Attraversare le contingenze allargando le prospettive

02/04/2009
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Domenico Quaranta

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Uno degli artisti che ammiro di più ha detto, probabilmente plagiando qualcun altro, che non “bisogna essere esplicitamente politici per fare qualcosa di politico.” Se concepire l'attività curatoriale come uno sforzo continuo teso ad ampliare la nostra attuale idea dell'arte, e il curatore come un ponte tra il mondo dell'arte e altri sistemi produttivi e discorsivi, è politico, allora il lavoro che sto cercando di impostare da qualche anno lo è.
Ho cominciato a interessarmi alla net art quando ho scoperto che poteva raggiungermi a casa senza che io uscissi a cercarla; quando ho notato che poteva sopravvivere senza mediatori, senza istituzioni, senza sistemi di potere; e che era arte pur sfidando la normale idea dell'arte sotto diversi punti di vista: rinunciando alla solidità e alla chiusura dell'oggetto artistico; abbandonando il contesto artistico e l'aura che esso conferisce a qualsiasi oggetto lì esposto; e imponendo una riconsiderazione del valore, anche economico, dell'arte.
La net art è stata la mia porta di accesso all'arte che si serve dei media e delle nuove tecnologie, (discutibilmente) nota come new media art. Per anni, queste pratiche sono state coltivate in un isolamento produttivo e discorsivo che, se da un lato gli ha consentito di sviluppare liberamente i propri aspetti più radicali, dall'altro gli ha impedito di cimentarsi con la contemporanea ricerca artistica in un confronto paritario che fosse in grado di contribuire allo sviluppo di entrambe. La libertà e l'estraneità al mondo dell'arte hanno un prezzo, e decidere quando sia giunto il momento di smettere di pagarlo è tremendamente complicato. La mia pratica critica e curatoriale si fonda su questa contraddizione mai risolta: amare una cosa per la sua radicale indipendenza, e lavorare perché vi rinunci, almeno in parte, in modo tale da avere un impatto più esteso e duraturo; favorire, da un lato, l'autonomia e il decentramento e, dall'altro, l'integrazione e il riconoscimento istituzionale.
Su queste basi, il mio lavoro di curatore si è andato sviluppando su due binari paralleli. Da un lato, si è trattato di sondare la presenza della new media art nel circuito dell'arte contemporanea, cercando a un tempo di esplorare i modi e le forme in cui questa integrazione è avvenuta e di favorire ulteriori, positivi sviluppi in questa direzione. Dall'altro, il mio sforzo è stato quello di spostare l'attenzione dal medium – vero polo di aggregazione delle mostre di new media art che si sono svolte finora e, a mio parere, autentico responsabile del suo isolamento – all'impatto che le nuove tecnologie (da internet ai videogiochi, dalla geolocalizzazione alle biotecnologie) stanno avendo sulla vita sociale, politica, religiosa e culturale dell'uomo contemporaneo, a prescindere dal medium con cui l'arte prende atto di questo impatto.
La prima linea è troppo debole per costituire, da sola, il fondamento di una pratica curatoriale consapevole. Se ha avuto senso insistere, in alcuni progetti, su di essa, senza complicare lo statement con altri orpelli, è stato perché ritenevo necessario sgombrare il campo da una serie di pregiudizi radicati tanto nella comunità new media, quanto nel sistema dell'arte contemporanea. Il senso di una mostra volutamente “dumb” come Holy Fire. Art of the Digital Age (Bruxelles 2008) era proprio questo: offrire al pubblico dell'arte una mostra di “oggetti”, collezionati o collezionabili, che contraddicesse tutti i luoghi comuni in circolazione sull'arte digitale (immateriale, invendibile, autoreferenziale e priva di contenuti); e offrire al pubblico della new media art una dimostrazione di quanto poco abbia senso, nella fase attuale, raccogliere sotto lo stesso ombrello lavori tanto eterogenei per contenuto, approccio, ispirazione, solo perché condividono lo stesso medium.
In altre parole, ho fatto una mostra di new media art per dimostrare ad alcuni che non ha più senso fare mostre di new media art, e ad altri che quello che alcuni chiamano new media art è molto interessante. Ovviamente, questo lavoro di paziente abbattimento delle barriere che separano due mondi chiusi su se stessi è pieno di contraddizioni ma è anche, per me, estremamente stimolante. Ma una mostra idiota, per quanto mi riguarda, basta ed avanza. Per questo, la mia ricerca recente si è concentrata sull'impatto che la rivoluzione tecnologica sta avendo sulla nostra società e sul nostro modo di comunicare, mescolando liberamente l'atteso e l'inaspettato, esplorando i confini e aiutando, quando possibile, i profughi ad attraversarli senza troppo preoccuparmi che lo status quo sia pronto ad accettare il loro diritto di cittadinanza.

Biografia
E’ critico e curatore d’arte contemporanea. Ha concentrato inizialmente la sua attenzione sulla net art, per poi estendere la sua indagine alla new media art e all'impatto dei media digitali sull'attività artistica. Come critico, collabora regolarmente a Flash Art; i suoi saggi, recensioni e interviste sono comparse in riviste, giornali e portali online, fra cui: Magazine électronique du CIAC (CA), Rhizome (US), A Minima (SP), Vague Terrain, HZ Journal, MESH (AU), RCCS (Resource Center For Cyberculture Studies, US), Maska (SLO), Around Photography (IT), FMR Bianca (IT), Digimag (IT), Exibart (IT), Noemalab (IT), Arte e critica (IT), Drome (IT), Cluster (IT), L'Unità (IT) e molti altri. Nel 2004 ha pubblicato il suo primo libro, NET ART 1994-1998: La vicenda di Äda'web; ha co-curato, con Matteo Bittanti, il libro GameScenes. Art in the Age of Videogames (Milano 2006) e ha collaborato a parecchi volumi e pubblicazioni. Dal 2008 cura, per l'editore FPEditions, una collana di volumi sulla new media art (titoli pubblicati: Todd Deutsch – Gamers, 2008; Gazira Babeli, 2008; Holy Fire. Art of the Digital Age, 2008; UBERMORGEN.COM, 2009; RE:akt! | Reconstruction, Re-enactment, Re-reporting, 2009).

Ha curato e co-curato diverse mostre in Italia e all'estero. Fra queste: Connessioni Leggendarie. Net.art 1995-2005 (Milano 2005); GameScenes (Torino 2005); Radical Software (Torino 2006); Holy Fire. Art of the Digital Age (Bruxelles 2008); For God's Sake! (Nova Gorica, 2008); RE:akt! | Reconstruction, Re-enactment, Re-reporting (Bucharest – Ljubljana – Fiume 2009); Expanded Box (ARCO Art Fair, Madrid 2009); Hyperlucid (Prague Biennal, Praga 2009). Ha tenuto numerose conferenze e insegna “Net Art” presso l'Accademia di Belle Arti di Brera.


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