7/06/2001

 
Angelo Bianco 
 
 
0.1 From art on the Net to Art Net

 
   
Angelo Bianco for Undo.Net Features Project 
 
   
Area interventi audio, Claudio Parrini




artistover, Federico Bucalossi




minimal tv - quinta parete




minimal tv - quinta parete




minimal tv - quinta parete




Network in Progress, Roberta Fiorentini




Network in Progress, Roberta Fiorentini




Network in Progress, Roberta Fiorentini




thinking, Federico Bucalossi




whereisthelimit, Federico Bucalossi



 
L'arte contemporanea non è strumento spericolato della tecnica, è al contrario primitiva, camuffata da ipertecnologia; essa non ha mai la piena percezione di cosa sia realmente la tecnologia e probabilmente non ha necessità di saperlo.
Non si può dire che per quanto riguarda il discorso di ricerca tecnologica, l'arte sia all'avanguardia, all'avanguardia è l'esercito o la ricerca medica.
Nonostante ciò quest'arte contemporanea ha un assoluto bisogno della tecnica per poter dire di appartenere ad un contesto: quello della tecnica e del trend contemporaneo.
All'interno delle diverse manifestazioni e biennali, quest'arte istituzionalizzata dal mercato, che ha per valore quello del mercato e per critica l'elenco dei collezionisti, si descrive attraverso l'uso smodato e abusato della prassi tecnologica, che diventa un dettaglio, ma serve a descrivere una situazione (quella dell'arte contemporanea) che vuole a tutti i costi essere all'avanguardia.
L'arte contemporanea vive la tecnologia come "avanzo", comperata ai discount facendo la fila insieme ai quindicenni in delirio per i giochi da lanciare in rete.
Tutti sanno che una delle più importanti innovazioni nell'arte del Quattrocento è stata l'introduzione della prospettiva, fondamentale conquista artistica dipesa dalla ricerca scientifico-matematica. L'arte rinascimentale è stata così eccezionale e innovativa proprio per lo stretto legame che riuscì a stabilire fra arte e tecnologia.
Oggi possiamo affermare che stiamo assistendo ad una specie di ritorno al XV secolo si è parlato infatti di neo-rinascimento. Con l'arte al computer e l'arte multimediale, gli artisti possono combinare la loro visione artistica con i più recenti progressi della scienza e della tecnologia. Oggi, come nel Quattrocento, le conoscenze nei diversi settori s'intersecano. Infatti, comprendere la situazione artistica attuale risulterebbe difficile se non impossibile senza prendere in considerazione lo straordinario sviluppo tecnologico degli ultimi decenni e le ripercussioni che esso ha avuto nella produzione e nella percezione stessa dell'opera d'arte.
Sappiamo che, grazie alla diffusione di Internet, l'idea di rete sembra divenuta ormai l'occasione privilegiata per porre in gioco questioni teoriche e concetti di: comunità, interazione, contatto a distanza, comunicazione.
Internet diventa l'esempio pratico per proporre in termini estetici non tanto questa o quell'esperienza, bensì l'esperienza in quanto tale dell'uomo del XXI secolo.
Le applicazioni informatiche e il cyberspazio non sono affatto entità nate dal nulla, ma sono il frutto di ricerche collettive mirate, sviluppate all'interno di una visione tecnoscientifica basata su teorie cibernetiche e sul modello connettivo- sistemico della mente umana.
Nell'attuale sistema dell'arte, l'artista obiettivamente non risulta essere l'unico creatore dell'opera d'arte, ma solo uno degli attori nel processo di realizzazione di questo specifico prodotto allo stesso tempo culturale ed economico.
Stiamo forse andando verso esperienze artistiche sempre meno riconducibili alle pratiche espressive convenzionali, non categorizzabili entro le più recenti specializzazioni "tecniche" (video, computer art, installazioni, performance ecc.).
Le vecchie distinzioni rigide, ad esempio tra le cosiddette "arti" e le moderne discipline estetico-progettuali, stanno perdendo sul piano critico gran parte della loro ragion d'essere, soprattutto se viste in relazione al diffondersi di nuove modalità operative basate sull'idea connessionista della rete.
