Attraversare le contingenze allargando le prospettive

05/11/2008
stampa   ::  




Step by step


Circa 20 anni fa a Prato fu progettato e costruito un museo d'arte contemporanea che era nuovo a partire dalla sua architettura. Il Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci sarà a breve ampliato e riorganizzato su progetto dell'olandese Maurice Nio. La Regione Toscana ha infatti stanziato 5 milioni di euro per la sistemazione della struttura in modo che possa ospitare anche la collezione del museo entro il 2010. Da quest'anno il Pecci è stato riconosciuto come museo Regionale per l'arte contemporanea; il direttore, Marco Bazzini, dice che il Centro ha un piano strategico fino al 2012 e una pianificazione del programma artistico fino ai primi mesi del 2011.
Fra le novità di cui Bazzini parla nell'intervista con Vittoria Azzarita, c'è anche la recente convenzione con cui la Regione destina al Pecci risorse per un milione di euro per il coordinamento metropolitano di molteplici iniziative nelle aree di Prato, Pistoia, Firenze ed Empoli. Nella stessa direzione va il progetto "Territoria #3. Lo spazio del contemporaneo" che coinvolgerà spazi storici, musei, gallerie, piazze e strade del territorio pratese fino a gennaio 2009.

Su UnDo.Net la rubrica Making Culture, a cura di Tafter, indaga il valore economico degli eventi culturali insieme alle loro implicazioni sociali



Il Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci a Prato





Progetto di ampliamento del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci. Architetto: Maurice Nio





























Anne e Patrick Poirier, Exegi monumentum aere perennius, 1988. Giardino del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato





Collezione permanente, Maurizio Nannucci, Sigillo di Salomone, 1992-2003





Collezione permanente, veduta della sala con le opere di Mario Merz (La Spirale Appare, 1990) e di Jannis Kounellis (Senza Titolo, 1985-1995)





Collezione permanente, Michelangelo Pistoletto, Uomo nudo di schiena, 1962-87. Foto di Luca Ficini





Collezione permanente, Panamarenko, Panama, 1996





Paolo Parisi, Come raggiungere la costa (museo), 2008





Dalla mostra 1988: vent'anni prima, vent'anni dopo: Fabio Mauri, Installazione Luna, 1968





Mauro Staccioli: Scultura Prato, 1988, Centro per L'Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato





Mostra Progressive Nostalgia. Arte contemporanea dalle ex Repubbliche Sovietiche, agosto 2007, invito





Sedicesima edizione di Videominuto, il Festival internazionale di video della durata di 1 minuto, giugno 2008


 

Intervista a Marco Bazzini, direttore artistico del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci

 

di Vittoria Azzarita

 

Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci è stato fondato nel 1988 dall’industriale Enrico Pecci: ripercorrendo brevemente le tappe della sua evoluzione, quali sono oggi i tratti distintivi del Centro e quale è l’idea intorno alla quale si sviluppa la sua identità?

 

Il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci nasce venti anni fa a Prato, ed è il primo museo italiano costruito specificatamente per l’arte contemporanea. All’epoca il panorama del contemporaneo in Italia era molto diverso da oggi, esistevano il Castello di Rivoli - aperto soltanto qualche anno prima all’interno di una residenza sabauda - ed alcune gallerie civiche, come la GAM di Torino e la Galleria Civica di Bologna, oltre alla Galleria Nazionale a Roma.
In questi vent’anni il museo si è caratterizzato per un’importante attività espositiva di tipo monografico, non trascurando anche mostre collettive.

Sono state fatte importantissime personali dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea, da Merz a Richter, da Schnabel a Isgrò, ma anche mostre collettive importanti come “Artisti russi contemporanei” che, in un certo modo, è stata ripresa dopo 17 anni con la mostra “Progressive Nostalgia. Arte contemporanea dalle ex Repubbliche Sovietiche”.
La scommessa di Prato fu quella non di aprire un museo in uno spazio già esistente, ma di realizzare un edificio progettato ad hoc per questo tipo di attività. Il primato del Centro Pecci, quindi, è quello di essere la prima architettura in Italia nata per il contemporaneo. Un primato che sostanzialmente mantiene dopo vent’anni, perché sarà anche il primo museo costruito ex novo che conoscerà un ampliamento.

