La Generazione delle Immagini


5 - 1998/99 - Landscape in Motion

Film&Video
Giovanna Amadasi e Andrea Lissoni

Il paesaggio è una metafora che può contenere una stratificazione quasi infinita di significati. Tradizionalmente la visione del paesaggio viene concepita come un'esperienza puramente contemplativa, dove non esiste un percorso predeterminato e non entrano in campo nella visione né ricordi né attese. Tuttavia il paesaggio, da scenario immobile osservato 'esteticamente' e idillicamente, genere artistico classico, si è trasformato, nell'era tardo moderna e postindustriale, in un sistema complesso e in continuo movimento, tale da non poter essere più osservato dall'esterno ma necessariamente vissuto ed interpretato nel suo continuo mutamento. Dal termine landscape, letteralmente veduta di terra, che coincide con un concetto di natura incontaminata e di orizzontalità immobile, si passa nel presente ad un'accezione più ampia del paesaggio come insieme complesso, esemplificato meglio di ogni altra cosa dalla città, paesaggio brulicante di umanità e al tempo stesso sempre più high tech, caratterizzato dalla verticalità, da contrasti spaziali e temporali perennemente irrisolti, da ritmi convulsi e frammentarietà percettiva.
Landscape in motion film e video, fra opere di autori per lo più attivi con diversi media dagli anni Cinquanta ad oggi traccia, senza pretese di esaustività, una linea che si snoda tra questi due estremi: il paesaggio sconfinato ed immobile del deserto, orizzonte mitopoietico immobile, e quello dello skyline metropolitano, che contiene in sè ogni possibile movimento. Fra cinema, videoarte, video d'artista, e cinema sperimentale, l'obiettivo di Landscape in motion film e video è ricostruire un pur incompleto affresco dal quale emerge con evidenza la velocità come questione centrale: velocità dei network, dell'informazione, dei mezzi di trasporto, fisici o immateriali, dei dispositivi di rappresentazione e della rappresentazione stessa,... e di riflesso la presa di posizione di autori e produttori di immagini e suoni.

Cosa accade dal momento che il paesaggio è in movimento' Permane la sua funzione chiave in quanto potenziale discriminante fra tradizioni cinematografiche, territoriali o nazionali nell'epoca presente' Quale è lo stato del fluttuante e mai risolto rapporto fra paesaggio-realtà e paesaggio-immagine' Si produce tuttora da parte di artisti e autori cinematografici un'immagine del paesaggio' Landscape in motion film e video, è un'immersione in un paesaggio di immagini e visioni che risponda, anche solo in parte, a questi interrogativi.

Schede dei film

James Agee/Janice Loeb/Helen Levitt
In the street
(USA 1952) © Light Cone
James Agee (1910-1955) scrittore, poeta e critico cinematografico, Janice Loeb (1913), pittrice e storica dell'arte e Helen Levitt (1913), fotografa e cineasta seguace di Cartier-Bresson e Evans e in mostra all'ultima Documenta di Kassel, hanno collaborato alla realizzazione di In the street nel 1948, montandolo di fatto solo tre anni dopo. In the street (1952) ritrae un paesaggio umano nello sfondo del paesaggio urbano di East Harlem nella New York del dopoguerra. È un film che è riuscito a catturare la sensazione di energia della strada attraverso una serie di gesti: una sfilata di ragazzini mascherati che si picchiano, vecchie che guardano il mondo dalla loro porta, ragazze che aspettano ai loro appuntamenti. La fotografia è sorprendente per la sua innocenza, in questo aiutata anche dallo stratagemma di un obiettivo fuori asse che permetteva di non interferire con le persone filmate.

Doug Aitken
Diamond Sea (USA 1997)
Eraser (USA 1998) 303 Gallery, NY
Regista di videclip musicali e artista, Doug Aitken (1969) vive e lavora tra New York e Los Angeles, e ha partecipato alla Biennale di Venezia del 1999 nella sezione 'dAPERTutto'. Diamond Sea, girato in un giacimento di diamanti del deserto della Namibia nasce dalla ricerca di un'identità impossibile di una 'zona neutrale' la cui stessa esistenza è stata cancellata dalle carte geografiche, uno spazio completamente privo di qualsiasi riferimento che ci riporti a una realtà conosciuta: per l'artista la sfida è creare una narrativa utilizzando i pochissimi elementi di questo paesaggio desertico e surreale. Eraser (1998) è il più recente lavoro di Aitken e riprende il tema già presente nel primo lavoro: girato in film e montato su video, è stato realizzato nell'isola di Montserrat, nei Caraibi, che nel 1997 fu interamente sommersa da un'eruzione che cancellò ogni traccia dell'identità paesaggistica preesistente. La colonna sonora è stata creata dall'artista tramite il campionamento di suoni registrati sul luogo.

