Attraversare le contingenze allargando le prospettive

27/07/2009
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Hans D. Christ

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Elvira Vannini/Matteo Lucchetti: Pensi che la direzione che la curatela di una Biennale può prendere possa permettere la costruzione di uno spazio per il dissenso e la sperimentazione di nuovi formati culturali, rispetto alla deriva mainstream del fenomeno di espansione delle Biennali stesse in ogni parte del mondo?
Nella tua opinione in che modo le biennali "post-coloniali", o cosiddette periferiche, possono apportare cambiamenti all'interno del display espositivo? Possono avere ambizioni geopolitiche? Quali scenari culturali tracciano?

Hans D. Christ: Questo significherebbe dare inizio ad una rivoluzione. Potrebbe essere un esperimento interessante e avrebbe bisogno di sviluppare un alto grado di affinità intellettuale verso la sovversione. Vorrebbe dire un'infiltrazione di lungo termine in tutti i differenti livelli delle diverse tassonomie legate al fenomeno della Biennale, dal mercato dell'arte al marketing delle città. Inoltre, e qui sorge il problema, due anni non sono un tempo sufficiente per fare tutto questo. L'esperimento e la sovversione non possono creare una struttura sostenibile. Questo è il motivo per cui molte Biennali possono dedicare a questo campo di interesse soltanto un livello simbolico o rappresentativo, ma mai sostenibile.

Elvira Vannini/Matteo Lucchetti: Nella tua opinione in che modo le biennali "post-coloniali", o cosiddette periferiche, possono apportare cambiamenti all'interno del display espositivo? Possono avere ambizioni geopolitiche? Quali scenari culturali tracciano?

Hans D. Christ: Più in generale direi: le Biennali sono una logica conseguenza di un nuovo/vecchio sistema capitalistico globale. Per quanto riguarda il livello rappresentativo del display espositivo, la questione geopolitica è, come minimo, niente di più che informazione e non ha niente a che fare con ciò che chiamerei conoscenza. Ci sarebbe bisogno di strategie di comunicazione molto diverse. Questo tipo di comunicazioni potrebbero manifestarsi più o meno a causa del fatto che molte persone provenienti da tutto il mondo si ritrovano, e questo è semplicemente positivo, ma stiamo ancora parlando di un modo molto esclusivo di produzione di conoscenza. Il problema è di usare l'opportunità del “punto d'incontro Biennale” come base per stabilire network, e poi comunità e quindi conoscenza, solo anni dopo l'evento (la Documenta X del 1997 raggiunse questo obiettivo grazie al suo spazio di lavoro ibrido e al vasto programma extra con 100 ospiti in 100 giorni). Ma quantomeno direi: le Biennali non sono il format giusto per la sostenibilità. Non sono un modello efficace per creare infrastrutture di lungo termine. Queste consumano enorme risorse, non lasciando niente dietro di loro.

Elvira Vannini/Matteo Lucchetti: In una situazione, su scala internazionale, dove la produzione culturale è spesso sottoposta a pratiche di potere che si esprimono attraverso l'attività dell'istituzione, come può la pratica curatoriale mantenere il suo potenziale critico e trasformativo?

Hans D. Christ: Beh, non prendiamo il potere così sul serio e consideriamo gli artisti come nostri principali compagni. Se pensiamo al potere e all'arte separatamente, allora dov'è veramente un problema di potere – nel campo dell'arte? Il mondo dell'arte è una bisca per atteggiamenti di potere, ma il lato oscuro del potere reale è niente rispetto alle minacce all'esistenza che puoi trovare all'interno del sistema dell'arte. Anche questo è il potenziale dell'arte, come spazio libero per la negoziazione simbolica rispetto alle strutture di potere.

Elvira Vannini/Matteo Lucchetti: Relativamente alla tua esperienza diretta, come si intrecciano le dinamiche sopracitate nel tuo lavoro?

Hans D. Christ: Mai e poi mai. Ne oggi né domani. Le tassonomie del sistema dell'arte sono un costante campo di negoziazione. Anche quando facemmo una retrospettiva, come quella di Stan Douglas per esempio, non abbiamo fatto accordi con le gallerie più di quanto fosse necessario e nemmeno abbiamo lavorato con un collezionista sospetto come Flick. Abbiamo fatto tutto direttamente con l'artista, ma per quanto riguarda la crescita del valore di mercato dopo una retrospettiva, il profitto è di nuovo per loro: l'artista, la galleria e il collezionista sospetto. Il modello delle pratiche lavorative può essere leggermente diverso e può creare/proteggere spazi di libertà, ma questo non cambia il sistema. Così, con il progetto successivo cominci tutto da capo, così come si parte da zero con tutte le domande sostanziali in genere e con la creazione di strategie specifiche per il nuovo progetto. Forse una delle maggiori caratteristiche del nostro modo di lavorare è che non accettiamo gli standard e che non crediamo nella creazione di sapere da parte di un'unica (la nostra) prospettiva curatoriale. Questo significa anche rinunciare all'idea che come direttore di un'istituzione devi anche esserne il curatore principale. Perlomeno la posizione mia e di Iris (Iris Dressler, co-direttrice del Kunstverein di Stoccarda assieme ad Hans D. Christ) è molto spesso la posizione di moderatori – tra l'artista e l'istituzione, tra la presentazione dell'opera ed il pubblico, tra i curatori ospiti e l'istituzione e così via.


Biografia
Hans D. Christ (nato nel 1963, ha studiato arte e lingua e letteratura tedesca a Dortmund). Nel 1996 Hans D. Christ e Iris Dressler hanno fondato la 'hartware medien kunst verein' come piattaforma indipendente per l'arte contemporanea a Dortmund. Dal 2005 sono direttori del Kunstverein di Stoccarda. Il loro programma espositivo si indirizza principalmente verso le problematiche chiave della pratica curatoriale. Si basa su cooperazioni internazionali che allarghino i contenuti tematici e le prospettive del programma. Esemplari, in questo senso, i progetti:“Muntadas-Protokolle” con Antoni Muntadas, oppure “On Difference #1 / #2” (entrambe 2006). Il secondo è stato organizzato in collaborazione con artisti come Ricardo Basbaum, Dan e Lia Perjovski, Lucien Samaha ed altri partner provenienti da Budapest, Sofia, Ljubljana, Seoul, Nuova Delhi, Rotterdam, Valencia e Novi Sad. Di recente produzione i progetti “Post-Capital – Archive 1989-2001“, di Daniel García Andújar e “Subversive Practices - Art under Conditions of Political Repression 60s–80s / South America / Europe“, co-curato da Christ/Dressler assieme a Ramón Castillo / Paulina Varas Fernando Davis, Cristina Freire, Sabine Hänsgen, Miguel Lopez / Emilio Tarazona, Ileana Pintilie Teleaga, Valentín Roma / Daniel García Andújar, Annamária Szőke / Miklós Peternák e Anne Thurmann-Jajes.

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