30/10/2001

 
Giorgia Brianzoli 
 
 
Interviste a Babak Payami, Youssef Chahine, Andre' Techine'

 
   
58a Mostra Internazionale d'Arte cinematografica di Venezia - Chiaccherando qua e la' (1 
 
   
"Il voto e' segreto" di Babak Payami









"Il voto e' segreto" di Babak Payami




"Il voto e' segreto" di Babak Payami









"Il voto e' segreto" di Babak Payami




"Il voto e' segreto" di Babak Payami




"Loin" di Andre' Techine'




"Loin" di Andre' Techine'




"Loin" di Andre' Techine'




"Loin" di Andre' Techine'




Manifesto del film "Silence... on tourne!" di Youssef Chahine




"Silence... on tourne!" di Youssef Chahine




"Silence... on tourne!" di Youssef Chahine



 
BABAK PAYAMI

Il realismo, segno distintivo di molto cinema iraniano, non appartiene a Il voto è segreto di Babak Payami. Un film a più livelli di significato, dai toni a volte comici, a volte allegorici e assurdi, forse un po' complicato da capire per chi non appartiene a quel mondo tanto complesso e variegato. Ma se lo spettatore decide di passare il ponte della sequenza iniziale, allora significa che sta al gioco, accetta il tempo e la cadenza del film, e attraverso la sua comicità è condotto insieme ai protagonisti a conoscere i diversi linguaggi che contiene: un militare che deve seguire dall'alba al tramonto una giovane donna sbarcata sull'isola con il compito di far votare i suoi abitanti, sparsi qua e là. Attraverso questo loro pellegrinare, Payami dipinge alcuni tratti della multietinca società iraniana, affrontando il difficile rapporto tra arretratezza e modernità, democrazia e potere tradizionale.

Giorgia Brianzoli: Come definirebbe questo film?
Babak Payami: Una commedia dell'assurdo in cui si confrontano personaggi estremamente reali, con cui ha voluto descrivere un aspetto della realtà contemporanea: le elezioni. Si tratta di una rappresentazione surreale e satirica di un tema sociopolitico, non del sistema elettorale di oggi in Iran, né di nessun altro paese, né dell'Iran stesso.
Certo il mio è il primo tentativo di affrontare in maniera esplicita e diretta in un film la questione elettorale, e quindi ho preferito scegliere la commedia per dare delicatezza e leggerezza a tale soggetto. Nel mio paese la questione elettorale è molto scottante e quindi la dimensione comica mi ha permesso di esprimermi con maggior libertà. Utilizzando lo stesso sistema ho potuto parlare anche di democrazia, di riforme, di ideali e di pragmatismo...

GB: Ma come viene detto a un certo punto nel film "passo dopo passo, non si può realizzare tutto subito"?
BP: In effetti le possibili soluzioni sono due: tutto subito o poco a poco. Il film non intende ne giudicare le due posizioni, ne trarre delle conclusioni. Vuole solo porsi e porre al pubblico questa domanda. Anche se personalmente sono convinto che la dimensione graduale e riformista sia quella spontanea e naturale per il mio popolo. In questo modo sarà in grado di accettare il progresso e farlo proprio, mantenendo vive però tutte le diversità culturali, religiose, sociali, linguistiche di cui parlo nel film, facendole però integrare tra loro.
Attraverso Il voto è segreto volevo anche far riflettere la gente sul fatto che spesso quando si parla di portare progresso e democrazia in un luogo, è necessario conoscere e toccare con mano la situazione in cui ci si va ad immettere, per capirla meglio e sapere come agire: bisogna essere disposti a conoscere gli altri, a imparare da loro, dalla loro cultura e tradizione, non insegnare solamente. L'idea di democrazia in sé non esiste, se non applicata alla realtà.



ANDRE' TECHINE'

André Téchiné, ci parla del suo ultimo film, presentato in concorso a Venezia 58. Loin, adattato dal romanzo "Le Citron" di Mrabet, è interamente ambientato a Tangeri, racconta tre giorni di vita di Serge, Sarah, Said. Tre giorni fatti di opportunità perse, le grandi decisioni, di dure prove, esami e messa a nudo dei desideri di ciascuno. Serge è un camionista, fa import-export di abiti e stoffe tra Marocco e Francia e ha una relazione travagliata con Sarah. La ragazza gestisce una pensione con l'aiuto di Said.