@rchimedia
Fiona Meadows e Frederic Nantois
Spaces of non-memory places
(Francia 1998) © @rchimedia
@rchimedia è uno studio professionale di architetti che lavora - soprattutto da punto di vista progettuale e teorico - sulle possibili soluzioni urbanistiche per una città del futuro. Spaces of non-memory places, è stato realizzato nel 1998 e faceva parte della mostra itinerante 'Cities on the Move' curata da Hans Ulrich Obrist. Il video, realizzato utilizzando tecniche digitali che assemblano l'elemento reale degli spazi urbani con quello astratto dell'immagine geometrica e con la parola scritta, diventa per gli architetti uno strumento di indagine con il quale esplorare il rapporto tra spazio, memoria, identità e storia alla ricerca di risposte reali e non virtuali per vivere gli spazi urbani.

Dan Asher
Glacier # 2 (USA 1998)
© Electronic Arts Intermix, NY
Dan Asher che vive e lavora a New York, utilizzaper il suo lavoro di artista soprattutto il video e la fotografia. Glacier # 2, che appartiene a una serie di lavori recenti, è la rappresentazione distaccata e quasi documentaristica di un percorso in barca attraverso gli iceberg. Gli immobili blocchi di ghiaccio, visti ripresi in modo che sia impossibile definirne dimensioni e distanza, assumono i contorni di un paesaggio irreale ma nitidissimo. L'immobilità dell'immagine, l'assenza completa di intervento sull'immagine o sul suono (in presa diretta), l'aspetto gelido del paesaggio ripreso conferiscono a questo lavoro il carattere di un frammento carico di suggestioni poetiche e metaforiche.

Abigail Child
B/side (USA - 1996)
© Abigail Child, NY
Abigail Child è una regista sperimentale che vive e lavora a New York, e il cui lavoro è incentrato sulle zone della città ' come per esempio Alphabet City - contraddistinte fino a pochi anni fa dalla forte presenza di emarginazione e degrado urbano e oggi terre di conquista della speculazione edilizia e del 'turismo alternativo'. B/side, che si svolge nell'accampamento conosciuto come Dinkinsville, distrutto nell'ottobre del 1991, alterna immagini originali di footage tratte dalla vita quotidiana dei suoi abitanti con scene di fiction. La protagonista è una homeless di origine latinoamericana (impersonata dall'attrice Sheila Dabney): attraverso la ricostruzione per immagini di una giornata della donna, la Child ritrae uno degli aspetti più oscuri e contraddittori dello sviluppo urbanistico e sociale della grande metropoli, in cui ampie zone come questa, 'terre di nessuno', vengono progressivamente fagocitate con un meccanismo facilmente assimilabile ad un nuovo e altrettanto brutale colonialismo.

Brian Eno
Mistaken memories of medieval Manhattan (GBR 1980-87)
© Rifrazioni-Reiner Bumke
Brian Eno, artista multimediale e musicista, è uno dei protagonisti della ricerca audiovisuale britannica fin dagli anni settanta. I suoi progetti individuali e le sue collaborazioni con noti gruppi pop o sperimentatori delle vie dell'elettronica hanno sempre lasciato il segno. Mistaken memories of medieval Manhattan (1980-87) è la ripresa di un lavoro del 1980-81 inizialmente creato per una serie di mostre. Il formato è verticale. Strutturato in sette sequenze il video mostra il profilo metropolitano di New York da diversi punti di vista. La staticità dell'architettura sovrapposta ai cambiamenti atmosferici e alle mutazioni del cielo rende il senso dell'orizzonte. In combinazione con il fluire della musica di Eno stesso si crea un'atmosfera uniforme ed intensa come un mélange fra pittura fiamminga e moderne visioni della metropoli.

