Attraversare le contingenze allargando le prospettive

29/05/2008
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ARGOMENTI

Same Democracy
In relazione al rapido mutare degli scenari globali, le pratiche curatoriali si stanno sempre di più confrontando con le metodologie dell'Open Source culture, con i processi di condivisione, con le dinamiche di produzione e di distribuzione collettiva dell'arte e con il concetto di autorialità multipla... Presso Neon campobase a Bologna, Same Democracy è stato strutturato come un display in progress di interventi artistici. Marinella Paderni ed Elvira Vannini hanno invitato artisti italiani e stranieri che si si sono inseriti nel progetto con modalità diverse: processi in corso, lavori predisposti 'a distanza' e prelievi linguistici di vario tipo.
In questo ambito le curatrici hanno avviato una discussione con curatori internazionali; in questo primo step parlano Anna Colin e Mia Jankowicz (Gasworks, Londra) e Marina Sorbello (Uqbar, Berlino). Ecco le loro riflessioni e una descrizione dei progetti artistici in mostra.























Marinella Paderni ed Elvira Vannini: Dal 29 marzo 2008 è in corso presso Gasworks di Londra Disclosures, un progetto che attua una verifica delle manifestazioni delle metodologie Open Source fuori da Internet. Perchè pensate che il mondo Open Source possa essere legato all'arte?

Anna Colin: Per contestualizzare il progetto, Disclosures è cominciato con un seminario della durata di due giorni sabato 29 e domenica 30 marzo 2008, avvenuto off-site a East London. Durante il seminario abbiamo parlato di quanto le metodologie Open Source trovino applicazioni in campi di produzione culturale fuori da Internet. I temi, che sono emersi naturalmente, sono stati quelli dell'apertura - come strategia organizzativa e/o etica; dell'autorialità diffusa e licenze di contenuto aperto; e del limite dell'apertura, delle condizioni della sua esistenza e della sua realtà economica, fra altri temi dominanti. Dopo il seminario, che includeva presentazioni di progetti in atto, tavole rotonde, letture, performance, una passeggiata guidata da artisti, professionisti dei media e curatori, abbiamo aperto una biblioteca di film e letture e abbiamo organizzato eventi regolari al Gasworks.
Le opere incluse in questa biblioteca sono legate a questioni relative alla partecipazione aperta, autorialità multiple, e modi di condividere i propri risultati creativi e di diffonderli proteggendoli allo stesso tempo dagli utilizzi abusivi. Condividono anche un interesse e un impegno nella costruzione e manutenzione delle reti. Queste opere non sono solo opere d'arte, sono, per esempio, documentari, progetti di ricerca fatti da non-artisti, libri di autori di finzione e strumenti di musica aperta. Quindi noi stiamo suggerendo connessioni tra i metodi Open Source e pratiche artistiche. Tutti i temi in discussione riflettono in tanti modi alcune domande a cui le pratiche artistiche e curatoriali si sono rivolte nel corso degli ultimi cinque o dieci anni. Ma ciò che è impressionante è che, malgrado la tendenza crescente degli artisti a lavorare collaborativamente e la moltiplicazione delle pratiche che richiedono che la partecipazione diventi significativa (per esempio, pratiche discorsive), è ancora poco discussa la questione di chi dovrebbe essere riconosciuto come autore e di come la conoscenza prodotta collettivamente dovrebbe essere distribuita e ri-utilizzata. Molti artisti fanno ancora un copyright rigoroso dei loro film mentre il contenuto è completamente basato sulle conoscenze di altre persone, e non le rendono disponibili al pubblico.

Mia Jankowicz: Parlando in termini generali, le funzioni e le metodologie del Free/Libre Open Source Software (FLOSS) hanno informato ideologie condivise in vari spazi sia nel mondo del FLOSS sia nel mondo dell'arte. L'accessibilità dei materiali originali, lavorare collaborativamente con questi materiali, dare enfasi al multiplo e alla sua distribuzione diffusa, e rendere questa produzione ancora accessibile e disponibile come una parte di un processo perlopiù pragmatico piuttosto che come lo sviluppo di un'opera unica, originata, finita - tutti questi sono processi condivisi con FLOSS e utilizzati, a livelli vari, attraverso la pratica artistica contemporanea e moderna. Inoltre, il fare di questi processi la sostanza e il valore dell'opera stessa (piuttosto che il "retroscena" dell'opera) trova un posto crescente nelle pratiche artistiche e interdisciplinari. Il workshop recente, organizzato da Armin Medosch e Adnan Hadzi in collaborazione con Disclosures Taxi to Praxi (and back again), ha parlato di questa proliferazione di pratiche condotte dalla ricerca e del loro posto all'interno delle istituzioni artistiche correnti.
Ma questo, comunque, non vuol suggerire una storia condivisa e neanche un rispecchiamento perfetto delle pratiche. La maggioranza delle pratiche artistiche contemporanee continuano a funzionare senza conoscere il sistema, o solo aderendo parzialmente a quelle che potrebbero essere identificate come idee legate a FLOSS; tra l'altro, l'arte contemporanea e la sua fruizione sono ancora viste come attività borghese. Comunque, il saggio di Brian Holmes "The Revenge of the Concept" (La vendetta del concetto, ndt) argomenta con successo il ruolo inaspettato e fondamentale del gesto, del simbolismo e del significato imminente (tutte sviluppate con successo dall'arte contemporanea) dentro le ideologie di auto-organizzazione popolare e resistenza in rete (in particolare il campo attivista con i legami più forti al FLOSS).