GB: Partiamo dal titolo, come mai questa scelta?
AT: La scelta di questo titolo, Loin (Lontano), è dovuta ai più livelli di significato che contiene. Per prima cosa volevo un titolo molto corto che in qualche modo potesse evocare l'idea di viaggio. Secondariamente mi interessava far capire che avrei affrontato il viaggio sia dal punto di vista interiore sia in senso esteriore: i personaggi principali che nel tempo dell'azione (tre giorni) si spingono all'estremo di loro stessi con un forte sviluppo/viaggio interiore; e poi c'è il viaggio vero e proprio: Serge fa il camionista di professione e la città in cui vive, Tangeri, è un luogo di passaggio tra Europa, Africa e Asia.

GB: Parliamo un po' di Tangeri...
AT: Come ho appena detto, la città è uno snodo fondamentale, che collega tre continenti; per alcuni è un ponte, per altri una barriera...
E' una città che mi affascina da tempo, e mi sembrava ideale per un mio film perché mi fa sognare. E così come tutti i sognatori ho voluto verificare e toccare con mano. Ho scritto lì la sceneggiatura del film, cercando di raccontare la città di oggi, ma non dimenticando quella di un tempo: città decadente e letteraria, per questo nel film c'è la figura di James. Oggi a Tangeri arrivano tutti gli africani che vogliono andare in Europa, e nella città si parlano 4 lingue contemporaneamente: inglese, francese, marocchino e spagnolo. Ho voluto mostrare quindi il porto, il cantiere in cui gli africani attendono di partire, e i vicoli della Medina, e fare anche un lavoro sonoro rendendo la mescolanza linguistica come una specie di musica della città che percorre il film e diviene colonna sonora.

GB: L'intero film è una riflessione sul concetto di identità e di perdita di questa...
AT: Si tratta di una questione quotidiana e concreta, non di un puro filosofeggiamento. I protagonisti del film si pongono continuamente queste domande: Cosa devo fare con me stesso? Posso muovermi liberamente o no?
Questo è lo snodo del film.
In questo modo tutti i personaggi sono in divenire, non cristallizzati. C'è una continua trasformazione, cambiamento, oscillazione... Prendiamo Serge: potrebbe sembrare una persona oscura e tormentata, il lavoro non lo convince, non sente di appartenere alla comunità dei camionisti, non ha una campagna, ma sa anche essere luminoso e sorridente. Diciamo che è diviso tra luce e oscurità in modo non uniforme. E poi inaspettatamente fa questo gesto eroico... E' un uomo comune che si umilia per riconciliarsi con il suo mondo.
Ma l'intero film si muove sempre tra due poli: import ed export, passato e presente, morte e vita. C'è un personaggio che sta consumando un lutto e uno che attende la nascita del proprio figlio, ma in ogni caso non è un film pervaso dal lutto e dal senso di morte, ma un film in fieri come d'altronde in divenire lo sono tutti i personaggi. C'è la Tangeri di ieri e di oggi.

GB: E per quanto riguarda la componente politica del film?
AT: La mia intenzione era di mostrare, non dimostrare. Il film sfocia su una questione politica, un problema reale: la libera circolazione delle merci e delle persone. Come non negarlo quindi? Si pone in modo carnale e realista attraverso i personaggi e i loro cambiamenti...

GB: ... affrontando la violenza e la droga in maniera non esibita...
AT: La violenza pervade il film, ma ho voluto che lo facesse in modo latente e sotterraneo, per evitare la spettacolarizzazione. La violenza è presente e spero che comunque emerga, sto parlando per esempio del fatto che Said non ha nessuno stato sociale ne possibilità di movimento. Questa è violenza!



YOUSSEF CHAHINE

Youssef Chahine sbarca al lido di Venezia per presentare il suo ultimo film, Silence... on tourne!, ma soprattutto per parlare del suo paese, l'Egitto.
Sempre arzillo e pungente, questo piccolo grande uomo di 75 anni ha un bisogno irresistibile bisogno e un'urgenza irrefrenabile di dire, raccontare, denunciare.
Lo fa con ironia e riso nel film, con forza e determinazione durante la conferenza stampa.