Nan Goldin/Edmund Coulthard
I'll be Your Mirror (Usa 1995)
© Nan Goldin/Edmund Coulthard
Nan Goldin (Washington 1953) comincia a fotografare dall'età di diciotto anni, imponendosi presto come uno dei fotografi più noti degli ultimi anni, soprattutto nel sistema delle arti visive; recentemente il Whitney Museum le ha dedicato una retrospettiva. I'll be Your Mirror, realizzato in collaborazione con Edmund Coulthard nel 1995, è un racconto che si snoda attraverso una serie di interviste agli amici e ai soggetti protagonisti delle fotografie di Nan Goldin nel corso degli anni. Le interviste testimoniano un'intera esperienza di vita, una generazione a suo modo eversiva che si svela con sincerità. Il film è costituito di immagini Hi-8, fotografie, film, con musiche dei Velvet Underground, Patty Smith, Television. I'll be your mirror, attraverso un variopinto e multiforme paesaggio umano evoca, senza mostrarlo, un paesaggio urbano sfondo di incroci scambi e incontri in cui valore principale è l'esperienza di vita senza imposizioni di sorta.

Werner Herzog
Apocalisse nel deserto - (Germania 1991-91)
Werner Herzog (Monaco, 1942), pseudonimo di Werner Stipetic, inizia da autodidatta e realizza in tutta la sua carriera film, documentari, corti, lunghi, fiction, pubblicando scritti (tradotti in Italia da Ubulibri) e mettendo in scena opere liriche. Considerato uno dei registi maggiori del cinema europeo ha realizzato, tra gli altri, Aguirre furore di Dio, L'enigma di Kaspar Hauser, Fata Morgana, Cuore di vetro, Nosferatu il principe della notte, Fitzcarraldo, Cobra verde. Apocalisse nel deserto (1991-92) è un requiem sul ritmo delle partiture musicali di Prokofiev, Mahler, Wagner e Verdi che ne ampliano la già dirompente tragicità. Lo spunto è il paesaggio dopo la guerra del Golfo, una non rimarginabile ferita, una Land Art degli artisti della guerra. L'equazione condizione di natura/condizione di cultura è drammaticamente sconvolta. Il paesaggio è evidentemente il soggetto visivo del film, anche se i cinque capitoli in cui è scandito rimandano ad una parabola universale della storia dell'uomo. Macchine, di aria e di terra, materia, fuoco, petrolio, in un inferno presente che resterà drammatica testimonianza urlante delle follie di fine secolo almeno quanto le tante notti illuminate dai fatui 'fuochi artificiali' nei cieli di Baghdad.

Herzog & De Meuron e René Pulfer
Once Upon a Time there was a city - the contemporary city - a video model
(Svizzera - 1996)
© Herzog & De Meuron e René Pulfer
Herzog e De Meuron, che vivono e lavorano a Basilea, sono considerati tra i più importanti architetti contemporanei della scena internazionale. Once upon a time there was a city, frutto della collaborazione con il filmmaker René Pulfer, docente di film e video alla Scuola di Design di Basilea, fa parte della mostra itinerante Cities on the Move curata da Hans Ulrich Obrist.
Il film è costruito con immagini riprese da una telecamera fissa, montate in contemporanea a elementi di footage tratti da film e da notiziari Tv, che progressivamente costruiscono un modello di città contemporanea. Originariamente concepito per la mostra Enquête sur l'architecture proche per il Centre Pompidou, successivamente annullata, questo lavoro è diventato poi per Herzog e de Meuron l'occasione di una riflessione sul tema delle infinite possibilità di percezione della realtà urbana contemporanea attraverso immagini filmate reali o di fiction.

Ian Hugo
Jazz of lights - (USA 1954) © Light Cone
Ian Hugo (Boston, 1895-New York, 1985), è un autore che si situa nella scia del cinema surrealista e nelle esperienze del cinema sperimentale del dopoguerra. Ha utilizzato tecniche come sovrimpressioni, distorsioni ottenute attraverso movimenti di camera, improvvisazioni astratte. Jazz of lights (1954), con Anais Nin e Moondog, è girato a Times Square, a New York. Il realismo è tramutato in impressioni fuggitive, nel riflesso delle insegne luminose ogni alterazione di colore è il risultato del movimento di distorsione e sovrimpressione. Le immagini tendono a trasfigurare i soggetti ripresi, i protagonisti della città, edifici e insegne, costruendo una sinfonia visiva quasi musicale, in cui le insegne, in nuovi ritmi e sotto giochi di luci prendono la forma di segni cabalistici, definendo un inedito paesaggio urbano.