Dalla tua esperienza di curatrice internazionale, pensi che il modello dell'Open Source - la condivisione dei processi creativi come del lavoro finale, l'autorialità multipla, la pratica del dono e dello scambio culturale convogliato in un lavoro collettivo in progress - abbia generato nuove forme artistiche?

Marina Sorbello: Diciamo che ha generato nuove forme di lavoro e di condivisione del lavoro, che possono trovare un'applicazione nel mondo dell'arte, ma forse trovano un terreno migliore in ambiti dove l'autorialità e l'individualismo (e la tendenza al plagio) sono meno pronunciati rispetto al sistema dell'arte. Se invece parliamo di pratiche immateriali e discorsive che si intersecano con un dato contesto e una data comunità, magari sconfinando nell'attivismo politico e culturale (mi vengono in mente i casi di Kuda.org in Serbia o di Boat-people.org in Australia) il discorso è un po' diverso, anche se non sono convinta che l'autorialità collettiva sia sempre genuinamente tale. Piuttosto che nuove forme artistiche, penso che l'Open Source abbia contribuito all'emergenza di nuovi formati culturali transdisciplinari.

In che modo è stata modificata la produzione culturale presente dalle pratiche Open Source?

Anna Colin: Siamo lontane dall'essere un'autorità in quell'area, quindi la risposta sarà soggettiva e limitata. Le pratiche ‘open source' sono cominciate più di vent'anni fa e il lavoro di alcuni - ma non di tutti - professionisti dei media ha adottato questo modo di lavorare all'incirca nello stesso periodo. Nel caso di Disclosures, abbiamo usato questo termine ‘open source' come metafora per l'apertura piuttosto che fare solamente riferimento alla sua base tecnologica.
Se si parla a proposito dell'arte contemporanea, Internet e gli strumenti ‘open source' hanno avuto un effetto crescente sulla diffusione artistica e, come conseguenza, sulla produzione. Anche se, come è stato precedentemente menzionato, molti artisti si attaccano a valori fuori moda come l'originalità e l'autorialità individuale, un numero crescente di artisti e di istituzioni d'arte ospitano alternative a questi valori. Una dimostrazione significativa di questo cambiamento è l'interesse crescente di artisti, negli ultimi cinque anni, nella costituzione di archivi, riesumando vecchio materiale che cadeva nell'oblio, nella conservazione della memoria e nella presentazione di storie rimaste fuori dalla conoscenza civica per ragioni politiche, economiche, oppure burocratiche. La sola idea di farne materiale a disposizione del pubblico è già un atto di apertura. E l'unico strumento aperto capace di raggiungere grandi quantità di persone è Internet. Archivi aperti on-line come archive.org o pad.ma, oppure circuiti più mainstream come youtube, sono piattaforme in grado di diffondere informazione e conoscenza.

Mia Jankowicz: Partendo dalle possibilità offerte dalla digitalizzazione e da Internet per la produzione culturale e la sua distribuzione, l'Open Source pare offrire un gruppo di metodologie che gli artisti sembrano desiderosi di applicare attraverso i media tradizionali. Per esempio il progetto Philip, organizzato da Mai Abu El Dahab ed altri otto artisti, mostra alcuni aspetti caratteristici della produzione Open Source; gli artisti hanno deciso di scrivere un romanzo collaborativo di fantascienza distribuito attraverso print-on-demand o pdf gratuito.
Problemi pratici ed economici, comunque, impediscono spesso alle metodologie Open Source di essere trasferite esattamente, come pure le strutture economiche, che rendono la situazione difficile per quegli artisti che vorrebbero considerare la distribuzione gratuita del loro lavoro, e il riferimento all'autore come personalità individuale, che fa la sua comparsa quando si tratta di ricompense finanziarie nel mondo dell'arte. Comunque, quando gli artisti citano FLOSS come influenza nel parlare di tali problemi infrastrutturali, sembra esserci un trasferimento utile di idee, di etiche e di metodologie potenziali.

Marina Sorbello: Si fa avanti un nuovo concetto di autorialità e soprattutto nuove modalità di distribuzione. Quello che mi sembra più interessante nell'attuale produzione culturale è che non esiste più un solo centro da cui si dipana la produzione culturale ma diversi centri che interagiscono fra loro facendo rete. Si sta passando da un sistema gerarchico verticale e centralistico a modalità di scambio e condivisione orizzontali. La geografia dell'arte e della cultura sta cambiando, cosi come cambiano le modalità di consumo della cultura e dell'arte. Mi sembra molto produttivo e stimolante il fatto che centro e periferia diventano dei concetti relativi, a seconda di dove ci si trova, del punto di vista, che non esiste più una cultura dominante ma diverse culture che si intersecano e si influenzano reciprocamente.