Ecco allora l'idea della rete al centro di una nuova utopia estetica: condividere le premesse culturali di una comunità dell'arte che sia davvero in grado di oltrepassare le mura fortificate dell'antica cittadella umanistica.
E' negli anni sessanta tuttavia che possiamo rintracciare le radici di una grafica al computer che si evolverà fino a raggiungere i livelli di sofisticatezza tecnica ed espressiva attuali. La storia della computer grafica inizia infatti nel 1962 presso la Boing Company (USA). In quanto società di progettazione, l'azienda era interessata a sperimentare un mezzo che "simulasse" un progetto in maniera scientificamente corretta. La prima immagine elaborata da William Fetter non a caso fu quella di due piloti nella cabina di pilotaggio per verificarne l'ingombro e la cosa ancora più curiosa è che quest'immagine finì pochi anni dopo (nel 1968) a Londra in "Cybernetic Serendipity" una delle più importanti mostre curata da Jasia Reichart dedicata alla nuova arte tecnologica.
In Italia già nel 1964 il Gruppo 70 organizzò a Firenze un primo convegno su "Arte e tecnologia". Nella corrente artistica di Fluxus prende avvio l'opera di Nam June Paik, fondatore della sperimentazione artistica sul video, internazionalmente noto sia per le sue performance nelle quali fa ampio uso dell'elettronica, sia per la capacità di trasformare gli strumenti che rendono possibili l'emissione e la ricezione televisiva.
Dal 1965, grazie all'accessibilità della telecamera portatile, cresce il ricorso al video per documentare e assicurare diffusione a forme artistiche come la Performance Art, l'Happening fino alla Body Art e alla Land Art, di cui è celebre testimonianza un caposaldo della storia delle arti elettroniche, il videotape
Cresce l'interesse per il concetto di Network, rete senza centro direzionale, luogo di scambi individuali e policentrici secondo un progetto di condivisione. Sperimentato dalle comunità underground giovanili (con le fanzine, le autoproduzioni musicali), s'incontra col circuito delle arti "ufficiali" quando nella seconda metà degli anni Sessanta un collagista Fluxus, Ray Johnson, dà vita al grande gioco della Mail Art, dove non viene esaltata la qualità del prodotto ma l'aumento continuo di contatti costanti e reciproci quello che Jakobson aveva indicato come momento "fatico" della comunicazione.
Dalla coincidenza tra creativi e attivisti politici radicali fioriscono negli anni Settanta e Ottanta operazioni di sabotaggio dei media tradizionali, e contemporaneamente nascono radio e TV "pirata", attraverso il lavoro delle quali si definisce il concetto di "controinformazione".
Le community TV si diffondono anche in Europa in modo effimero e difficilmente storicizzabile per la labilità della documentazione, attente al radicamento sul territorio di diffusione e al tessuto comunitario. Un atteggiamento simile è riconoscibile ad esempio in alcuni progetti di Alex Bag o nelle partecipazioni-performance a programmi del palinsesto di Canale 5 del duo artistico Arpiani e Pagliarini. Una ricerca sul broadcasting e sul concetto di video-arte continua invece in progetti come il Network in Progress di Roberta Fiorentini, serie di video che simulano le trasmissioni di un palinsesto televisivo, nei video di Federico Bucalossi, nel progetto di Neo-televisione di Marcello Pecchioli o nell' Area Interventi Audio ( http://www.strano.net/parrini/area/area.htm ) di Claudio Parrini che scandaglia il senso futuribile e orizzontale della TV. O il progetto di Fabrice Hybert proposto alla Biennale di Venezia del 97 nel Padiglione francese, un'emittente televisiva via cavo che svolgeva in pubblico il lavoro preparatorio delle trasmissioni.