Takahiko Iimura
Ma: space/time in the garden of Ryoan-Ji (JAP 1989) © Light Cone
Takahiko Iimura (Tokyo, 1937) è artista video e cineasta in continua evoluzione linguistica, segnato negli esordi dal Dada e dal surrealismo. Introdotto nel New American Cinema, dagli anni sessanta si avvicina al lavoro di Smith, Warhol, Mekas, Brakhage, interessandosi sempre più ai materiali e ai processi cinematografici, coniugando la propria sensibilità orientale a tale nuovo procedere. Negli anni settanta comincia a lavorare sulla temporalità percepita in sala, producendo film minimal-concettuali, ridotti a luce/buio, numeri/parole. Si sposta successivamente sempre più verso il video, ambito in cui lavora prevalentemente destrutturando il dispositivo. Ma: space/time in the garden of Ryoan-Ji (1989) è una buona introduzione al giardino classico giapponese e al concetto nipponico del 'Ma'' Il commento sonoro del film, una visione contemplativa su un aspetto del paesaggio tipicamente giapponese, è dell'architetto Arata Isozaki.

William Klein
Broadway by light - (USA 1957) © Iskra
William Klein è regista e pittore, ma soprattutto è uno dei fotografi più importanti degli ultimi decenni. Attivo fin dagli anni cinquanta, è indifferentemente passato dalla fotografia d'autore a quella di moda, dedicandosi spesso alla pubblicità.
Broadway by light (1957) è una sequenza musicale e visiva di immagini di insegne della città, un delirio di luci lampeggianti e neon, riprese e montate con grande maestria. Vera e propria anticipazione del paesaggio urbano degli anni sessanta, il film è da considerarsi in assoluto il primo film Pop, nonché la matrice di molti altri successivi film e video ritraenti la città. Nelle inquadrature sono riconoscibili i soggetti di molte opere dei protagonisti della Pop art newyorkese, con citazioni evidenti, come nel caso dell'installatore di scritte sopra i cinema ripreso da George Segal. Il film ha avuto come consigliere tecnico Alain Resnais e Chris Marker come autore della scritta iniziale ('Gli americani hanno realizzato il jazz per consolarsi della morte, la star per consolarsi della donna. Per consolarsi della notte hanno inventato Broadway').

Ken Kobland
Shanghaied text (USA 1996)
© Electronic Arts Intermix, NY
A partire dagli anni '70 Ken Kobland, nato a New York, dove vive e lavora, ha prodotto film e video di ricerca tra i più interessanti e importanti dell'avanguardia americana, e ha lavorato con il Wooster Group. Shanghaied text, uno dei suoi lavori più recenti, costituisce la prima parte di un progetto sul paesaggio come 'artefatto' , in cui immagini di natura incontaminata sono giustapposte a immagini di eventi storici e di sviluppo industriale. Questo accostamento, in cui il paesaggio immobile e pacifico fa da sfondo a eventi storici drammatici e rivoluzionari (tratti da documentari della rivoluzione russa, della Cina comunista e del maggio parigino) suggerisce la metafora della 'terra madre' come elemento femminile (sottolineata anche dalle immagini di corpi di donna) e della storia umana come elemento maschile invasivo e dominante.

Babette Mangolte
The sky on location - (USA 1982)
© Babette Mangolte
Babette Mangolte , nata in Francia, vive a New York dal 1970. Conosciuta per aver girato alcuni dei più importanti film di Chantal Ackermann e Ivonne Rainer e il primo film di Sally Potter, la Mangolte, che è anche fotografa e autrice di saggi, è una delle principali rappresentanti del cinema sperimentale femminista americano, e dal 1989 insegna film alla University of California di San Diego. Alcuni dei suoi film, tra cui What Maisie Knew (1975) e The Camera: Je (1977) sono nella collezione del Museum of Modern Art.
The Sky on Location, presentato al Festival di Berlino e di Toronto, ha come tema lo sconfinato paesaggio americano, visto attraverso la lente della rappresentazione cinematografica, dal western al road movie. Questa tradizione, sembra suggerire la Mangolte, ha influenzato a tal punto il modo di guardare al paesaggio da essere divenuto più reale del modello originale. Attraverso un viaggio nelle zone più selvagge degli Stati Uniti, riprese in ore e stagioni dell'anno diverse, la Mangolte analizza la complessa trama di rimandi e significati, di sovrapposizioni e di simboli di cui l'orizzonte sconfinato si fa schermo.

