Attraversare le contingenze allargando le prospettive

27/06/2008
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Abbasso Prospero e Robinson Crusoe

Siamo partiti con un'indagine su due nuove associazioni a Roma: spazio 26cc e 1:1projects, poi a Torino con Transport+, a Milano dove Viafarini e Careof hanno dato vita al DOCVA, proseguendo per Exposito a Napoli e Nosadella.due a Bologna, fino a Londra con FormContent e a Berlino con Uqbar. Oggi la nostra indagine sui nuovi spazi non profit in Italia o creati da giovani curatori italiani approda in Sicilia: in un'isola nell'isola. Progetto Isole e' un laboratorio d'arte contemporanea che non ama i Robinson Crusoe o i tanti Prospero con cui dappertutto si ha a che fare... si occupa di progettare "dal basso" e di "porsi in ascolto", come racconta Barbara D'Ambrosio.



Sara Basta e Mariana Ferratto, still dal video “Amure amure e broru i ciciri”, 2006


Ilaria Loquenzi, installazione, 2005, lungomare Isola delle Femmine


Isola delle Femmine


Laboratorio con la Scuola Media del Comune di Isola delle Femmine, 2005


Laboratorio con la Scuola Media del Comune di Isola delle Femmine, 2005


Laboratorio con la Scuola Media del Comune di Isola delle Femmine, 2005


Container, installazione 2005, porto di Isola delle Femmine


Container, installazione 2005, porto di Isola delle Femmine


Container + Franco Esse, Azione con i ragazzi del laboratorio, 2005


Container, realizzazione installazione 2005, porto di Isola delle Femmine


Biblioteca Comunale di Isola delle Femmine, incontro sul management artistico in Sicilia, 26 maggio 2005


Fabrizio Ajello, installazione 2005, porto di Isola delle Femmine


 

Intervista a Barbara D'Ambrosio

curatrice con Giovanna Costanza Meli del Progetto Isole

 

A cura di Michela Gulia

 

Comincerei dagli ultimi due incontri ai quali ha preso parte Progetto Isole: quello che si è tenuto in Triennale a Milano in occasione di InContemporanea, e quello per la presentazione del progetto La forza dei legami deboli a Castel San Pietro Terme, a cura di Gaia Cianfanelli e Caterina Iaquinta.

In entrambe le occasioni eravate presenti insieme ad altre associazioni, gruppi e collettivi italiani, alcuni dei quali, come voi, stanno investendo (e scommettendo) sulla produttività e la crescita delle cosiddette ‘periferie dell’arte’. Che cosa è venuto fuori da questi incontri e che tipo di rapporti avete con queste altre realtà?

 

Per quanto riguarda il forum che si è svolto a Milano, coordinato da Maria Rosa Sossai, una delle cose più interessanti è stata l’opportunità di conoscere ed entrare in contatto con associazioni culturali e progetti artistici di diverse città italiane perché dal loro confronto è emersa un’interessante diversità.

Non è stata solo un occasione per “raccontarsi”, ma, soprattutto, per discutere unitamente dei problemi comuni alla realtà del non profit in Italia, ognuno declinando questioni specifiche legate al proprio contesto culturale, sociale ed economico. Ne è emersa chiaramente la volontà di affrontare tali argomenti condivisi per costruire una rete di spazi non profit per l’arte contemporanea che ci consenta di acquisire una forza e una potenzialità maggiori sia per “chiedere” che per “progettare”, affermandoci come una realtà specifica rispetto ai soggetti più istituzionali del sistema dell’arte, come musei e gallerie.

Ci interessa molto, infatti, intraprendere un discorso insieme ad una rete nazionale per lavorare su uno o piu’ temi, magari attraverso degli incontri organizzati da ciascuno di noi nel corso dell’anno, durante i quali potrebbero emergere spunti per progetti da realizzare congiuntamente, creando così un percorso, un programma culturale comune a lungo termine, seppure sviluppato a partire da bisogni e punti di vista diversi.

L’unione non solo può fare la forza ma ci permetterebbe di sviluppare una creatività ‘comune’, mettendo in connessione le forze di ciascuno. Inoltre, per me e Costanza è stato molto positivo notare, come, durante la conferenza in Triennale, la “diversità” di progetto Isole non sia stata trattata con indifferenza ma, al contrario, molto apprezzata proprio per via delle specificità che la costituiscono, a partire dall’esperienza in un territorio vergine rispetto all’arte contemporanea, fino alle componenti socio-politiche della nostra azione in una realtà del sud.