Ma la sperimentazione sulle potenzialità di broadcasting autogestiti continua anche nell'azione dei movimenti sociali radicali, che sono stati anche i primi ad accorgersi del potenziale delle reti telematiche. Tema questo affrontato dalla ricerca artistica di Tommaso Tozzi ( http://www.strano.net/town/arte/freeart/tozzi/tozzi.htm ) e dal gruppo Strano Network ( http://www.strano.net/ ). Lo dimostrano le emittenti locali, vere e proprie TV di controinformazione da strada, proposte da alcuni centri sociali o quella progettata al CPA Firenze Sud per i lavori del convegno sulla telematica di base Hack It 98, che documentava lo svolgimento delle attività ed era diffusa per il quartiere. Un'esperienza di televisione che poteva essere manipolata realmente dal pubblico, e che era già stata proposta in progetti "borderline" tra l'artistico e il sociale nelle performance che il gruppo Quinta Parete (Federico Bucalossi, Vanni Cilluffo, Francesco Galluzzi, Claudio Parrini, Giacomo Verde) presenta con il nome di Minimal TV ( http://minimaltv.cjb.net )
In questi stessi anni Fabrizio Plessi, trasforma il monitor nell'involucro di una natura "artificiale" inserendolo al pari dell'acqua, del legno e del marmo nelle sue monumentali videoinstallazioni; mentre Doug Aitken, attivo soprattutto sul versante del video, riflette filmando paesaggi urbani e icone metropolitane.
In queste opere l'immagine video sembra acquistare un'inedita "corposità" grazie agli effetti di contaminazione visiva e sonora a cui è sottoposta la realtà ripresa dalla telecamera.
A partire dagli anni Novanta, gli artisti iniziano a confrontarsi con l'immagine generata dal computer e producono ambienti virtuali e interattivi. E il caso di Studio Azzurro, che devono la loro vasta notorietà alla sollecitazione nel pubblico di comportamenti spontanei e istintivi attraverso la partecipazione ludica all'interattività del mezzo. L'ultima sezione vede il lavoro di alcuni "giovani" artisti, come Pipilotti Rist, Mattew Barney, Mariko Mori, che mutuano in maniera creativa e originale dalla sofisticata produzione dei videoclip musicali e dei videogame, i ritmi del montaggio video, l'importanza della componente sonora e la qualità altissima della definizione dell'immagine, assicurandosi un successo internazionale
L'opera d'arte è dunque entrata in una fase in cui la riproducibilità tecnica offerta dalle nuove tecnologie va progressivamente trasformando quella che spesso era una manifestazione circoscritta ad un numero limitato di fruitori in un fenomeno di massa, la cui diffusione sta mutando radicalmente il tradizionale rapporto tra l'artista ed il suo pubblico.
Il timore è quello di assistere ad una svalorizzazione del contenuto dell'opera d'arte, ad una sua trasformazione in prodotto di consumo la cui diffusione massificata rischia più che apportare benefici, di impoverire e mortificare l'arte. E' l'interpretazione ricorrente di sociologi quali Baudrillard, Lyotard, Derrida per i quali la proliferazione di suoni, immagini, segni della nostra epoca finisce per trasformare il reale sempre più in una sorta di riflesso, di "iper-realtà" legata al media che la veicola e incapace di evolversi in forme nuove ed originali. Nell'interpretazione di questa visone post-moderna cambia il rapporto privilegiato tra l'osservatore e l'opera. in quanto tutto si trova a circolare in uno spazio privo di profondità, dove le immagini si susseguono l'un l'altra impedendo la contemplazione. Questa visione è ancora più esasperata se inquadrata nell'ottica del cyberspazio e di quel network globale che è Internet dove la transitorietà, la riproduzione, la riproposizione del già visto, del già consumato sono caratteristiche innegabilmente diffuse e probabilmente destinate in futuro ad una ancor maggiore accentuazione.
Grazie alla rete telematica il lavoro dell'artista può arrivare anche fin dove non sarebbe mai arrivato prima, in una sorta di un museo virtuale con milioni di visitatori potenziali in grado di connettersi in tempo reale a costi estremamente contenuti.