GB: Anche in questo tuo ultimo film, c'è una straordinaria mescolanza di generi cinematografici.
YC: Silence... on tourne! è una commediadrammaticamusicale. Non vedo perché limitarsi nella definizione. Spesso le distinzioni non sono mai così nette quando si parla della vita. Lo sono solo rispetto alla politica, quella egiziana intendo. Ma questo è un altro capitolo. Loro sono dei banditi, dei farabutti e basta; si meritano ogni male.
Nei miei film invece voglio essere ironico, ridere ma senza fare male all'altro. E poi se voglio far vedere una motoretta che vola lo faccio e basta, senza riserve. Me ne frego dei generi, del realismo... Il pubblico è pazzo almeno quanto me. Sono i critici che vorrebbero spiegare sempre tutto e poi in realtà quando chiedi loro cosa hanno visto non sanno rispondere.

GB: Da dove nasce l'idea del film?
YC: Dall'esperienza della mia vita, da tutti i film che ho visto, dal teatro, dall'opera e dai libri, ma soprattutto dalla situazione politica e sociale dell'Egitto del nuovo millennio. Oggi penso che non si possa fare un film così per caso, ma perché c'è una forte necessità, mia e della gente in generale.
Quello che sta succedendo nel mondo è incredibile e non si può tacere! Si parla tanto di tolleranza, di amicizia, di fratellanza, ma si tratta di parole che non si traducono mai in realtà. La situazione è veramente tragica e io avevo bisogno di ridere di nuovo, di innamorarmi ancora, e potevo farlo sono con il cinema... Sono una persona multifrenetica e felice, vorrei che questo aspetto del mio carattere passi alle gente guardando il mio film. Dovete sapere che gli egiziani hanno un grande merito: hanno inventato il riso, non le piramidi. Sono ilari e sanno prendere in giro tutti, soprattutto i politici. Più sono disperati e miseri, più ridono e sorridono. Per le strade vedi solo gente allegra. E' l'unico modo per sopravvivere, altrimenti dovremmo spararci un colpo e toglierci la vita. Ma dove li seppellisci 64 milioni di egiziani! Sarebbe improponibile!
Ma in ogni caso ritengo giusto che voi dobbiate sapere cosa sta succedendo in Egitto oggi: il potere è completamente corrotto e totalmente menzognero, e in un tale contesto non è semplice vivere, si ha sempre paura. Non c'è democrazia ma autocrazia totale con leggi marziali. Gli Stati uniti fanno i poliziotti del mondo e nel nostro paese la globalizzazione ha portato giovamento solo ai ricchi, ha permesso loro di rubare ancora di più ai poveri. Fanno a gara a chi ruba di più e più in fretta. Tutto va male, dal punto di vista politico, economico, sociale ed emotivo. Chi detiene il potere lo esercita con arroganza e tracotanza assoluta, ma sono tutti degli imbecilli, a partire dal primo ministro. E il Papa e i presidenti vari non fanno certo una bella figura accogliendoli.
Certo, potrei raccontare tutto ciò in una tragedia, parlare dell'isteria del denaro, della gente che si vende, che per denaro e potere farebbe qualsiasi cosa. Potrei denunciare tutto ciò in modo serio. Ma nei miei film preferisco la leggerezza e il riso. Lo faccio per sopravvivere e per permettere di sopravvivere alla mia gente.
Io sono una persona che non ha frontiere. Sono egiziano, sono nato ad Alessandria, e sono molto impregnato della mia città. Alessandria ha una popolazione di 18 nazionalità diverse e 24 religioni, una città cosmopolita con i ragazzini che giocano in strada, una città in cui tutti si rispettano, si amano, si vogliono bene. Se vediamo una bella ragazza non ci chiediamo come e dove preghi, ma se vuole fare l'amore!

Comunque le cose vanno dette, si devono sapere e quindi anch'io come i potenti, pretendo di alzare la voce. Non è facile mettermi in prigione ed è anche un po' troppo tardi.

a cura di Giorgia Brianzoli

     

 
 

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