 

Mi piacerebbe che tu mi dicessi qualcosa di più sulle diversità che sono emerse. Che cosa intendi esattamente?

 

Noi abbiamo lavorato fino ad ora in Sicilia, a Palermo, per di più nella provincia della città, ad Isola delle Femmine, e la nostra situazione è completamente diversa da quella di chi si trova a Roma o Napoli o Bologna. Per noi si trattava di inserirsi in un contesto economico e politico molto difficile. Quello che noi volevamo fare era stabilire un dialogo che fosse il più autentico possibile con il territorio e la comunità che lo vive, senza produrre un progetto autoreferenziale.

Prendiamo ad esempio le sponsorizzazioni private, anche quelle micro: ci siamo scontrate con una mentalità legata alla realtà del “pizzo” o dell’interesse familiare, e quindi con la diffidenza delle persone alle quali ci siamo rivolte per chiedere collaborazione e sostegno al progetto (esercizi commerciali, piccole aziende locali, etc). Instaurare un dialogo con queste realtà che costituiscono la microeconomia del luogo, portarli ad investire come potevano su un progetto per l’arte e la cultura legato al loro territorio, ha significato per noi aprire una possibilità diversa nell’ordinario di quella gente. Crediamo sia uno spunto importante per chi sceglie una via di integrazione con il territorio e una reale progettazione “dal basso”.

Un chiaro esempio ne è il progetto curatoriale per la seconda edizione (2006) di Progetto Isole ad Isola delle Femmine. Per IsolaVideo, sei giovani artisti provenienti da Palermo, Napoli, Roma, sono stati chiamati a produrre dei video assumendo il ruolo di story-takers, entrando nel tessuto relazionale del territorio per porsi in ascolto delle storie che la gente ha voluto raccontare. Tale pratica ha dato vita ad un’interpretazione del contesto - osservato e vissuto - che ha coinvolto il paesaggio, la memoria collettiva, i desideri, le strutture sociali, passando per gli elementi che hanno colpito la sensibilità degli artisti.

Attraverso una fase realizzativa laboratoriale, infatti, si è cercato pazientemente di “tessere” in relazione il lavoro e la pratica di artisti e curatori, con la vita, il lavoro, le storie degli abitanti di Isola delle Femmine, sia per sperimentare nuove modalità creative e di lavoro artistico, sia per consolidare un legame culturale ed affettivo con il luogo e le persone che lo abitano. La scelta del video, dunque, era legata sia ad un discorso economico, dato il basso budget che avevamo a disposizione, sia alla possibilità di intrattenere un rapporto piu’ diretto con la gente.

Una questione interessante si è posta poi per decidere come presentare alla comunità i video realizzati. Come restituire questo racconto agli abitanti? Fare una rassegna e proiettarli in loop all’interno di “una stanza buia” non aveva molto senso, così come presentarli nella piazza del paese. Ci sembravano modalità lontane dalla quotidianità della gente.

Ci siamo chieste allora quale fosse il luogo per antonomasia in cui le persone si incontrano e si ritrovano in un piccolo paese del Sud Italia, ed abbiamo pensato ai bar. Molti di questi sono da tempo ormai attrezzati con grandi schermi al plasma per le partite di calcio, dunque perché non sfruttare una tale risorsa offerta dal territorio? Abbiamo organizzato così un circuito video costituito da una serie di locali pubblici che hanno accettato di aderire all’iniziativa, in cui per tre serate erano presentati i video realizzati dagli artisti. I bar e i luoghi principali di incontro e di socializzazione degli abitanti del paese sono state pertanto le location del progetto rappresentando un nuovo contesto di scambio e confronto tra la popolazione, gli artisti e il pubblico. I diversi lavori così inseriti negli spazi in cui si svolge quotidianamente la vita della comunità, hanno deviato e interrotto concretamente per tre serate il flusso ordinario e abituale degli eventi e delle aspettative della gente.

In questo modo abbiamo tentato di attivare una dinamica che facesse leva sulla microeconomia locale, coinvolgendo dal basso non solo le persone che hanno partecipato alla realizzazione dei video insieme agli artisti, ma un’intera comunità.

Seguendo il filo rosso della rete che i pescatori ci avevano fornito, nel 2005, per le prime installazioni ambientali dentro il paese, eravamo giunti, in modo nuovo e più articolato, all’interno dello “spazio”, non solo fisico, ma anche sociale e culturale. Per l’edizione precedente, ad esempio, il gruppo container di Napoli aveva lavorato sui frangiflutti del porto, intervenendo su oggetti che rientrano in un paesaggio ordinario e dato per scontato dagli abitanti. Questi cubi di cemento grigio sono stati dipinti con i colori primari, alla Mondrian, uscendo dall’indistinto di ciò che si guarda ma non si vede.