Pensate che il modello Open Source sia capace di produrre nuovi atteggiamenti curatoriali e una nuova piattaforma dell'arte?

Marina Sorbello: Certamente. Nel senso che anche il mestiere del curatore è in fase di ridefinizione, quindi l'Open Source offre un modello di riferimento a cui ispirarsi. I collettivi non sono nuovi nel mondo dell'arte, allo stesso tempo però per funzionare e sopravvivere all'interno di una struttura verticalistica e codificata come il sistema dell'arte spesso compromessi sono necessari. Insomma: condivisione e Open Source sono dei bei concetti, ma trovo problematico se alla scomparsa dell'autore corrisponda la scomparsa del riconoscimento del lavoro. Artisti, curatori e lavoratori della conoscenza devono pur vivere di qualcosa, percepire onorari o stipendi, intendo.

Anna Colin: Sicuro, e l'ha già fatto. Un esempio che è spesso citato è Kurator, un progetto curatoriale di ricerca associato con l'Università di Plymouth, nel Regno Unito, che "lega curatela con programmazione, sistemi e software." Inserita nel mondo artistico più tradizionale e non guidata dalla tecnologia, l' Open Source ha avuto finora un piccolo impatto, ma come abbiamo suggerito prima, le istituzioni coinvolgono sempre di più questi soggetti. Di tanto in tanto, alcune istituzioni utilizzano i wiki come uno strumento aperto di lavoro, che è poi visibile a tutti (per esempio il gruppo di ricerca The Critical Practice al Chelsea School of Art and Design, a Londra, e Iaspis, a Stoccolma, con Who Makes and Owns Your Work (Chi fa e possiede il tuo lavoro, 2007). Inoltre, molte istituzioni d'arte usano i blog invece di siti, che permettono commenti e feedback, e hanno cominciato a condividere i loro archivi (pensiamo, per esempio, alla rivista d'arte Frieze che, fino a poco tempo fa, dava accesso ai suoi archivi solo agli abbonati della rivista).
Quello che il modello Open Source può insegnare ai curatori è, per esempio, essere più aperti e generosi con la propria ricerca, meno chiusi rispetto alle proprie idee e programmi curatoriali. In questo modo, l'Open Source introduce una distensione dei comportamenti competitivi. Se i curatori, gli autori e le istituzioni condividessero un terzo della loro ricerca, discorsi e movimenti avanzerebbero molto più rapidamente, e il cambiamento non sarebbe una possibilità così lontana. Ma stiamo certamente avvicinandoci a quest'utopia di quanto sia mai stato fatto prima.

Con la cultura Open Source il concetto tradizionale dell'autorialità è cambiato radicalmente. Che cosa significa oggi essere 'autore'?

Anna Colin: Forse non ha cambiato significato. L'autore si è sempre appropriato di immaginari, formule e teorie che appartengono ad altri, li ha portati avanti e ha messo il suo nome sul risultato. La cultura Open Source potrebbe essere solamente un'altra piattaforma dove accade lo stesso esercizio. Abbiamo messo qualche commento sul rapporto tra l'autore e l'avanzamento su Pipeline, uno strumento per la cui creazione abbiamo incaricato Electronest e che condivide la ricerca generata dentro Gasworks. Tutti possono aggiungere un commento nel "comment section".

Mia Jankowicz: Attraverso l'Open Source sembra emergere un nuovo interesse rispetto alle nozioni letterarie pre-moderne dell'autorialità (se a quel punto "autore" è la parola giusta); si può affermare che la storia della stampa ci dice che la proprietà intellettuale ha prodotto "l'autore" come sottoprodotto del sistema di protezione del reddito del distributore. Prima di questo, l'attribuzione trasparente e l'eredità, almeno nella letteratura, non erano modi soltanto comuni ma anche naturali di dimostrare lo stato informato della propria opera. In questo senso, il disfare la figura tradizionale dell'autore non è necessariamente specifico delle applicazioni high-tech.
Sotto l'etica di FLOSS, anche coloro che producono opere individualmente create non possono asserire una piena autorialità - una delle fonti di Pipeline che Anna ha menzionato sopra è una citazione del filosofo Rodrigo Nunes: "Ogni volta che dici qualcosa senza accreditare qualcuno, stai facendo una citazione di tutto quello che hai sentito, pensato e visto." Questa affermazione butta il professionista fuori dalla torre d'avorio e lo sposta di nuovo dentro una rete quotidiana di influenza. Infatti, in questo modo, il sentimento protettivo autoriale è spesso citato come un gesto negativo, narcisistico o di chiusura.
Questa è tuttavia una posizione molto circoscritta; la reputazione individuale, nel mondo FLOSS quanto nell'arte, rimane un privilegio importante che spesso sostituisce la remunerazione finanziaria. Osservando ancora in termini storici, diventa chiaro anche il fatto che tale autorialità è una specie di territorio, che è stato per secoli il concetto e la riserva della borghesia bianca maschile. Mentre il discorso del FLOSS e dell'arte contemporanea comincia a disfare questa posizione, riproduce potenzialmente l'autore come uno spaventapasseri bianco maschio; e tuttavia coloro il cui lavoro è stato accettato solo recentemente in un canone di autorialità possono avere, prima di tutto, un rapporto completamente diverso rispetto al canone stesso. C'è spazio per una maggiore presenza di quello che il femminismo della seconda ondata può contribuire alla considerazione dell'autorialità nella metodologia FLOSS.

