Attraversare le contingenze allargando le prospettive

16/04/2009
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Jens Hoffmann

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Elvira Vannini/Matteo Lucchetti: Pensi che la direzione che la curatela di una Biennale può prendere, possa permettere la costruzione di uno spazio per il dissenso e la sperimentazione di nuovi formati culturali, rispetto alla deriva mainstream del fenomeno di espansione delle Biennali stesse in ogni parte del mondo?
Nella tua opinione in che modo le biennali "post-coloniali", o cosiddette periferiche, possono apportare cambiamenti all'interno del display espositivo? Possono avere ambizioni geopolitiche? Quali scenari culturali tracciano?

Jens Hoffmann: Recentemente alcune Biennali sono state sorprendentemente autoriflessive ed hanno consentito un coinvolgimento più analitico con questa particolare forma espositiva. La Biennale di San Paolo del 2008 è stata probabilmente l'esempio più estremo di tale auto analisi.
Altri esempi notevoli includono la Biennale di Venezia del 2003, un esperimento curatoriale su vasta scala che molta gente sottovalutò al tempo, e Manifesta 6 con la sua idea di fondare una scuola a Cipro invece di realizzare una mostra.
Ma, chiamatemi pure conservatore se volete, io preferisco lavorare con l'arte e con gli artisti invece che fare una scuola o lasciare lo spazio principale della galleria della mia mostra vuoto. Sono un grande fan di quella che si può considerare una mostra tradizionale: opere d'arte esposte nello spazio della galleria. Questo è tutto quello che veramente voglio fare.
 La moda di fare esposizioni senza l'arte o di lavorare con l'arte e con gli artisti senza realizzare una mostra è qualcosa che personalmente non mi interessa affatto.
Non sono necessariamente critico con le Biennali a riguardo delle ambizioni politiche ed economiche che si possono frequentemente trovare dietro ad esse. In qualche modo ci siamo tutti abituati all'idea che le Biennali fanno parte dei piani più grandi di marketing di città e regioni ed abbiamo fatto pace con le irritazioni che potenzialmente avremmo potuto provare per questo.
Sono critico nei confronti delle Biennali perchè solitamente non permettono ad artisti e curatori di sviluppare un argomento curatoriale ed artistico ben formulato a causa della mancanza di risorse e di infrastrutture. Tutt'al più queste condizioni sono semplicemente manchevoli di rispetto, alla peggio sono serie umiliazioni degli artisti partecipanti e dei curatori che le organizzano.

Elvira Vannini/Matteo Lucchetti:
In una situazione, su scala internazionale, dove la produzione culturale è spesso sottoposta a pratiche di potere che si esprimono attraverso l'attività dell'istituzione, come può la pratica curatoriale mantenere il suo potenziale critico e trasformativo?

Jens Hoffmann: La partecipazione è all'altezza di tutti, impegnandosi a ricordare ripetutamente a noi stessi le responsabilità che abbiamo come artisti, scrittori e curatori attraverso tutte le persone ed i luoghi con i quali veniamo a contatto e che questo allo stesso tempo significa anche esserne responsabili.
Il limite di una pratica critica è solo posto dai confini della nostra immaginazione e dai limiti del nostro intelletto, non da forze esterne. Se tutto questo suona molto idealistico e romantico allora può anche esserlo ma io vedo ovunque la possibilità di una pratica curatoriale sovversiva.

Elvira Vannini/Matteo Lucchetti: Relativamente alla tua esperienza diretta, come si intrecciano le dinamiche sopracitate nel tuo lavoro?

Jens Hoffmann: Le Biennali sono soggetti complessi e ci vorrebbe più spazio per parlare di questo in modo più appropriato di quanto stia facendo qui.
La triste verità è che al di là delle centinaia e centinaia di Biennali che sono state prodotte nel corso degli ultimi dieci anni solo circa una manciata ha veramente fatto la differenza su un ampio livello curatoriale ed artistico. E' un format espositivo che, costantemente,  delude le aspettative.


Biografia
Jens Hoffmann (1974, Costa Rica) è un critico e curatore. Vive a San Francisco dove dirige il  Wattis Institute for Contemporary Arts ed è Senior Lecturer al Curatorial Practice Program del California College of the Arts.
Dal 2003 to 2007 ha diretto l’ Institute of Contemporary Arts di Londra, insegnando anche alla Goldsmiths College University of London dal 2004. Curatore della nona Biennale di Lione (2007) ed, assieme ad Adriano Pedrosa, curatore della San Juan Triennial (2009).
Collabora ai programmi espositivi presso l’Irish Museum of Modern Art di Dublino per il quale ha co-curato la mostra The Museum (2008). Tra le pubblicazioni: "The Next Documenta Should be Curated by An Artist" (Revolver, 2004) e Perform, con Joan Jonas (Thames & Hudson, 2005). Di recente pubblicazione "Show Time: Changing Exhibitions", una carrellata sulla storia delle esposizioni dal 1989 (DuMont, 2008).


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