Chris Marker
Si j'avais quatre dromedaires
(Francia 1966) © Iskra Film
Chris Marker (1921) è cineasta, scrittore, fotografo. Autore fondamentale dell'ultimo trentennio, Chris Marker (o Jacopo Berenizi, o Christian-Francois Bouche Villeneuve, forse il suo vero nome fra tanti pseudonimi) ha realizzato film, video, documentari e installazioni entrate nella storia della produzione audiovisiva di fine secolo. In una sterminata produzione di cui l'opera più recente è il CD-Rom Immemory e la più nota il magnifico cortometraggio La Jetée (1962), il paesaggio ha sempre trovato un posto di riflessione e messa in scena imprescindibile. Si j'avais quatre dromedaires (1966) realizzato con la stessa tecnica de La Jetée, con immagini fotografiche fisse, messe insieme e montate con genialità è, come scrisse Claude Beylie '' un vagabondaggio ai quattro angoli di questo mondo e ai limiti di un altro, compiuto da un cacciatore di immagini veloce come il lampo, libero come il vento, che è andato in giro per il mondo come suggerisce il mezzo di trasporto evocato nel titolo, pronto a cogliere l'insolito, a smascherare infelicità e a rivelare bellezza...', insinuandosi in paesaggi sempre nuovi e in mutazione.

Gordon Matta Clark - City Slivers
(USA 1976) © Electronic Arts Intermix, NY
Gordon Matta Clark (1943-1978) è considerato uno dei più importanti artisti degli anni '70. Conosciuto soprattutto per i suoi interventi di taglio su edifici e di performances legate all'ambiente e al paesaggio, Matta Clark è inoltre autore di numerosi film. City Slivers, concepito per essere proiettato sulla facciata di un palazzo in occasione della mostra ARCADES, è una ricerca formale e concettuale sulla struttura urbana di New York, in cui la telecamera viene utilizzata come uno strumento che disseziona il paesaggio sottolinenadole la verticalità e le infinite possibili identità.

MICA TV in collaborazione
con Dike Blair e Dan Graham
CASCADE/Vertical Landscape
(USA 1988) ©Electronic Arts Intermix, NY
Dan Graham è uno degli artisti più conosciuti della scena contemporanea, affermatosi intorno alla metà degli anni '70 con un lavoro che analizza gli spazi pubblici delle grandi metropoli e in particolare le 'zone di confine' tra esterno e interno così frequenti nelle moderne metropoli, zone simboliche per osservare il rapporto tra spazio umano e spazio architettonico. Cascade: Vertical Landscape è un progetto realizzato in collaborazione con MICA TV e diretta dagli artisti Carole Ann Klonarides e Michael Owen, che sovrapponendo cultura pop, linguaggio televisivo e arte contemporanea fornisce un'ironica 'ode in verticale' di Manhattan, vista nel suo aspetto più retorico e celebrativo di monumento architettonico al capitalismo. Amir Naderi
Manhattan by numbers (USA1993)
Amir Naderi (Abadan 1940) lavora prima a Teheran come fotografo di scena e poi come regista. Realizza una sceneggiatura per Kiarostami nel 1973 e dopo una serie di ostilità in patria, diviene conosciuto all'estero e realizza Davandeh, primo film postrivoluzionario uscito dall'Iran. Negli ultimi anni vive a New York dove nel 1993 realizza il suo primo film americano Manhattan by numbers cui fa seguito A, B, C,... Manhattan, secondo capitolo di un'ideale trilogia su Manhattan. Naderi lavora anche come artista realizzando foto che poi affigge abbandonandole sui muri di New York. Manhattan by numbers (1993) è un ritratto di New York; John Wojda cerca un tale per tutta la città ed è senza denaro e disperato. Nel film di la città è di fatto un paesaggio in movimento sulla musica di Gato Barbieri: il retroterra culturale e politico che giustifica la transizione dall'immobilità dotata di movimento interno di William Klein pre-sixties al piano sequenza con immobilità interna e interiore di Naderi post-eighties..