Marina Sorbello: Immagino che ha un significato più organico, come del fare parte di un processo che si compone di vari autori e diversi momenti e componenti.

Nella mostra "Same Democracy" abbiamo presentato anche lavori sulle economie informali e flessibili. Cosa ne pensi di quelle pratiche artistiche che pongono una riflessione sulle piccole economie alternative, individuali e collettive, come nuovi modelli sociali?

Marina Sorbello: Al giorno d'oggi il mestiere dell'artista è paradigmatico per la sua flessibilità - o precarietà che dir si voglia. Si basa su un'economia del desiderio e sul rischio: solo una piccola percentuale di artisti riesce a vivere decentemente del suo lavoro, e un risicatissimo numero di artisti vendono le loro opere a cifre da capogiro, tuttavia il numero degli aspiranti artisti è in ascesa costante. Lo stesso può dirsi dei curatori, di molti mestieri creativi e dei lavoratori della conoscenza. Il sistema dell'arte è un microcosmo in cui osservare le dinamiche dell'economia di mercato post capitalistica, ed elaborare idee, prospettive, visioni e interpretazioni sul presente e sul futuro della società contemporanea… Chi meglio degli artisti può osservare e riflettere sulle economie informali e alternative, ed eventualmente suggerire chiavi di lettura e scenari possibili?

Che cos'è Gasworks?

Anna Colin - Mia Jankowicz: Gasworks è nato nel 1994 ed è stato guidato da artisti fino al 1999. E' un'organizzazione artistica con sede a Londra che ospita studi artistici, un programma di mostre e di eventi, residenze di artisti, scambi internazionali e progetti educativi. Gasworks si concentra sulla pratica delle arti visive nel senso più ampio del termine, lavorando discorsivamente con artisti britannici ed internazionali per agevolare lo sviluppo del loro lavoro. Il programma si impegna a fornire un contesto per il lavoro di nuovi artisti e per quelli nel mezzo della loro carriera, e nella diffusione di pratiche critiche ad un pubblico più ampio.
Gasworks è anche parte del Triangle Arts Trust, una rete internazionale di artisti ed organizzazioni.

Parlaci dell'attività di Uqbar a Berlino, di cui sei fondatrice e curatrice, in relazione anche a queste nuove istanze dell'arte.

Marina Sorbello: Uqbar è formalmente un'associazione culturale no profit ed è anche uno spazio espositivo, sito nel quartiere Wedding a Berlino. Lo spazio è il risultato della cooperazione fra Dorothee Bienert, Dortje Drechsel, Antje Weitzel e me. Le decisioni vengono prese collegialmente e le attività dello spazio vengono concertate e prodotte insieme, in collaborazione con gli artisti invitati. Nella gestione dello spazio e dei progetti ognuna di noi collabora come può, mettendo a disposizione competenze specifiche, contatti, idee, lavoro materiale, e i risultati sono delle produzioni di Uqbar come collettivo. L'ultimo progetto che abbiamo ospitato e co-prodotto, "Manual CC", si basa sulla licenza copyleft Creative Commons. Il che non vuol dire che l'autore scompare, ma che l'utilizzo e la distribuzione dei materiali non è soggetto al diritto d'autore tradizionale che prevede che tutti i diritti sull'opera sono riservati. Il progetto è stato ideato dalle partecipanti a un corso di curatori della Università Jagiellonen di Cracovia, che hanno invitato una serie di artisti a creare delle istruzioni per giochi o azioni performative semplici da implementare su un foglio di formato A5. Uqbar si è dunque trasformato nella sede in cui il pubblico viene a provare i vari giochi. Secondo la licenza Creativa Commons il progetto può venire liberamente distribuito e riprodotto menzionandone l'origine. Così Uqbar ha lanciato una open call per nuovi manuali d'artista, cui hanno risposto circa 40 artisti, i cui manuali sono stati integrati nella mostra… Il numero di artisti invitati sommato a quelli che hanno risposto alla open call di Uqbar è arrivato a circa 110 partecipanti, e il progetto continua a crescere.

