Gate 4 : Networking - Le citta' della gente


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 Dal workshop di Bert Theis, OUT. Foto di Andrea Abati
 
Intervista a Bert Theis

Marco Scotini

Partecipazione: Pensiero incompiuto

Marco Scotini: Ci sono due tuoi lavori che, piu' di altri, potrebbero aiutarci nell'orientare un discorso sulle strategie con cui intervieni nello spazio urbano. Pur nella diversita', i due lavori, hanno molti aspetti in comune che potrebbero forse spiegare il tuo passaggio piu' recente.
'Philosophische Platform', opera realizzata a Münster nel 1997, e 'OUT', concepita per Milano a partire dal 2002. Nel primo caso una pedana in legno, verniciata di bianco che acquista senso come punto di incontro e di sosta temporanea per la gente. Nel secondo caso, invece, una struttura in forma di ufficio che esplica una serie di funzioni, aperta alla collaborazione e che si propone come una sorta di 'servizio' a scala urbana. Una corporate image bianca su cui compaiono i tre caratteri del logo OUT in nero.
Quali sono le differenze e le analogie che a partire dall'una ti hanno portato all'altro?

Bert Theis: Una delle caratteristiche piu' importanti della 'piattaforma filosofica' e' stato il fatto, che era una 'forma piatta' e vuota.
La sua filosofia non e' stata quella di creare un punto di incontro e di sosta per la gente, ma piuttosto di creare uno strumento da usare, un luogo da definire con le proprie iniziative. Questo aspetto aperto di 'non-finito' ha preoccupato molto Kasper Koenig, il curatore di 'Skulptur. Projekte in Münster 1997', che non credeva nella possibilita' dell'autoinziativa degli abitanti, e che voleva spingermi ad organizzare due eventi per settimana sulla piattaforma. Ovviamente, questo non era il senso dell'opera.
Un fatto poco noto e' che anche la costruzione della piattaforma e' stato un lavoro collettivo, nel quale sono state coinvolte circa quindici persone, tra cui un gruppo di studenti di architettura e di design di Münster. Ho lavorato con loro e altre persone per due settimane sul posto.
La figura dell'artista eroico, genio solitario e' una finzione ideologica. In realta' sia la costruzione dell'opera che la costruzione del senso dell'opera sono un lavoro collettivo. La creazione dell'Ufficio per la Trasformazione Urbana /Office for Urban Transformation e' un sviluppo logico di questo pensiero.
L'ufficio permette la collaborazione con altri artisti, non-artisti e associazioni in una struttura piu' flessibile di quello che puo' essere un gruppo fisso e costituito.
La creazione dell'ufficio era diventata necessaria per rinforzare e sviluppare il mio intervento artistico nella situazione sociale complessa nel quartiere Isola di Milano.
Per il momento la partecipazione alle iniziative delle associazioni del quartiere Isola (Cantieri Isola, Comitato I mille...) contro il progetto urbanistico del comune di Milano, che prevede la distruzione di due giardini e di una ex-fabbrica, sono al centro delle attivita' di OUT. La differenza piu' grande tra 'piattaforma filosofica' e 'OUT' consiste nel fatto, che la piattaforma era stata progettata, realizzata e presentata con la partecipazione e la protezione del museo di Münster, (dunque del sistema dell'arte), mentre OUT sta operando in modo molto precario e indipendente nel campo sociale e politico.
Ad esempio: l'ufficio dell' 'Ufficio' e' uno spazio occupato nella ex-fabbrica che dovrebbe essere distrutta.

M.S.: Come funziona 'OUT' rispetto al sistema dell'arte, da un lato, e rispetto alle esigenze della societa', a quelle del quartiere o della citta', dall'altro? Elabora proposte di intervento, produce informazione, attiva delle politiche dal basso?