I lavori partiranno tra qualche mese, per sanare quella che è stata la principale problematica del Centro, vale a dire la mancanza di uno spazio destinato all’esposizione della collezione permanente, che è stata raccolta nel corso di questi anni.

 

A questo proposito, un anno fa la Regione Toscana stanziava cinque milioni di euro per la realizzazione del progetto di ampliamento e sistemazione della struttura che ospita il museo, sotto la direzione dell’architetto olandese Maurice Nio. Qual'è, quindi, la situazione attuale? Ritiene che saranno rispettati i tempi di consegna previsti per il 2010?

 

Parlando del progetto inerente alla costruzione del nuovo edificio, che è conseguenza anche del desiderio di dare una identità forte al Centro stesso, volevo specificare alcuni punti. Il Pecci è un centro per l’arte contemporanea, vale a dire è un luogo che si caratterizzò da subito in Italia per un modello differente da quelle che all’epoca erano le strutture che prima ho rammentato. Detto altrimenti, il Centro Pecci è uno spazio espositivo, ma è anche una biblioteca (CID/Arti Visive); è una sezione didattica; è stato ed è oggi un centro per avvenimenti di spettacolo, di cinema e quindi per tutte quelle produzioni che sperimentano il linguaggio nella contemporaneità.

Ha un auditorium interno; ha un anfiteatro esterno da mille posti dove vengono presentati spettacoli dal vivo sempre sulla linea dell’interdisciplinarietà. Prendendo atto di tutto ciò, quando dico che oggi il Centro Pecci si può definire a tutti gli effetti un museo con la costruzione della nuova ala di Maurice Nio, intendo dire che questa volontà che era nell’anima del Centro fin dall’inizio - tanto che nell’arco di vent’anni il Centro ha raccolto la sua collezione - tra pochi mesi prenderà finalmente concretezza, perché un museo è tale quando un visitatore può entrare e vedere la collezione in uno spazio ad essa deputato.

Un museo ha la sua anima nella collezione, questa ne è la biografia, racconta quello che è stato fatto e ciò che nasce e sviluppa sul territorio.
Con questo nuovo progetto di Maurice Nio, che ha riqualificato e ripensato gli ambienti sia interni che esterni del Centro, creando una struttura ad anello piuttosto innovativa per quanto riguarda gli spazi museali, il Pecci va verso il futuro con una nuova identità, anche fisica.

 

Il primo novembre è stata inaugurata presso il Centro Pecci la mostra “1988: vent'anni prima, vent'anni dopo”. Questa rassegna, che lei ha curato personalmente, può essere vista come una sorta di tributo per celebrare l’attività svolta dal museo nel corso di questi venti anni a sostegno del contemporaneo in Italia?

 

Il rimando alla storia del Centro in questa mostra non è così diretto. Un’iniziativa che riassumesse la storia di questa istituzione è stata presentata durante l’estate. “Fatto Bene!” era, infatti, una selezione delle opere raccolte in questi vent’anni per presentare al pubblico quanto il Centro ha programmato, ispirandosi sia alla scena nazionale che a quella internazionale.
Ho pensato, invece, la mostra “1988: vent’anni prima, vent’anni dopo” non come un evento storico o una rassegna filologica sull’arte italiana degli ultimi quattro decenni, ma come una piattaforma culturale in cui poter evidenziare alcuni temi che nascono nel ’68, e testimoniarli attraverso le poetiche e le opere dei tredici artisti invitati: Nanni Balestrini, Vanessa Beecroft, Anna Valeria Borsari, Gea Casolaro, Michele Dantini, Daniela De Lorenzo, Piero Gilardi, Ketty La Rocca, Fabio Mauri, Liliana Moro, Michelangelo Pistoletto, Pietro Ruffo e Andrea Salvino.
E’ un modo anche per confermare come il Centro Pecci sia sempre stato all’interno di un dibattito contemporaneo, e per riaffermare questa sua identità. E’ una mostra che cerca di annodare alcuni fili che da quella stagione hanno preso origine e che oggi hanno nuova considerazione e attenzione nel dibattito sociale.