Ira Schneider
Manhattan is an Island - (USA 1974) ©Electronic Arts Intermix, NY
Ira Schneider è tra i pionieri della ricerca video tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70 ed insegna alla Cooper Union School di New York. Fondatore della rivista Radical Softwer, nel 1976 ha curato insieme a Beryl Korot Video Art: an anthology, una delle più importanti raccolte di scritti sulla videoarte dei primi anni di questa disciplina. Manhattan is an island, realizzato con Beryl Corot, è un percorso alla ricerca della conformazione paesaggistica originaria di Manhattan, quella di un'isola circondata dall'acqua, che viene spesso dimenticata nella visione tradizionale e turistica di questa cittadella metropolitana interamente edificata. Concepito come un viaggio in barca e in aereo intorno a Manhattan, il video ricostruisce l'installazione originale del 1974, che era costituita da 23 monitor che trasmettevano immagini dell'isola ripresa da sei o sette punti di vista diversi.

Robert Smithson
Spiral Jetty (USA 1970) © Light Cone
Swamp (USA 1971) © Light Cone
Smithson (Passaic, 1938-Amarillo, 1973) è uno degli artisti maggiori del movimento della Land Art. In realtà la sua ricerca è stata assai più estesa, come documentano i suoi abbondanti testi teorici, toccando questioni relative all'arte contemporanea, al museo, allo spazio, al cinema. Spiral Jetty (1970), una sorta di omaggio all'energia solare, è un film molto più complesso di una documentazione di un intervento di Land Art. Vi sono montate, secondo una logica interna al pensiero dell'artista concernente fra l'altro una riflessione sulla forma e la figura della spirale, immagini provenienti da tutt'altri contesti, ma che si sposano perfettamente con l'opera realizzata sui bordi del lago salato nello Utah. Come dichiara Nancy Holt, moglie di Smithson e corealizzatrice del film, Swamp (1971) '' mette in evidenza i limiti che impone l'occhio della camera alla percezione mentre io e Bob (Smithson) lottavamo attraverso una palude fangosa nel New Jersey. Le indicazioni date verbalmente sono difficili a seguirsi. Le canne si schiacciano contro l'obiettivo, bloccando la vista e formando dei motivi in perenne cambiamento. Ne risulta della confusione'.

Michael Snow
La régione centrale (Canada 1970-71)
© London Film-Maker's Co-op
Michael Snow (Toronto, 1929) pittore e scultore nella scia duchampiana, poi fotografo e cineasta, è uno dei protagonisti assoluti del cinema sperimentale, e in particolare di quell'area che si è definita per le caratteristiche autoanalitiche di riflessione su materia e linguaggio del mezzo 'cinema strutturale'. Il suo percorso, costellato di retrospettive, raccolte di scritti e rassegne, si è costantemente sviluppato, secondo una comune caratteristica dei maggiori partecipanti alla scena della ricerca canadese, fra arte e comunicazione. La régione centrale (1970-71) è uno dei film più importanti e citati della storia del cinema di ricerca, nonché uno dei più rari e difficili a vedersi. Il film è stato girato in un deserto della tundra canadese nel 1970. Per le esigenze del film Snow ha fatto realizzare a Pierre Abeloos una macchina, una sorta di braccio mobile, che potesse ruotare di 360° su tutti gli assi. La parte sonora è composta secondo la stessa partitura che guidava i movimenti dell'apparecchio. Durante il film la mdp oscilla sospesa per aria, muovendosi nello spazio secondo cerchi e spirali, a velocità diverse e disegnando un ipnotico paesaggio audiovisivo. Snow definisce la mdp un 'occhio senza corpo che fluttua nello spazio', inglobando tutto il mondo circostante, trasformandolo in una realtà visivo-dinamica assai suggestiva. Per Gilles Deleuze '... lo spazio confonde le proprie coordinate e perde il primato dell'asse verticale'. One second in Montreal (1965), modello esemplare di film strutturale, riflette un'opzione cruciale di azzeramento in cui il cinema appare di fatto ridotto alla sua manifestazione minima: trenta foto di giardini e parchi innevati di Montreal appaiono sullo schermo con un tempo di proiezione che nella prima parte è gradualmente progressivo e nella seconda diminuisce inquadratura per inquadratura.