B. T.: Il nome dell''ufficio' e' anche il suo programma.
La priorita' e' quella di operare in un modo auto-organizzato, democratico, sociale ed ecologico nel campo della trasformazione urbana.
I risultati ricercati non sono dei risultati estetici ma dei risultati efficienti nella comunicazione.
Prendiamo le immagini: le fotografie, i disegni, i montaggi...che OUT produce nascono da una necessita' politica e sociale. E vengono utilizzati in questo contesto.
Il sistema dell'arte e le mostre vengono usati invece come moltiplicatori.
Ma tante attivita' di OUT sono immateriali e si svolgono totalmente al di fuori del mondo dell'arte come tutto il lavoro per mettere in contatto le persone e le associazioni dell'Isola e per cercare di favorire la loro collaborazione.

M.S.: Il tema della 'collaborazione' e' uno di quelli che torna maggiormente all'interno delle tue argomentazioni. Qual'e' la tua idea di 'partecipazione' in un momento che vede nuovi protagonismi sociali e nuove forme di attivismo popolare?

B.T.: Il concetto di 'partecipazione', come viene usato spesso, mi sembra superficiale e banale. Se facciamo la domanda: 'Chi partecipa, in che modo, a che cosa, a quale scopo?', le cose diventano piu' chiare.
La 'partecipazione' sembra un pensiero non pensato fino in fondo.
Non credo tanto che la gente o gli spettatori debbano partecipare all'arte, all'architettura, all'urbanistica.
Piuttosto il contrario: gli artisti, gli architetti, gli urbanisti dovrebbero scendere dal piedistallo e partecipare alle iniziative della gente.

M.S.: Uno dei caratteri fondamentali del tuo lavoro e' sempre stato - attraverso la messa in scena di aree di sosta e relax - quello di rappresentare una pratica anomala, quella della 'laziness', come una sorta di contrometafora del neoliberismo. Adesso che sembri piu' propenso a promuovere forme di attivismo credo che la linea di unione tra tutti i tuoi lavori debba essere rintracciata, piuttosto, in una sorta di pratica di 'resistenza'. C'era uno slogan di Deleuze che diceva 'la resistenza e' creazione'. Cosa ne pensi?

B.T.: Bisognerebbe approfondire: resistenza a che cosa, creazione di che cosa? Per il resto vale: ' It's a hard work to be lazy.'

M.S.: Anche a Monsummano il trasporto dell'Ufficio per le Trasformazioni Urbane ha visto la discesa in piazza Giusti di una moltitudini di progetti e pratiche performative realizzate dai giovani artisti del workshop che tu hai lasciato agire come sopra una piattaforma siglata dal tuo logo. Come e' nato questo progetto?

B.T.: Prima di iniziare a lavorare a Monsummano ho chiesto al sindaco se c'era un problema non risolto nella sua citta'.
'La piazza!' e' stata la sua risposta. Mi ha spiegato che la piazza non funziona piu' come luogo di aggregazione, ma e' diventato un luogo di transito. Il workshop ha provato di capire le cause di questo problema e di elaborare delle proposte, delle soluzioni.

M.S.: I tre termini che hai utilizzato in quella occasione 'capire, sognare, trasformare' per indicare i tre possibili modi di intervento sembravano fare il verso ai tre punti di Lefebvre ne 'La production de l'espace': spazio esperito, percepito, immaginato. C'e' un rapporto?

B.T.: Sarebbe infantile negare che Lefebvre e i situazionisti hanno preparato il terreno sul quale operiamo.

M.S.: Visto che compari anche in 'Public Art', il grande volume antologico curato da Florian Matzner, potresti riassumere la tua idea di arte pubblica in una definizione?

B.T.: Purtroppo non posso soddisfare questa tua richiesta.
Ho delle difficolta a pensare a qualcosa che si chiama 'Public Art'.
Preferisco parlare di arte tout court.
Penso l'arte come la scienza piu' libera di tutte le scienze, proprio perche' puo' sempre redefinire il suo campo di ricerca e di (cre)azione.

INCROCI
articoli pubblicati nel Network UnDo.Net:

Pressrelease
 
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