Intrecciando i loro lavori al luogo, alla biblioteca come al porto, gli artisti hanno assunto il ruolo di motore di un cambiamento di prospettiva possibile per gli abitanti del paese nella lettura del proprio contesto di vita.

 

Uno degli episodi che mi sembra più interessante di Progetto Isole 2005 è stata la giornata di dibattito sul management artistico in Sicilia…

 

Quest’incontro è stato certamente uno dei momenti più interessanti e sarebbe bello poterlo riproporre in scala maggiore, coinvolgendo le altre associazioni non profit con cui stiamo costruendo un dialogo dopo il forum di Milano.

Progetto Isole ha riunito in una biblioteca di un piccolo centro della Sicilia, al di fuori di qualsiasi circuito istituzionale, dei soggetti che non rappresentavano soltanto l’artista e il curatore, ma anche la “controparte”: imprenditori, sponsor, amministratori, critici: tra gli altri, la Direzione parabancario del Banco di Sicilia, un manager del turismo e supervisor di manifestazioni culturali a Palermo, Daniela Bigi in quanto professore all’Accademia di Belle Arti di Palermo e naturalmente l’amministrazione del Comune di Isola delle Femmine.

Si è creato un dibattito complesso che ha offerto la possibilità di dialogare attraverso diversi punti di vista sul problema delle risorse che vengono investite per la cultura, in special modo in Sicilia, dove per chi è “giovane” come noi, e “piccolo”, perché sta iniziando, è particolarmente difficile lavorare e, a volte, persino sopravvivere.

Come si può costruire una cultura dell’investimento sui giovani, sulle piccole associazioni se i grandi investitori promuovono e rilanciano solo su attività già consolidate e redditizie, puntando ai grandi eventi, ai grandi numeri o comunque su strutture con partnership già consolidate? E' impossibile per una realtà culturale nuova garantire risultati e dunque ottenere finanziamenti. Così è stato messo ancora una volta in evidenza quel corto circuito che già conosciamo, ma questa volta con la possibilità di dialogare direttamente con i soggetti interessati. Daniela Bigi, ad esempio, ha sottolineato come fino a quando da parte di amministrazioni, imprese e banche non emergerà un concetto di impegno etico e civile rispetto al proprio piano di investimenti - cioè “io investo sull’arte e la cultura perché ne comprendo il valore come motore di valorizzazione e riabilitazione del territorio, veicolando un messaggio di crescita e sviluppo” - non ci sono grandi prospettive future per gli spazi non profit.

 

In che modo secondo voi è possibile sollecitare la partecipazione del pubblico in un contesto come quello in cui lavorate, caratterizzato da una quasi totale assenza dell’arte contemporanea?

 

Noi crediamo che in alcune realtà, come quelle dei piccoli centri urbani, periferici o auto-gestiti verso cui abbiamo scelto di indirizzarci, non si può pensare di andare “in missione” e dire alle persone “ora vi spiego che cos’è l’arte contemporanea e quanto è problematica” proponendo dei progetti che spesso rimangono incomprensibili e distanti dalla comunità. Si tratta, invece, di porsi in ascolto e avviare un dialogo, saper pensare e proporre progetti che rispondano a dei bisogni e che parlino un linguaggio comprensibile a chi li finanzia e deve sostenerli. Progetti che, come nel caso di Isola delle Femmine, possano costituire un’occasione di miglioramento e valorizzazione del territorio su vari livelli, compreso quello economico, attivando risorse locali.

Ma, soprattutto, la cosa importante è che questi progetti producano delle esperienze, attivando la partecipazione delle persone sensibilizzandole all’arte contemporanea. Insomma, si tratta di essere disposti a farsi carico della specificità del luogo, e più che parlare dell’arte alla comunità, parlare della comunità dando voce al suo immaginario attraverso l’arte. Ciò che rimane alla comunità stessa è, alla fine, non tanto “l’opera” o “il monumento”, ma la memoria di un’esperienza vissuta.

