Attraversare le contingenze allargando le prospettive

07/04/2011
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Sensi e non sensi

Sulla pelle bianca dei muri di un museo Dan Perjovschi stende il frottage dei suoi pensieri. Sono le impressioni che un luogo e un tempo esercitano sulla carta delle sue sensazioni.
Sulla parete del Macro a Roma, tra costellazioni di disegni e parole, c'è anche la sua immagine dell'Italia: un omino che con grande slancio circolare si da' un calcio nel sedere da solo, ovviamente con lo stivale. Fra un paio di mesi sarà tutto cancellato, ma solo nella mostra "The crisis is (not) over". Ce ne parla la curatrice Teresa Macrì...



Dan Perjovschi, Italy today, 2011. Disegno per il MACRO. Courtesy l'artista



Immagini della mostra di Dan Perjovschi 'The crisis is (not) over. Drawings and Dioramas' al MACRO, Roma, 2011. Foto altrospazio Roma



























Massimo Marchetti: Ci puoi spiegare in cosa consiste l'intervento di Dan Perjovschi al Macro e parlarci di questo artista?

Teresa Macrì: Dan Perjovschi è un artista nato a Sibiu, città che sta al centro della Romania, nel 1961 – per dare un'idea della generazione di appartenenza – ciò è molto importante perché tutta la sua formazione, e quindi il suo lavoro, risente del fatto che in gioventù ha studiato in un clima abbastanza totalitario, sotto Ceauşescu. Quindi appartiene a una generazione che, dopo la caduta del muro di Berlino e il cambiamento politico in Romania, ha vissuto la post-ideologia in modi molto diversi anche al suo interno.

Dan Perjovschi ha la particolarità di utilizzare il disegno – spesso definito caricaturale anche se lui non fa nessun tipo di caricatura – e questo deriva dal suo background di disegnatore su un magazine indipendente rumeno che si chiama 22, in cui cercava di parlare della società in modo molto ironico, quindi molto secco, concentrato e frontale. Affacciandosi nel panorama artistico si è reso riconoscibile non solo perché usa il disegno, riportato e quindi ingigantito sulle pareti di musei, istituzioni, o luoghi no profit, ma anche perché disegna quello che succede nel periodo in cui sta facendo questi interventi, legandosi quindi molto alla realtà sociale, politica, economica, toccando talvolta anche drammi sociali.
Questo in sintesi il lavoro di Dan; inoltre, spesso lui scrive accanto ai disegni alcune frasi per certi versi surreali, con suoni onomatopeici che danno un senso ai disegni, quindi usa testo e immagine.

M.M.: Quindi il suo lavoro riesce a trovare un punto di equilibrio proprio tra una leggerezza ironica del segno e una pesantezza anche tagliente dei contenuti?

T.M.: Infatti mi interessa proprio per questo. Nel senso che ciò che penso sia superfluo in questo momento – ma l'ho sempre ritenuto tale – è un linguaggio che si accosta ai problemi quotidiani, politici o sociali con retorica. Tutto questo invece Dan lo scavalca usando questa leggerezza del tocco e anche del testo, e ciò fa sì che i suoi interventi, le grandi gigantografie di disegni che produce e realizza in vari musei del mondo, siano colti e siano letti da qualsiasi tipo di pubblico.
Il suo non è un discorso specialistico di carattere concettuale (anche se è molto concettuale), ma si apre alla comprensione di chiunque perché i suoi disegni, brevi frasi o anche parole che si inventa, riescono ad arrivare veramente a tutti. Secondo me è molto importante – per un artista come per uno scrittore o per chiunque – parlare del sociale, offrire anche un'idea del proprio pensiero e del punto di vista che si ha sul mondo con leggerezza.

M.M.: E' un segno che a sua volta riesce a non essere solo disegno o solo parola.

T.M.: È vero, questo perché esprime sempre un punto di vista. Quello che a me interessa moltissimo del suo lavoro, a prescindere dalla forma in cui si presenta – anche se per esempio qui a Roma è stato interessantissimo tutto il lavoro che lui ha fatto per due settimane live, dando la possibilità a chiunque di poterlo osservare mentre disegnava sulle pareti del MACRO – è il suo modo di concepire l'opera: sostanzialmente si basa su dei piccoli disegni che fa su un taccuino, durante il giorno, la sera, durante tutta la fase di realizzazione.

È bellissimo vedere come lavora perché apparentemente non segue nessun piano: disegna o scrive frasi costellando lo spazio che ha a disposizione in punti sparsi, non inizia in un punto preciso e poi continua da lì, ma interviene in vari zone delle pareti e poi riesce nel corso dei giorni a riempirle, lasciando anche dei vuoti che hanno un senso. Tutto questo con un taglio graffiante, ironico sì ma molto denso, molto intenso.