Muovendo dall’assottigliamento che il linguaggio artistico ha conosciuto in quegli anni, la mostra ci conduce in un percorso che va dal “partire da sé”, e quindi dalla partecipazione all’emancipazione femminile, dalla nascita di una coscienza ecosostenibile alla disseminazione dell’essere-contro che caratterizza l’oggi in una fluidità di movimenti. Una mostra, credo, attuale anche per quello che sta succedendo in questi giorni nella società italiana.

 

Come lei prima ha ricordato, il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci non è solo un museo con la propria collezione permanente, ma comprende anche il centro di informazione e documentazione sulle arti visive con la biblioteca specializzata, il dipartimento di educazione e la sezione avvenimenti, vari spazi per esposizioni collaterali, i laboratori didattici, la libreria, la saletta conferenze, il bar ristoro, il teatro all’aperto ed il giardino per le sculture. Come si coordinano tra loro queste diverse realtà? Quali sono le principali difficoltà gestionali, date dalla coesistenza di differenti ambiti di attività?

 

Le attività si coordinano tutte intorno alla direzione artistica, anche se essendo diverse le une dalle altre, hanno dei responsabili e quindi delle programmazioni proprie. In realtà a livello gestionale cerchiamo sempre di più di farle convivere, per quanto è possibile. Mi spiego. È chiaro che una biblioteca pur specializzata come quella del Centro ha una propria vita, però in realtà la biblioteca è fondamentale per la raccolta della documentazione delle mostre fatte e per la preparazione delle mostre in corso, e quindi per svolgere un lavoro di studio e di preparazione alle mostre stesse.

La didattica viaggia in stretto rapporto con quelle che sono le attività espositive del museo, anche se ha un’offerta formativa più ampia intorno a quelli che sono i temi propedeutici dell’arte contemporanea. La sezione spettacolo e avvenimenti la stiamo legando e riproponendo all’interno di quelle che sono le attività espositive stesse.

 

La forma giuridica del Centro Pecci è quella dell’associazione, di cui fanno parte sia enti pubblici che privati. Perché è stata privilegiata questa forma gestionale? Quali sono i suoi principali punti di forza? E quali le maggiori criticità?

 

Anche in questo il Centro fu innovativo nel panorama italiano, perché normalmente le strutture dell’epoca erano o diretta emanazione delle amministrazioni comunali, con tutta la burocrazia che questo comporta e comportava, oppure soggetti finanziati dalla regione, com’è il Castello di Rivoli.
La scommessa di Prato fu di aprire il Centro a soci privati e a soci pubblici, fondando un’associazione culturale - che all’epoca era una novità piuttosto forte - per far vivere ancora di più il museo sul territorio e per rafforzare quel processo di incontro tra arte contemporanea, creatività e produzione industriale, che è sempre stata una delle grandi anime della città di Prato.
È chiaro che in vent’anni, anche da un punto di vista amministrativo e legislativo, si sono sviluppate soluzioni di tipo diverso, però la struttura dell’associazione culturale ancora funziona, in quanto permette un’autonomia gestionale e amministrativa dell’ente stesso e quindi una maggiore snellezza rispetto ad una situazione di amministrazione pubblica più tradizionale.

 

Tra i soci fondatori del Centro Pecci figurano l’Unione Industriale Pratese e numerose realtà imprenditoriali locali. Come si sono sviluppati nel tempo questo tipo di rapporti?