(traduzione dall'inglese dell'intervista a Anna Colin e Mia Jankowicz a cura di Janet Minichiello)

Marinella Paderni è critico d'arte contemporanea e curatore indipendente. È docente di Fenomenologia dell'Arte Contemporanea presso l'Accademia di Belle Arti "Carrara" di Bergamo. Ha collaborato come corrispondente con la rivista internazionale d'arte contemporanea "Tema Celeste" e con il quotidiano "Il Resto del Carlino".
I suoi studi sono rivolti soprattutto alle ricerche artistiche contemporanee che indagano il paesaggio, la città, le relazioni tra arte, architettura e fenomeni socioculturali. Ha curato mostre sui nuovi concetti di spazio, sulla rappresentazione del paesaggio contemporaneo come antropologia dello sguardo, sulla città come luogo dell'emergere di nuove istanze culturali e sociali. Più di recente si occupa delle nuove pratiche artistiche e curatoriali ispirate ai new media, alla postproduzione e soprattutto alle pratiche desunte dal modello dell'Open Source. Ha tenuto conferenze su tematiche relative alla fenomenologia della cultura contemporanea. Da anni segue le espressioni artistiche nelle ultime generazioni di artisti internazionali.

Elvira Vannini è storico dell'arte, critico e curatore indipendente. Vive e lavora a Bologna. Diplomata alla Scuola di Specializzazione in Storia dell'Arte Contemporanea, attualmente svolge un Dottorato di Ricerca in Storia dell'Arte presso l'Università degli studi Bologna. Autrice e co-conduttrice di uno spazio radiofonico dedicato all'arte contemporanea, trasmesso dalle frequenze di ''Radio Città del Capo'' - Popolare Network. Svolge attività critica e curatoriale indipendente. Collabora con testate specializzate, si occupa di recensioni, articoli e interviste, con particolare attenzione alle ultime generazioni di artisti italiani e internazionali. Ha pubblicato su Flash Art, Tema Celeste, Around Photography, Arte e Critica. Ha curato mostre personali e collettive in gallerie, spazi pubblici e situazioni no-profit, eventi performativi e articolazioni audiovideo. Riflette sulle relazioni tra pratiche artistiche, strategie di occupazione dello spazio pubblico e sistemi espositivi, alla luce delle trasformazioni sociali e urbane in una prospettiva geopolitica. Ha tenuto lectures in workshop, incontri e conferenze, sia nel corso di progetti espositivi che al Dipartimento Arti Visive dell'Università di Bologna, su aree di interesse interdisciplinare che vanno dagli studi curatoriali, alle pratiche del display, all'architettura e le fenomenologie del contemporaneo.

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IL PROGETTO SAME DEMOCRACY

Same Democracy e' stato strutturato come un display in progress di interventi artistici presso Neon>campobase a Bologna, con un feedback continuo e un aggiornamento in tempo reale che ha trasformato lo spazio espositivo in una postazione di ascolto e di osservazione di pratiche artistiche e curatoriali che attingono ai modelli dell'open source, delle economie flessibili e degli scambi tra comunità.
Gli artisti invitati a partecipare, si sono inseriti nel progetto con modalità diverse: alcuni, elaborando nuovi interventi site-specific, altri mostrando dei processi in corso, con l'esposizione di materiali eterogenei - siti web, slides, sequenze in movimento, video in un'apposita postazione di monitoraggio e visione, disegni, progetti, interventi sonori, elaborazioni grafiche e disegnative, lacerti documentari e prelievi linguistici di vario tipo. Altri lavori sono stati predisposti 'a distanza' attraverso una serie di istruzioni per l'uso che è poi servita a costruire l'opera in situ, il processo di allestimento è stato realizzato attraverso una condivisione di informazioni, in una co-curatorship, una collaborazione tra pratiche artistiche e curatoriali fatta di scambi e inferenze continue.
La mostra è strutturata in due volumi, la prima parte si è inaugurata sabato 19 aprile, la seconda giovedi' 22 maggio.

Artisti: Zbynek Baladràn, Fabrizio Basso+Strange&Alternative Team, Filippo Berta, Dafne Boggeri, Carolina Caycedo, Silvia Cini, Francesco Jodice & Richard Sympson, Domenico Antonio Mancini, Andrea Nacciarriti, Daniele Pario Perra, Maria Vittoria Perrelli, Julien Previeux, Tadej Pogaçar, Oliver Ressler, Stefano Romano, Stefanie Seibold, Ian Tweedy

I PROGETTI DI SAME DEMOCRACY VOLUME 1

Dafne Boggeri
Passaggio 03 24 zine

"Serie di zine (pubblicazioni indipendenti) da tutto il mondo selezionate dal mio archivio.
Il materiale, fruibile dal pubblico, è posizionato su un piano di consultazione coperto di fotocopie che ritraggono le cover delle zine impugnate da una mano che indossa un guanto bianco.
Musica, gender, manuali d.i.y., esperienze tradotte in storie fotografiche e disegni, contenuti differenti raccolti per creare un percorso aperto fra i generi in un ottica di ricerca e sperimentazione linguistica e visiva. Questa selezione di editoria minore o 'light' contiene spesso approfondimenti e intuizioni che il sistema editoriale ufficiale troppo spesso perde fra le trame ampie e bloccate della sua selezione."