M.M.: Devo dire che ci sono alcuni “brani” di questi suoi interventi che sono veramente folgoranti...
Ma secondo te il lavoro di Dan Perjovschi si può accostare alla critica istituzionale? Perché sia per i temi, che per il tipo di intervento che va ad attuare sui muri bianchi, sul white cube (tanto più quando si tratta di situazioni istituzionali), sembra quasi alludere alla sporcatura di questo biancore, di questa pulizia, cosa che può rimandare alla matrice della Street art in America negli anni '80: quando i grandi palazzi della City, del centro finanziario newyorkese, venivano proprio sfregiati. Il suo non è certo uno sfregio, ma può alludere anche a questa dimensione secondo te?


T.M.: Il suo modo di lavorare, la sua ispirazione, sono basati su una ricerca che si riflette nel lavoro che farà il giorno dopo; consiste essenzialmente nel rimanere in contatto con quello che succede nel mondo attraverso internet, leggendo un'infinità di quotidiani al giorno, camminando molto per le strade della città o del luogo in cui interviene.
E' vero che il suo discorso è globale, ma è anche molto interessato a quello che semplicemente succede per strada. Quindi sì, il suo lavoro è legato a un certo tipo di graffitismo urbano, ma quello che lui sostanzialmente vuole quando fa i suoi interventi, è prima di tutto lavorare in una parte del museo che sia free - in cui non si paghi il biglietto per entrare - come a Roma la sala Enel.

Poi ogni suo lavoro, quando finisce la mostra, viene coperto e le pareti rimbiancate, quindi il suo intervento e i suoi disegni spariscono, anche se ovviamente esiste una documentazione di quello che ha realizzato. A differenza dei graffitisti che intervengono per strada illegalmente, il suo è un intervento super legale perché avviene in accordo con i musei o con i luoghi, non sparisce come i graffiti, che vengono coperti per ripulire le pareti, ma perché una mostra ha un inizio e una fine.

M.M.: Un'ultima cosa: tu, oltre ad essere curatrice indipendente sei anche docente dell'Accademia di Belle Arti de L'Aquila; una tua riflessione circa l'attuale situazione della città e circa l'accademia?

T.M.: È abbastanza difficile... Io personalmente subito dopo il terremoto ero molto addolorata e, visto che non amo visitare macerie, mi sono rifiutata di tornare, anche perché il centro de L'Aquila era chiuso.
All'interno dell'accademia, che fortunatamente è stata l'unica istituzione a non subire danni, per quello che vedo funziona tutto come prima, benché tutti i miei studenti e i docenti siano tutt'ora senza casa, quindi la maggior parte delle persone che vivono e lavorano in accademia hanno dovuto affittare delle case spostandosi, come sappiamo, verso la costa. Tra gli studenti alcuni hanno avuto all'inizio la possibilità di entrare nelle nuove casette, che io non ho mai visto, ma hanno dovuto liberarle l'ottobre scorso perché erano state costruite male e dopo i primi temporali non potevano più essere abitate, per cui ora sono in balìa degli amici.

C'è più volontà di prima di aggregarsi, di trovare dei posti per i ragazzi dove incontrarsi, visto che il centro de L'Aquila purtroppo è morto e quindi non ci sono più locali. Ricordiamo che L'Aquila era una città vivissima, piena di giovani e di universitari, e l'economia era basata anche moltissimo su questo; ora, non essendoci più questi posti, sia gli universitari sia quelli dell'accademia frequentano moltissimo le scuole perché funzionano anche da polo di aggregazione, per il resto non saprei che dire...



Maggiori informazioni sulla mostra Dan Perjovschi. The crisis is (not) over
Fino al 12 giugno 2011 al MACRO, via Nizza (angolo via Cagliari) - Roma



Quest'intervista è tratta da Voices, archivio sonoro di interviste in progress un progetto del network UnDo.Net realizzato in collaborazione con Humus, programma radiofonico di approfondimento culturale condotto da Piero Santi su Radio Città del Capo. Ogni settimana alcuni dei protagonisti della scena artistica contemporanea sono intervistati da Annalisa Cattani e Massimo Marchetti.
Voices è un attraversamento random tra le contingenze del contemporaneo che offre un'istantanea - ovviamente parziale - del dibattito intorno al display, le pratiche artistiche e curatoriali, i protagonisti delle fenomenologie attuali.
Ogni intervista viene trasmessa in radio e viene pubblicata su UnDo.Net per essere diffusa attraverso la rete, in relazione con tutte le altre fonti presenti nel network riguardo eventi culturali, autori e progetti.