 

Qui bisogna entrare nel contesto economico della città di Prato. Quando il museo fu fondato l’economia industriale, in modo particolare quella tessile pratese, era in pieno sviluppo. Oggi quella stessa economia, all’interno di un mercato globale, conosce una contrazione come ogni altro settore industriale italiano.

È chiaro che questo ha comportato anche delle criticità per il museo stesso, che vivendo sul territorio ha risentito delle differenze di tipo congiunturale e degli sbalzi di tipo economico. Anche se il sostegno da parte dei soci fondatori rimane, perché in ogni caso questo è previsto dallo statuto delle associazioni culturali, oggi conosciamo - per gli ovvi motivi dovuti a questa contrazione del mercato - una minore relazione con alcuni soggetti come l’Unione Industriale Pratese.
D’altra parte, stiamo conoscendo al contempo nuove possibilità di lavoro e di collaborazione con quelli che sono gli sponsor privati delle singole mostre organizzate dal Centro. Questa è anche la nuova tendenza, non ancora troppo sviluppata in Italia, per la ricerca di un’immagine nuova da parte di alcune aziende.

 

Dal suo punto di vista, quale crede sia oggi il ruolo giocato dal settore dei privati nel mondo della cultura? Ritiene plausibile affermare che vi sia una maggiore attenzione e una maggiore voglia di partecipare alla realizzazione di progetti e iniziative artistico-culturali da parte delle imprese, rispetto a quanto accadeva in passato?

 

Nel rispondere a questa domanda, mi riferirò in modo particolare al mondo dell’arte contemporanea, che è chiaramente quello che conosco meglio.
Non so se più per un problema di tipo culturale o per un problema legato al tipo di strumenti amministrativi e legislativi presenti nel nostro paese, mi sembra che in questo momento in Italia, contrariamente a quanto accade nelle altre nazioni europee o nel mondo anglosassone, assistiamo alla nascita di numerose fondazioni d’impresa, ossia di strutture direttamente legate ad importanti aziende.
Ho la sensazione che le grandi aziende più che supportare, attraverso un’attività di sponsorizzazione un’iniziativa pubblica di tipo museale, cerchino una visibilità diretta aprendo proprie strutture e dando vita a propri progetti.
Ma è anche vero che grandi banche, come l’UnicreditBanca, attraverso una politica attenta agli acquisti, stanno rinnovando molte collezioni di musei italiani. Si viene a creare, quindi, una grande forbice, dove da una parte ci sono alcune fondazioni bancarie che supportano le attività di alcuni musei e dall’altra ci sono molte realtà imprenditoriali che vogliono crearsi un’identità ancora più forte sul mercato aprendo spazi e strutture private.

 

Uno studio di Vinicio Tredici, dell’Università degli Studi di Firenze – ripreso all’interno del libro “Misurare e comunicare i risultati” a cura di Barbara Sibilio Parri sull’accountability dei musei – riporta il caso del Centro Pecci di Prato, “quale esempio di gestione economica di una istituzione culturale quale vera e propria azienda, dotata di autonomia giuridica, amministrativa, patrimoniale, finanziaria e di bilancio”. Potrebbe illustrare in maniera più dettagliata le modalità e gli strumenti utilizzati dal museo per il raggiungimento di tali obiettivi?

 

Negli ultimi due anni noi abbiamo cercato di mettere a punto un maggior controllo della spesa, che era stato uno dei problemi del museo negli anni passati, e per la prima volta siamo riusciti a far quadrare il bilancio dopo anni di passivi.

