di Brera con una laurea sulla Relazione tra Opera d’Arte e Spettatore dalla Scultura come Teatro alla pratica artistica degli ultimi vent’anni. Ha ottenuto un MA in Visual Arts and Curatorial Studies diretto da Marco Scotini presso la Naba di Milano, dove è anche Tutor per i progetti del Dipartimento di Arti Visive. Ha partecipato ad attività e lezioni come co-docente per il corso di Fenomenologia Comparata delle Arti per il master di Light and Landscape Design all’interno dell’Accademia di Brera ed è stato Tutor per il corso di Ultime Tendenze nelle Arti Visive con la storica e critica dell'arte Marcella Anglani. E' membro di Trama21 - Research Group for Contemporary Art. Centrale nel suo lavoro è l'attivazione di dispositivi che risignificano i luoghi della quotidianità, non più solo attraverso una prospettiva fisico-strutturale, bensì attraverso l'architettura umana e la memoria emotiva dei luoghi stessi per analizzare le pratiche del fare comunità nel XXI secolo.