Bill Viola
Chott-el-Djerid (a portrait in light and heat) (USA 1979)
Ancient of days (USA 1979-81)
© Electronic Arts Intermix
Bill Viola è uno dei più importanti artisti visivi dell'ultimo ventennio. Attivo nel campo delle arti elettroniche ha realizzato un grande numero di video monocanale e di installazioni aventi fra i soggetti protagonisti il paesaggio affiancato all'uomo in una visione complessiva del mondo fortemente segnata dal pensiero orientale. Già rappresentante del padiglione Usa alla Biennale di Venezia del 1995, una sua retrospettiva ha appena concluso un giro fra Stati Uniti e Europa. I suoi fondamentali scritti sono tradotti in buona parte in Italia (Vedere con la mente e con il cuore, a c. di V. Valentini, Roma, Gangemi, 1995). Ancient of Days (1979-81) è un video sul paesaggio, in cui il confronto fra paesaggio urbano e paesaggio naturale (più o meno mediato nella nostra visione dalle immagini elettroniche) costituisce il nucleo. Bill Viola esplora in questo video le nozioni della trasformazione della durata e quella della simmetria temporale insieme a quelle della sovrapposizione dei tempi. Chott El-Djerid (1979), è il nome di un vasto lago salato nel deserto del Sahara, in Tunisia, dove sono assai frequenti i miraggi. Il calore manipola, piega e distorce i raggi del sole fino a mostrare cose che effettivamente non ci sono. I miraggi desertici sono contrapposti da Viola alle praterie desolate dell'Illinois e dell'inverno canadese. Il soggetto di questo video è il limite dell'immagine, il punto in cui le condizione di visione crollano determinando allucinazioni mentali; analogamente i miraggi dovuti al calore desertico possono considerarsi allucinazioni del paesaggio.

Chris Welsby
Skylight (GBR 1986)
Drift (Canada 1994) © Light Cone
Chris Welsby (Exeter, 1948), artista e cineasta, nella tradizione della scuola strutturale inglese (LeGrice, Gidal), da cui riprende una predilezione per i sistemi e il pensiero strutturato, fa uso di dispositivi assai sofisticati secondo modalità quasi scientifiche. I suoi film sono spesso concepiti per essere proiettati su più schermi. L'amore e l'ossessione per il paesaggio britannico in tutte le sue forme possono in un certo senso situare la ricerca di Welsby nel solco della pittura inglese di paesaggio alla John Constable, fondata su un'attitudine scientifica verso le scienze della natura e pittura (qui 'ripresa') en plein air. Skylight (1986) è una sorta di studio delle nuvole, in cui il paesaggio aereo è arrestato e rimesso in moto come da un otturatore, la cui funzione è distruggere incessantemente e drammaticamente l'illusione cinematografica. Drift (1994), girato a Vancouver, mostra la macchina da presa cercare, con una serie di panoramiche da sinistra a destra, attraverso la nebbia la linea dell'orizzonte, ove appare a volte un battello che passa, cosa che rende evidente le nozioni tradizionali nel genere paesaggio di distanza e scala

Wong Kar Way
Angeli Perduti (Hong Kong, 1995)
© Columbia Tri-star Films Italia
Wong Kar Way, controverso giovane regista di Hong Kong, è l'autore di Hong Kong Express, Happy together, I nostri anni selvaggi e Ceneri del tempo (questi ultimi due mai giunti in Italia). Regista prolifico ed eclettico, virtuoso quasi all'eccesso, amato o detestato da cinefili e appassionati è presto diventato autore di culto. Il paesaggio, componente essenziale nella sua produzione, è sempre presente come sfondo non banale, con una forte valenza drammaturgica, enfatizzato. Angeli perduti (1995) si inserisce a pieno nel genere del ritratto di città, in cui il plot è presenza quasi pretestuale, difficilmente seguito dallo spettatore che viene rapito dalle immagini e dalla loro complessità. Delirio visivo di paesaggio techno urbano Angeli Perduti è un significativo squarcio nel paesaggio della città contemporanea fuori dallo stereotipo nordamericano o tipicamente europeo.