E' l'abbattimento dei vincoli spazio-temporali, la realizzazione di un desiderio d'ubiquità che permette all'artista di collocare l'opera all'interno di una rete potenzialmente infinita di collegamenti e di inserirla, quindi, in un contesto più ampio di rimandi a informazioni, progetti e opere parallele, scambi collaborativi all'interno del cyberspazio.
Questo fenomeno amplia ed agevola enormemente la diffusione dell'arte rendendo potenzialmente possibile per chiunque creare una propria galleria d'oggetti d'arte catturati dalla rete (come recentemente ha sperimentato Mario Schifano per il sito http://www.stet.it/schifano ). L'utente del prodotto multimediale diventa attore, sceglie, risponde e determina egli stesso il volto dell'opera recuperando il ruolo di protagonista nel rapporto con l'oggetto d'arte.
Bisogna poi ricordare che quello multimediale è fondamentalmente un linguaggio a base visiva in cui l'immagine, così com'è per il cinema e la televisione, è prioritaria rispetto al testo ed al contenuto scritto. Questa caratteristica associata all'interattività dell'opera digitale modifica il modo in cui si fruisce della comunicazione artistica.
In questo senso il potenziale comunicativo dell'opera digitale, se interpretato nel rispetto della specificità del mezzo, risulta estremamente efficace ed originale.
La realtà virtuale probabilmente costituisce nell'ambito dei linguaggi multimediali, la forma più evoluta di arte digitale. La possibilità di simulare ambienti indistinguibili dal reale, di manipolare oggetti fittizi, di operare in maniera senso-motoria all'interno di una realtà digitale riporta, al contrario della rappresentazione bidimensionale, il corpo al centro dell'esperienza estetica.
E' innegabile, in effetti, che la sperimentazione tecno-artistica richieda un eclettismo particolare, una formazione transdisciplinare che permette a chi sa usare la straordinaria flessibilità del computer di muoversi entro limiti espressivi particolarmente ampi senza degenerare in un tecnicismo sterile. E' anche giusto sottolineare come il computer abbia generato da tempo un proprio codice estetico originale la cui influenza risulta evidente negli altri media, dalla televisione alla carta stampata, dove si riproducono gli stessi segni, le stesse logiche ipertestuali, modalità di fruizione comuni al cybespazio.
A questo scopo basti ricordare le videocoferenze interattive che sempre più frequentemente possono essere seguite su Internet, le dirette con gli artisti al lavoro nel proprio studio o la possibilità di aprire un colloquio con l'artista tramite posta elettronica chat etc. E' questa un'altra delle caratteristiche più evidenti dell'arte digitale, ovvero la possibilità di intrecciare un tessuto di connessioni praticamente illimitato di scambi e collaborazioni attraverso il mezzo telematico che sta rivoluzionando il modo stesso di concepire l'opera.
Nascono così i network collaborativi all'interno dei quali il lavoro artistico cessa di avere un unico creatore per nascere e crescere grazie all'azione ed al contributo di chiunque voglia aggiungere o modificarne il contenuto. La tecnica dunque, in questa prospettiva non tende ad uno scopo, non apre scenari di salvezza, non svela la verità, la tecnica funziona. Semplicemente.
Sono sempre più numerosi gli artisti che utilizzano la rete in modo creativo. Non più semplicemente l'opera d'arte nata in altri contesti e poi riprodotta in Internet, bensì quella progettata appositamente per il Web sfruttando le sue caratteristiche di coinvolgimento simultaneo di più ambiti percettivi, la possibilità di interazione tra l'opera d'arte ed il suo fruitore, che interviene attivamente attraverso schermo, tastiera e mouse.
La Net Art è l'effetto inevitabile del progressivo adeguamento del linguaggio artistico alle nuove tecnologie, così come era avvenuto negli anni '60 con il video e successivamente con la Computer-Art., con un ulteriore vantaggio: l'immediata fruibilità dell'opera d'arte, eliminando il tramite istituzionale della Galleria o del Museo.