Siamo riusciti a ristrutturare e riorganizzare il museo, e cerchiamo sempre di più di sfruttare al massimo quelle che sono le risorse economiche che il Centro ha a propria disposizione. Riusciamo a fare operazioni importanti e di qualità, anche se forse soffriamo un po’ sul lato della comunicazione, ma stiamo cercando di attivare anche questo tipo di visibilità.
A seguito di una nuova modifica allo statuto, non esiste più un “comitato mostre” e un “comitato d’amministrazione”, e questo è un fattore che permette un’elasticità maggiore nel bilancio.
Da due anni, inoltre, abbiamo sia un piano strategico che ci porta fino al 2012 e che prende in esame anche tutti gli aumenti di spesa dovuti alla costruzione della nuova ala del museo, sia una pianificazione di programma artistico fino ai primi mesi del 2011. Cerchiamo di lavorare con prospettive più ampie, perché questo permette un miglior controllo del budget, sperimentando dei modelli di gestione sostanzialmente diversi rispetto a quelli che hanno guidato questa istituzione negli anni passati.

 

Nel caso specifico del Centro Pecci il fatto di avere dei piani pluriennali di programmazione di spesa ha portato dei vantaggi dal punto di vista gestionale?

 

Con una programmazione a largo respiro noi riusciamo ad avere un controllo di spesa per quanto riguarda ad esempio tutta la parte delle utenze, dal riscaldamento all’aria condizionata, e questi sono aspetti fondamentali da tenere in considerazione, perché in realtà è proprio su questi terreni che ci sono gli aumenti maggiori, e non vanno assolutamente trascurati se si vogliono tenere sotto controllo le voci di costo.

Su budget che riguardano, invece, in maniera diretta la creazione delle mostre, il controllo della spesa va fatto diversamente, perché qui entrano in gioco fattori meno tangibili, come la creatività degli artisti stessi.
Uno dei vantaggi di una struttura come il Centro Pecci rispetto alle istituzioni pubbliche è che può operare su programmazioni a più lungo corso, sempre con la speranza - e anche un po’ la paura - che i finanziamenti all’inizio dell’anno vengano rispettati, in riferimento a quelli che erano i budget previsti.

 

Partendo dalla sua esperienza all’interno del Centro Pecci di Prato, quali sono dal suo punto di vista i principali ostacoli, che rendono difficoltoso per un’istituzione culturale come un museo, adottare criteri gestionali legati all’economicità, che prestino una maggiore attenzione alle entrate e alle uscite, secondo una logica di programmazione e di controllo di gestione?

 

La parte più problematica, senza andare in un cahiers de doléances, è che avendo a che fare sempre e comunque con una creatività che per nostra fortuna è quella degli artisti, talvolta siamo in difficoltà a contenerla sul piano finanziario, nel senso che non sempre le idee che possono guidare una mostra possono essere supportate da quello che è il piano finanziario di una struttura come un museo. Questo è un problema, anche se poi l’accortezza, il buon senso, il parlare, il poter verificare la disponibilità degli artisti stessi, ci riporta all’interno di budget possibili.
A mio avviso un museo riesce ad avere un controllo di budget, anche se non deve per forza essere impostato come un’azienda vera e propria, perché comunque la logica “spesa – profitto” non è quella di un museo. Non è possibile lavorare unicamente su questa logica per quanto riguarda un museo.

 

Una recente convenzione tra Regione Toscana e Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ha portato alla stesura di un documento, attraverso cui risorse regionali per un milione di euro vengono assegnate in tre anni al Centro Pecci (350 mila all’anno dal 2008 al 2010), per effettuare un coordinamento in ambito metropolitano fra le molteplici iniziative presenti nelle aree di Prato, Pistoia, Firenze ed Empoli. Potrebbe spiegare di cosa si tratta esattamente?

 

Da quest’anno il Centro Pecci è stato riconosciuto come museo regionale per l’arte contemporanea. Questo ha comportato, da una parte il finanziamento della regione Toscana, dall’altra una maggiore presenza del Centro sul territorio regionale.

Non significa che il Pecci debba far ombra su tutta la Toscana, ma piuttosto che il Centro sia un attivo agente di dialogo con tutte quelle che sono le strutture pubbliche e private che si occupano di contemporaneo. Al Pecci spetta un’azione di coordinamento delle iniziative legate a questo settore all’interno della Toscana, in modo da diventare il nodo di una rete molto più estesa e quindi di un’offerta ancora più ampia e di grande qualità.