Dafne Boggeri (Tortona, 1975) vive e lavora a Milano. Il background multiforme di Dafne Boggeri si traduce nella scelta di non scegliere un medium definito di espressione, ma di costruire un corpo di lavoro che utilizza indifferentemente la fotografia, il video, l'installazione, la performance e l'editoria indipendente. Il focus della ricerca è la riflessione ludica sull'identità pubblica e privata, sulle regole sociali e sulle dinamiche di interazione e di scambio.

Daniele Pario Perra
Economic Borders

La realtà multiforme delle economie informali, fenomeno collettivo su scala mondiale che in questi ultimi anni ha visto il dilagare spontaneo di pratiche alternative di sopravvivenza e di iniziative comuni economiche, è il campo d'indagine di Daniele Pario Perra, che va alla ricerca delle relazioni esistenti tra azione individuale, comportamenti collettivi e riflesso sociale.
Economic Borders è un lavoro fotografico e video iniziato nel 2003 di catalogazione dei venditori di strada attivi sulla costa orientale della Sicilia. Con il materiale raccolto - le fotografie dei "negozi" ambulanti, le interviste ai venditori e le riprese del lavoro - l'artista ha attuato un'azione di remapping di queste micro-economie spontanee e ai margini della società locale allo scopo di favorire la loro integrazione e la condivisione da parte del pubblico.

Daniele Pario Perra (Bologna,1969) vive e lavora tra Italia e Olanda. L'artista è impegnato da diversi anni in progetti d'arte e comunicazione centrati sulle relazioni tra i singoli individui e la società che compongono. Usa principalmente la fotografia, l'installazione e il video. Nelle performance relazionali a questi mezzi si affiancano spesso affissioni pubbliche, pubblicazioni editoriali e networking.

Julien Previeux
Lettere di non-motivazione, 2007

Otto anni fa, dopo aver cercato invano un impiego, Julien Prèvieux ha cominciato a rifiutare tutte le proposte di lavoro. Ha deciso di affrontare il problema: rifiutare l'impiego che comunque gli sarebbe stato rifiutato. Da allora, ha redatto e inviato più di 1000 lettere di non-motivazione in Francia e all'estero. Ha ricevuto circa il 5% delle risposte, in maggior parte risposte automatiche.
In mostra sono presentate una selezione delle lettere migliori, scelte tra quelle che hanno ricevuto le risposte delle aziende. In altre esposizioni Prèvieux ha esposto anche le lettere che non hanno ricevuto riscontro.
La lettera di motivazione è un gioco sociale di cui nessuno è vittima, un esercizio obbligatorio nel rituale dell'assunzione. Julien Prèvieux attua questo piccolo gioco impersonificando qualcuno che scrive delle vere lettere in risposta a delle offerte di lavoro che gli sono state indirizzate personalmente, e che, man mano, « impazzisce », finendo lui stesso per inviare delle lettere automatiche, come una macchina da scrivere che scrive ad altre macchine. La sua intenzione non è quella del "pastiche" o della caricatura ma tutto il contrario: ciascuno dei personaggi che incarna di volta in volta, lascia apparire con un linguaggio schietto questo gioco sociale per quello che è - un gioco fittizio, menzognero e in definitiva di un'incredibile violenza. Si comprende che la lettera di motivazione, con la quale si presume che il candidato debba offrirsi, esprimere la sua personalità e i suoi desideri, nella maggior parte dei casi non sarà nemmeno letta prima di essere cestinata. In questo senso, la lettera di motivazione appare come la messa in scena dell'inferiorità del richiedente e di tutto il potere dell'azienda offerente.
E' un esercizio imposto della falsità, della menzogna e dell'umiliazione che le lettere qui raggruppate, nelle loro forme varie, proliferanti, spesso strambe e sempre ostinate, mandano in cortocircuito.
Al posto di « lavorare di più » per vivere meno, questa lettera di non-motivazione c'insegna di nuovo qualcosa di fondamentale. Ritrovare questa capacità, piacevole e liberatrice, di rispondere no.

Domenico Antonio Mancini
I want your list, 2008

I want your list è una campagna di pensiero sulla "Torture playlist", la lista di canzoni utilizzate dai carcerieri di Guantanamo per la privazione del sonno, tecnica di tortura tesa ad abbassare la reattività dei prigionieri talebani "ospiti" della base. Che sia compiuta da un soldato o da un semplice impiegato, da un artista o da un musicista, l'azione di selezionare le canzoni per la playlist è la stessa. Quale sia lo scopo dell'ascolto, oppure il motivo che spinge all'azione non cambia la natura del gesto che seleziona e accorpa. In sè il gesto di creare playlist non ha nè natura di crimine nè di divertimento: il significato è nell'uso che se ne fa. La privazione del sonno produce stati psichici alterati, abbassa le soglie dell'inibizione, produce quella piacevole sensazione in chi balla e si diverte, che lo costringe a scatenarsi senza sosta al centro della folla fino all'esaurirsi della musica. Quella stessa sensazione di resistenza alla stanchezza potrebbe anche essere una tortura. Quella stessa sensazione di abbandono al sonno, impossibilitato dalla calca della pista, dalla musica al massimo volume, dalla tua canzone preferita che parte, potrebbe anche diventare una tortura se il tuo corpo proprio in quel momento sentisse di dover dormire dopo esser stato sottoposto allo stesso trattamento per giorni, mesi… ma la musica continua, e il sonno, ormai, è passato. Lo stato di privazione del sonno è il medesimo tanto nei rave party che nelle feste domestiche, ed anche a Guantanamo la musica è la stessa. Dalla disco alla hardcore, dal rap alla sinfonica, la musica è lo strumento per restare -e far restare- svegli in una festa che dura vari giorni oppure in una prigionia che non si sa quanto durerà.
Partecipare al progetto significa pensare alla "Torture Playlist" ed immaginarne di nuove e personali. Questo blog diventerà il contenitore di tutti i materiali pervenuti e la sera del 19 aprile tutte le Playlist raccolte verranno suonate, in occasione dell'inaugurazione di Same Democracy, presso la galleria Neon campobase. Per festeggiare insieme la libertà e la dignità di ogni essere umano.