Internet viene così utilizzato come supporto, ma al tempo stesso è fonte di ispirazione dell'opera d'arte: i due artisti tedeschi Joachim Blank e Karl-Heinz Jeron, ad esempio, con Without addresses ( http://sero.org/~sero/data/concept.html ) ironizzano sulla caratteristica propria del Web di confondere l'utente, che rimbalza da un sito all'altro a caso, senza riuscire a seguire un preciso itinerario. Altri, invece, partono dalle proprietà dell'ipertesto, cioè il testo che non viene letto dall'inizio alla fine ma saltando a caso seguendo una serie di collegamenti e il caso di The Dark Pool, dei canadesi Janet Cardiff e George Miller ( http://www.abbeymedia.com/Janweb/ ) L'interattività è il cardine centrale nell'opera di Victoria Vesna Bodies(c)INCorporated: il sito viene via via cotruito dagli stessi utenti ( http://www.arts.ucsb.edu/vesna ). Ad ognuno è richiesto di fabbricarsi il proprio corpo virtuale a proprio piacimento, scegliendone i materiali, il nome, i singoli pezzi, e così entra a far parte di una comunità fatta di tanti proprietari di corpi virtuali.Un progetto a cavallo fra reale funzione ed estetiche artistiche è il Laboratorio Creativo Undo.Net (http://www.undo.net/ ) il cui sito oltre a proporre news utili sul settore artistico, studia numerosi progetti di Net Art (basti ricordare Oreste primo progetto di Net Art alla scorsa Biennale di Venezia) in collaborazione con enti e fondazioni.
Sono solo alcuni esempi di Net Art, ma il fenomeno è in continua espansione. Un'arte quindi che permette al tradizionale pubblico di non essere più semplice spettatore, ma di poter partecipare alla creazione stessa di un processo. Processo innescato dall'autore, ma capace poi di trasformarsi in un'opera aperta, come una banca dati aggiornata in continuazione, questa è l'attuale Net Art, operazione processuale capace di innescare circuiti di scambio e produzione culturale collettiva.
La creazione artistica digitale, frutto della commistione uomo-macchina attraverso l'azione performativa del fruitore, può essere pensata come un'opera collettiva perché non si esaurisce nel prodotto ideato e realizzato dall'artista, ma assume senso e prende vita dall'azione dei fruitori. Essi infatti partecipano al processo creativo interagendo con le icone virtuali del progetto web autodeterminandone il significato o l'uso secondo la propria soggettività, come nel caso del sistema operativo Linux, offerto gratuitamente in Rete e liberamente accessibile, può essere modificato da chiunque accedendo alla sorgente del sistema operativo, e tali cambiamenti, possono essere messi a disposizione di tutti proprio attraverso la Rete, dando vita ad un processo collettivo in corso. Questo accade sia nelle installazioni virtuali sia nelle opere d'arte in Rete, e soprattutto in quest'ultime, che possono considerarsi realisticamente aperte (nelle installazioni interattive il fruitore ha minor libertà poiché è comunque limitato dalle opzioni previste dal programma ideato dall'artista).
Nelle opere d'arte di questo tipo il fruitore agisce all'interno di un "rizoma" e contribuisce a determinarne lo sviluppo. Il concetto di rizoma ideato dai teorici Gilles Deleuze e Félix Guattari sta per un reticolo molteplice d'entità polimorfe, senza inizio né fine ma a diverse entrate, che connette fra loro elementi eterogenei, modificabili, in comunicazione non-gerarchica fra loro.
Dal concetto di rizoma si passa quindi facilmente al concetto di network, che comprende la relazione orizzontale fra diverse entità uomo-macchina in collegamento reticolare fra loro. L'individuo, interfacciandosi con i computer, agisce creativamente sui codici comunicativi dando vita ad un proprio percorso espressivo; in questo modo, ogni utente può lasciare le proprie tracce all'interno degli ipertesti digitali che costituiscono il flusso comunicativo, agendo non più come entità isolata ma come nodo attivo di una rete in continuo work in progress.