Ed infatti per Progetto Isole i mesi di laboratorio, che hanno preceduto le mostre in entrambe le edizioni, hanno avuto lo scopo di stabilire un contatto umano e di raccogliere desideri e bisogni di bambini e adulti cui è stato domandato di immaginare un paese migliore con: il dibattito organizzato sul management artistico e culturale in Sicilia; il laboratorio con la scuola media locale; gli incontri con gli studenti dell’Accademia di Palermo; il workshop con l’artista Cesare Pietroiusti. Attraverso testimonianze, racconti, passeggiate, disegni, è emerso il bisogno di immaginarsi diversamente e inventare nuovi percorsi, comprendere e ripensare i propri spazi di vita mediante la centralità della memoria, la ricostruzione della storia del luogo, le sue leggende e tradizioni.

In questo senso è anche certamente vero che la didattica, la formazione, assumono un ruolo fondamentale e questo alle istituzioni museali dovrebbe essere chiaro proprio perché operano ad un certo livello, ma non possono arrivare a tutto/i e soprattutto non possono svincolarsi da pastoie che sono principalmente politico-economiche.

 

Se finora abbiamo parlato del pubblico, c’è anche un’altra fetta di protagonisti costituita da artisti e curatori, che in genere non si rivolgono con grande piacere al Sud, dal momento che i palcoscenici dell’arte contemporanea sono in altri luoghi. Voi avete incontrato delle difficoltà? Quale è stata la vostra esperienza personale?

 

Noi siamo due giovani curatrici che hanno voluto formulare un’ipotesi di intervento dell’arte nello spazio pubblico coinvolgendo nel progetto giovani artisti, affinché questo potesse costituire un’occasione di crescita comune. Chiamare una “star” del mondo dell’arte per intraprendere un mega intervento di “arte pubblica” in un luogo come Isola delle Femmine, non sarebbe stato utile né a noi, né all’artista e neanche al paese, se non per un po’ di pubblicità iniziale.

Abbiamo scelto, così, di costituire un gruppo di lavoro che avviasse un percorso in base alle ipotesi formulate fin dall’inizio, per ricercare e verificare le modalità attraverso cui l’arte contemporanea si relaziona con la società, con il pubblico, con lo spazio umano e le sue relazioni invitando gli artisti, come tutti gli attori via via coinvolti, a valutare costantemente i motivi e il contesto dei propri interventi.

 

E in che modo avete selezionato gli artisti?

 

Con alcuni c’era un rapporto già avviato in seguito a precedenti esperienze romane, per cui sapevamo bene a chi stavamo chiedendo di partecipare e che molto probabilmente sarebbero stati interessati. Ad esempio il gruppo iniziale si è costituito attorno alla figura dell’artista palermitano Fabrizio Ajello che ha rappresentato un elemento importante di mediazione culturale con il territorio, mentre nella seconda edizione c’erano, tra gli altri, Ilaria Loquenzi, Sara Basta e Marianna Ferratto, artiste con le quali avevo già avuto modo di confrontarmi e lavorare a Roma.

Ci si rivolge dove si pensa di trovare una possibilità d’intesa, perché anche tra artista e curatore è l'intesa che fa scattare la qualità di un progetto. E infatti la cosa bella è che si è costituito un “gruppo di lavoro”, che è una cosa diversa dal mero rapporto artista – curatore. Gli spazi non profit stanno un po’ scardinando questa dinamica del curatore che chiama gli artisti, li sceglie e fa la mostra. Si tratta piuttosto di collaborare avendo un desiderio comune e condividendo una direzione.

 

Intendete sviluppare anche uno sguardo sulla situazione internazionale, attivando dei canali di collaborazione con realtà simili alla vostra?

 

Certo, ci interessa molto, in effetti la nostra idea è quella di creare un network di realtà locali più che periferiche. Bisognerebbe ricordare che il concetto di periferia è relativo e determinato da quello che di volta in volta si considera “il centro”. La periferia sta nella grande città, quindi io posso lavorare a Roma, a Milano, a Napoli o in qualsiasi altra metropoli europea. Ma a noi interessa anche orientarci sui piccoli contesti specifici da mettere in relazione, tutte quelle “isole” sociali, culturali, linguistiche, religiose che possono creare un racconto complesso.

Adesso stiamo attivando dei rapporti con altri piccoli centri e l’idea sarebbe quella di creare un collegamento tra questi, in grado anche di produrre uno scambio di informazioni: magari una realtà che noi abbiamo riscontrato ad Isola delle Femmine potrebbe ritrovarsi, con le ovvie differenze, anche in Svezia.