Ian Tweedy
La "big depression" americana (la caduta dello stock market e economia americano negli anni 30). History repeats itself

Ian Tweedy (1982) vive e lavora a Milano. Nato in una base americana in Germania, l'artista di origini statunitensi ha abitato in diverse città europee. Questa temporaneità culturale lo ha privato del sentimento di nazionalità, di appartenenza, obbligandolo ad adattarsi di volta in volta alle diverse culture dei luoghi. Una pratica dell'adattamento trasferita anche nel suo operare artistico, che gioca un ruolo importante nel suo lavoro e nella sua vita, tanto che l'artista l'ha indirizzata a suo vantaggio nella creazione di opere e interventi site specific. Attualmente l'artista interviene soprattutto su documenti preesistenti del passato - come mappe della Guerra Fredda, copertine di libri e pagine strappate dalle loro rilegature - preferendo lavorare su materiali che hanno una storia e che sono passati da varie mani prima di arrivare alle sue. Contemporaneamente porta avanti il lavoro sulle strade delle città e sugli spazi pubblici, legali o illegali, come "muralist" raffigurando immagini sociali prelevate dalla storia, ritratti di società prestati da vecchie, famose riviste come "Life" e "Panorama". Da hacker della storia inventa la sua personale "macchina del tempo", un cross over di tempo e spazio con associazioni di geografie e identità.

Andrea Nacciarriti
Pagesource "the.open.source.project"

PAGESOURCE è un progetto che rappresenta e mette assieme due aspetti centrali dell'open source: le infinite risorse umane che possono essere coinvolte in un progetto e l'apparente irrazionalità con cui tali risorse convergono verso un unico scopo. Sviluppare un contenuto.
L'opera si costruisce attraverso l'apporto di ognuno di voi, a ciascuno viene chiesto di strappare una o più pagine di un libro, senza vincoli tematici o di genere, e di spedirle in maniera che possano essere raccolte in un unico grande collage letterario, consultabile e costantemente aperto a successive *invasioni cartacee*. L'intervento consiste nel raccogliere le pagine in viaggio e comporne un libro inverosimile, che non ha inizio e fine, che contiene frammenti di esperienze, illusioni, rapporti, parole, a cui ad ognuno è permesso di accedere e continuare a dare il proprio contributo.

Un libro aperto….

Le pagine inviate e pervenute prima del 18 maggio 2008 saranno esposte per la prima volta a Bologna in occasione di *Same Democracy*. Se per quella data non sarete riusciti continuate comunque ad inviare pagine. Il libro rimane aperto….

Andrea Nacciarriti (Ostra Vetere, 1976) vive e lavora attualmente a Senigallia. I lavori dell'artista nascono sempre in stretta relazione con un determinato contesto, sono dialettici rispetto ad un luogo e alle realtà in esso presenti e modificano lo spazio attraverso interventi e segni che lo qualificano profondamente. Interventi effimeri che in qualche modo ripetono le continue trasformazioni dell'ambiente, che solo apparentemente rimane sempre lo stesso; ogni volta diversi perchè prendono la loro ragione d'essere da una situazione particolare.

Oliver Ressler
This is what democracy looks like!

Nel 2001 Oliver Ressler partecipò alla manifestazione pacifica organizzata a Salisburgo in occasione del World Economic Forum. Dopo la manifestazione di Goteborg in occasione del Summit G 8, quella di Salisburgo fu la seconda marcia pubblica a partecipazione mondiale per protestare contro le politiche concordate da quei centri di potere forti che decidono i destini dell'umanità in materia di economia, sviluppo, ambiente, sicurezza.
Nel suo video This is what democracy looks like! (2002), Ressler mostra la realtà di questa manifestazione che fu bloccata, e poi strumentalizzata mediaticamente, dalla polizia e dai potenti del summit. Durante la marcia la gente fu accerchiata in zone e tenuta in ostaggio per evitare che potessero arrivare al luogo dove si teneva il forum.
Con questo lavoro di critica al capitalismo globalizzato e alle false democrazie, Ressler offre uno sguardo lucido non solo sulla violazione dei diritti ma anche sul fenomeno dell'azione collettiva, della partecipazione autonoma di massa in nome di un progetto culturale comune, sorto spontaneamente in tutto il mondo in quegli anni grazie anche alla comunicazione open source.