Il modello comunicazionale va quindi interpretato come un flusso reticolare a molteplici entrate e a diversi livelli, in cui tutti possono essere contemporaneamente emittenti e riceventi.
L'individuo comunica con il medium attraverso un'interazione, dando spazio sia ai propri impulsi percettivi che cognitivi e nello stesso tempo il medium comunica con l'utente mettendo in scena le proprie potenzialità
Il concetto di opera d'arte come unicum viene quindi smaterializzato nelle pratiche di vita, nelle situazioni auto-organizzate, nelle performance spontanee e improvvisate, nelle relazioni sociali orizzontali, in tutti quegli eventi che pongono in primo piano la componente interattiva. Gli artisti diventano creatori di contesti di scambio, appunto di network, e i fruitori diventano i fulcri attivi di tali reticoli bidirezionali.
Con l'avvento delle Reti e la possibilità di dare vita alle prime BBS (Bulletin Board System) l'idea dell'opera d'arte collettiva, bidirezionale e processuale viene realizzata all'interno dei circuiti telematici,
L'Hacker Art porta all'estremo il concetto di arte aperta: essa si realizza attraverso la libera diffusione, creazione, manipolazione d'informazione, determinando così un fluire orizzontale e incontrollato di dati digitali che si sviluppano dinamicamente attraverso i nodi della rete, determinando la progressiva contaminazione degli elementi coinvolti nel processo artistico.
L'opera d'arte, in base alla possibilità di manipolare e riprodurre immagini all'infinito attraverso il digitale, si fa quindi un processo aperto sempre in corso, lasciato all'improvvisazione spontanea dei partecipanti.
Come negli happening del gruppo Fluxus, attraverso le reti telematiche tutti possono diventare contemporaneamente fruitori e produttori d'informazione e, in questo senso, l'Hacker Art e la Net Art si manifestano come forme di scambio aperto non verticistico fra gli individui. Il significato dell'opera d'arte non va più quindi ricercato solo nella sua manifestazione oggettuale, che ne costituisce l'involucro, ma nelle reti di relazioni, nei processi collettivi, nelle componenti emozionali che hanno contribuito a forgiare la materia di ciò che sta dentro l'involucro e l'involucro stesso. L'artisticità sta quindi nella connessione rizomatica di unità creative, nel processo di costruzione di un contesto relazionale, nell'attività libera e auto-organizzata degli individui,.
Artistico in rete è quindi, ogni sistema aperto che produce un'entità in evoluzione cooperativa, in cui le parti che lo compongono e che ne determinano l'evoluzione ricevono nella loro simbiosi beneficio reciproco. L'opera d'arte diviene un organismo in evoluzione a partire dall'azione spontanea e creativa di diversi organi, ognuno con una particolare funzione: ogni individuo può partecipare al processo evolutivo inserendovi un proprio contributo, dando vita ad un'entità che è qualcosa di più che la somma delle singole parti. Come l'opera di un singolo artista assume significati indipendenti rispetto alla volontà di chi l'ha creata, così un'opera d'arte in Rete va al di là delle singole intenzioni individuali, prendendo forma dall'incontro di diverse collettività. Non va quindi pensata come una sintesi omologante di diversi impulsi creativi, ma come una dialettica degli opposti, come il sincretismo fra diversi elementi che conservano, pur nell'incontro, la loro peculiarità. E' un'arte collettiva ma nello stesso tempo autonoma, paragonabile ai tanti nodi di una Rete che formano un tutto rizomatico ma mantengono ugualmente la loro specificità.
Deve essere comunque chiaro che la smaterializzazione del concetto di opera d'arte attraverso i media digitali non vuole cancellare l'arte stessa, gli artisti, i musei, i critici d'arte, i collezionisti, il pubblico, ma vuole farsi un paradigma aperto in cui tutte queste entità e la loro relazione, come la relazione di queste con gli altri elementi della vita quotidiana, siano da considerarsi parte dell'opera d'arte.

     

 
 

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