Una questione che, ad esempio, trova un forte riscontro oggi in Europa è l’interesse per le isole linguistiche. Non a caso stiamo puntando su Piana degli Albanesi in Sicilia, dove una minoranza linguistica parla l’arbëreshë, un incrocio tra l’albanese del ‘400 ed il dialetto siciliano, una lingua che sta scomparendo. Il mondo arbëreshë costituisce un’enclave di cultura Orientale in pieno Occidente, e un modello di grande integrazione ante-litteram. In particolare, il paese di Piana degli Albanesi diventa un interessante esempio di “Isola nell’Isola”, un luogo in cui una minoranza etnica ha conservato e tramandato attraverso i secoli, e perlopiù oralmente, il proprio patrimonio linguistico, culturale, religioso.

Ma ci sono tante altre realtà analoghe anche nel Nord Italia, o in Calabria, Puglia, Basilicata per la cui salvaguardia si è mobilitata anche la Comunità Europea, in quanto queste lingue sono considerate testimonianza della storia di quei posti, di intrecci culturali e di spostamenti. Si tratta quindi di lavorare sull’identità dei luoghi e sul loro statuto di periferia, mantenendo sempre un doppio livello nel discorso: il particolare per leggere l’insieme.

 

Puoi dirmi qualcosa di più sulla vostra partecipazione a N.Est, un progetto ospitato nella project room del MADRE di Napoli…

 

Quest’anno abbiamo avuto l’occasione di relazionarci per la prima volta con un contesto urbano più complesso come la periferia orientale di Napoli. A febbraio siamo infatti stati invitati a partecipare ai laboratori di N.Est 2.0 The making of the city/Disegna la Tua città, la mostra curata da Gigiotto Del Vecchio e Stefania Palumbo nella project room del MADRE. N.Est è un database online e un progetto di mappatura e documentazione delle trasformazioni urbane attraverso l’arte, la creatività ed i nuovi media.

Progetto Isole ha portato la propria esperienza all’interno della parte dedicata ai Work/progetta, nella sezione Altri Est - un laboratorio per artisti che lavorano su altre “periferie”. Il nostro intento è stato quello di comunicare un punto di vista che proviene dall’esperienza di luoghi differenti, ma anche da un approccio al territorio fondato su caratteristiche comuni a quelle del progetto N.EST. Non l’est di una grande città, ma un contesto locale “periferico” rispetto al “centro” culturale ed economico di Palermo. A Napoli, nella vasta area orientale, costituita da un paesaggio così complesso e diversificato, abbiamo riscontrato su scala macroscopica simili dinamiche sociali e culturali, che rappresentano una condizione di marginalità e attivano processi di esclusione. È stato così immediato per noi vedere Napoli est come un’ “isola”, “città nella città”, in cui gli artisti forse possono avere il ruolo di motore di un cambiamento possibile.

 

E per finire cosa vuoi aggiungere?

 

Ci tengo a sottolineare ancora che per ogni contesto di azione, così come è emerso con forza dall’esperienza di Isola delle Femmine, la precondizione necessaria da assumere è quella di porsi in ascolto, questo implica anche responsabilità.

Si vedono molti progetti calati dall’alto, dal nulla, in contesti molto complicati, come la stessa Palermo, e spesso i progetti d’arte contemporanea hanno un aspetto ‘esotico’. Ci sono delle situazioni che nascono veramente da presupposti autoreferenziali e non c’è alcun tipo di microprogettualità. L’ascolto implica invece capire dove si sta intervenendo per realizzare un progetto mirato al contesto in cui si agisce.

Occorre molto tempo per entrare in dialogo profondo con il territorio e con le persone: in questo senso la figura del mediatore culturale è importantissima. Il tramite tra le istituzioni, gli artisti, la gente del posto, i curatori, deve essere locale altrimenti il dialogo difficilmente può essere attivato. C’è un modo di porre domande che non è solo linguistico ma appartiene anche a certe strutture mentali, è un processo molto più complesso.

 


Progetto Isole
Laboratorio d’arte contemporanea e cultura del territorio
Via dei Picciotti 15, (Gibilrossa) Misilmeri, Palermo
Tel. 091 8721649 / 339 7132255
www.progettoisole.org
info@progettoisole.org

 

Quest'intervista in formato PDF da stampare

 

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Michela Gulia è laureata all'Università di Roma "La Sapienza" in semiologia dell'arte contemporanea. Ha lavorato presso la Fondazione Baruchello (Roma), dove ha partecipato a diversi seminari di ricerca , tra cui quello su "Roma '77" con Rogelio Lopez Cuenca, e "Senza titolo per parlarne" con Mauro Folci e Osservatorio Nomade. Attualmente collabora con UnDo.Net

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