 

A livello territoriale, come crede sia cambiata l’area metropolitana pistoiese, e la Toscana in generale, dalla nascita del Centro Pecci in poi?

 

La Toscana, e in modo particolare l’asse metropolitano Firenze - Prato - Pistoia, ha sempre avuto una produzione importante e di qualità intorno al contemporaneo. Ha promosso e ha fatto nascere moltissimi artisti, al di là del luogo comune della Toscana come terra del Rinascimento.
È stata quindi una terra sempre attiva, che ha sempre innovato i linguaggi dell’arte. Oggi la scommessa con il riconoscimento del Centro Pecci come museo regionale è anche di promuovere e di valorizzare i linguaggi del nostro territorio.

 

Esattamente in questa direzione si inserisce il progetto “Territoria #3. Lo spazio del contemporaneo” - realizzato con il contributo della Regione Toscana e della Provincia di Prato – che coinvolgerà spazi storici, musei, gallerie, piazze e strade del territorio pratese fino a gennaio 2009. Cosa comporta per il Centro Pecci rivestire il ruolo di coordinatore all’interno di questo progetto di rete sulla cultura contemporanea in provincia di Prato?

 

Come ho detto il Centro vuole lavorare anche sul e con il territorio e lo sta già facendo con la collaborazione con alcuni comuni dell’area provinciale - Poggio a Caiano, Carmignano, Cantagallo - e dell’area metropolitana, come ad esempio Pistoia.

Il museo regionale può e deve essere il volano che accelera la promozione dell’arte di qualità espressa a Prato e non solo. Per questo diventa importante dialogare con tutte le realtà pubbliche e private che operano con professionalità e serietà. Soltanto in questo modo si riesce a crescere nell’offerta, e ad aumentare la visibilità di un’identità territoriale.

Il lavoro con la Provincia, nell’ambito delle direttive regionali, è stato buono perché siamo riusciti, unici in Toscana, a creare un progetto con proposte importanti che nascono direttamente dagli operatori, e a dimostrare come nell’intera area pratese ci siano sia le opportunità, che una vera voglia di vivere la contemporaneità.

 

In che modo un’istituzione culturale legata al mondo dell’arte contemporanea come il Centro Pecci può contribuire, all’interno di una società che ama definirsi “post-moderna”, al raggiungimento di una migliore qualità della vita e di un maggiore benessere economico e sociale?

 

Credo che questa sia la missione dei musei stessi, poi che lo faccia un museo d’arte contemporanea oppure un museo d’arte antica, non fa molta differenza. Un museo deve essere un luogo della stupefazione perché si vedono opere d’arte, ma deve essere anche un luogo che permetta una riflessione.

Una riflessione che, per quanto riguarda un centro d’arte contemporanea come il Pecci, deve riguardare quelle che sono le tematiche dell’oggi, rendendo il cittadino o il visitatore o l’appassionato, più consapevole del tempo in cui vive.
Solo conoscendo il nostro tempo si può fare bene innovazione e quindi anche economia.

 

La selezione dei contributi di Making Culture è curata da Tafter, la rivista online che opera nel campo dell'economia della cultura, e che si presenta come punto di incontro per la ricerca sul rapporto cultura-impresa, sullo sviluppo locale, sulle possibilità offerte dalle nuove tecnologie in campo culturale, sulle modalità di interazione tra l'arte contemporanea e i suoi fruitori.

Articoli precedenti:

Chiari di luna
Strategie europee di condivisione
Vienna, una città a caccia di creatività
Scenari urbani in fermento: arte e cultura in Cina
Cluster d'innovazione
Che la festa cominci!
Berchidda, appunti di un festival
Buon compleanno MART!

 

pdfQuest'intervista in formato PDF da stampare