Oliver Ressler (Austria,1970) vive e lavora a Vienna. L'artista organizza mostre "theme-specific", progetti in spazi pubblici e video su temi quali il razzismo, l'ingegneria genetica, il capitalismo globale, forme di resistenza e alternative sociali. Il suo progetto in divenire "Economie alternative, società alternative" è stato realizzato ben 21 volte, tra cui si annoverano le personali presso la Galerija Skuc, Ljubljana, 2003; il Kunstraum Lueneburg, Germania, 2004; il Centro Cultural Conde Duque, MediaLabMadrid, Madrid, 2004; il Platform Garanti Contemporary Art Center, Istanbul, 2005; il Museum of Contemporary Art Belgrade, 2005.

Zbynek Baladran
Constructivist Model Tower, 2006, videoinstallazione, 4'17

Già da diversi anni, i video di Zbyněk Baladrán trattano principalmente il tema della registrazione del tempo, della sua interpretazione, con il sussidio di metodi definiti "archeologici" con i quali l'artista riesce a demarcare certi ambiti archeologici entro cui inscrivere il suo lavoro. Il punto di partenza delle sue interpretazioni è da ricercare nei frammenti della memoria collettiva e individuale, ritrovati in particolari ambiti culturali (la fotografia, il cinema, la letteratura, …) che lui poi trasferisce e aggiorna in nuove configurazioni.
In questo video Baladrán documenta la creazione di un modello di una torre liberamente ispirato alla visione utopista della famosa Torre Costruttivista di Tatlin. Per realizzarla l'artista utilizza vecchi libri di vario genere come materiale da costruzione, impilandoli e annotando l'altezza del dorso di ogni libro secondo la proporzione di 1:50. Il concetto originale della Torre Costruttivista come modello utopico è orientata nel futuro; la torre di Baladrán compone insieme frammenti del passato (libri) producendo una forma finale nella quale il passato futuro incontra il presente passato.

Zbynek Baladran (Praga, 1973) è artista e organizzatore con base a Praga, nella Repubblica Ceca. E' stato uno dei co-fondatori di Prague Display gallery e di Tranzitdisplay gallery, spazi per l'arte contemporanea internazionale che presentarono la sua prima mostra nel 2001. Dal 2007 collabora con il teorico Vit Havranek al progetto "Moument to transformation" che si occupa delle trasformazioni della società negli ultimi trent'anni.

Franceso Jodice & Richard Simpson
Progetto radiofonico "The Chaos Theory", 2008

The Chaos Theory è un Archivio che accumula Documenti cartacei della nostra storia recente a cominciare dalla Seconda Guerra Mondiale. L'Archivio raccoglie in modo asistematico ed in forma di brevi notizie scritte, report, documenti dell'intelligence, brani di discorsi presidenziali, informazioni apparse in rete ed altro, riguardanti fatti eclatanti o oscuri provenienti da ogni paese di diverse geografie politiche. L'archivio però include anche notizie di fanta-politica tratte da romanzi, proiezioni e ipotesi di scenari futuri, videogiochi, film mai realmente accadute.
I documenti esposti sono presentati nella loro trascrizione e integrità originale ma oscurano la loro fonte d'origine, di modo che è impossibile distinguere i documenti veritieri dalle informazioni false, inventate o provenienti da fonti non documentate. L'Archivio investiga la crisi dell'informazione e la necessità del sospetto verso qualsiasi notizia riguardante la nostra geopolitica.
The Chaos Theory è un invito a dubitare delle fonti e ad investigare e costruire noi stessi l'accesso alla conoscenza (access to knowledge).

Same Democracy
Pratiche artistiche e curatoriali nell'era dell'open source culture
opening volume 1: sabato 19 aprile
opening volume 2: giovedi' 22 maggio
fino all'11 giugno 2008
neoncampobase
Via Zanardi, 2 Bologna

Per saperne di più:

Il comunicato stampa
www.trianglearts.org
www.gasworks.org.uk
gasworks.org.uk
uqbar-ev.de

Immagini:

Anna Colin, "Disclosures"
Anna Colin, "Seminario Disclosures"
Dafne Boggeri, Passaggio 03 24 Zine, installazione
Daniele Pario Perra, Economic Borders
Julien Previeux, Lettere di non-motivazione, veduta dell'allestimento
Dafne Boggeri - Julien Previeux, veduta dell'allestimento
Domenico Antonio Mancini, I want your list, installazione
Domenico Antonio Mancini, I want your list, manifesto del progetto
Ian Tweedy,Murales
Andrea Nacciarriti, Pagesource "the.open.source.project", istruzioni per l'uso
Oliver Ressler, This is what democracy looks like! video (2002)
Zbynek Baladran, Constructivist Model Tower, 2006, videoinstallazione
Franceso Jodice & Richard Simpson, Progetto radiofonico "The Chaos Theory", 2008
Vista parziale della mostra


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