Attraversare le contingenze allargando le prospettive

01/07/2008
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street art 3.0

Si può chiamare street art, urban art, art activism o abusivismo artistico, ha una storia e molti sviluppi, tanti ne parlano, nessuno può rinchiuderla in 2 parole nè fra 4 muri. Di sicuro ha bisogno di spazio e molto spesso di un buio complice per poter apparire all'improvviso una mattina. Con un grosso bagaglio di quesiti Giovanna Tonelli si è rivolta a due curatori, Lorenzo Giusti e Stefano Questioli, che fra i primi in Italia si sono occupati di questi artisti. In questa prima parte risponde Lorenzo Giusti



 

Che si chiami street art, urban art o art activism poco importa. I galleristi e i collezionisti da qualche tempo ne sono golosi. C’è chi ne approfitta e si affretta a svendersi al mercato dell’arte pur di guadagnare qualche soldo e un po’ di fama, chi invece non si fa imbambolare dai luccichii e resta fedele alla propria ricerca. Rinchiudersi all’interno delle quattro pareti, per la street art significa morire o quantomeno snaturarsi. È un’arte nata per strada, che in strada deve rimanere. Abusivismo, transitorietà, libertà e comunicazione universale sono le sue parole d’ordine.

La sua precarietà e la brevità della fruizione rendono viva, umana e mortale la street art. Il pezzo nato per strada, che agli occhi del cittadino appare sui muri all’improvviso, inaspettato, contiene un fascino misterioso. Proprio come i murales di Blu ed Ericailcane comparsi qualche tempo fa a Prato, sul muro di un vecchio capannone. La loro collaborazione crea un vivace dialogo tra due linguaggi che si completano aggiungendo una riflessione ironica al mondo. Le creaturine di Ericailcane costituiscono una risposta agli alieni di Blu che si aprono come una cassa del tesoro per mostrare il proprio interno al cittadino, permettendogli di rispecchiarsi in quel microcosmo.

I lavori di Blu si contano numerosi in tutta Europa e sono stati da poco il tema di una presentazione durante un seminario sulla street art presso la Humboldt Universität di Berlino. Dalla presentazione sarà ricavato un elaborato che intende approfondire e analizzare il percorso dell’artista nella scena italiana e internazionale.

Si può portare all’interno di una galleria un’arte così legata allo spazio urbano? Qual è il ruolo dei curatori? Qual è il modo migliore per avvicinarsi a questo tipo di arte? Quali sono le regole del gioco? Con questi quesiti mi sono rivolta a due curatori, Lorenzo Giusti e Stefano Questioli, che fra i primi in Italia hanno aperto gli occhi su alcuni artisti come Blu che oggi ha fama internazionale dopo la mostra alla Tate Modern.

Giovanna Tonelli

 

Il video, girato con una telecamera a infrarossi, che documenta l'esecuzione di uno dei tre lavori illegali di Blu ed Ericailcane.

Regia e montaggio: Lorenzo Fonda. Produzione: Spaziorazmataz 2007

 

Intervista a Lorenzo Giusti

 

A cura di Giovanna Tonelli

 

 

Quando hai iniziato ad occuparti di Street art? Una passione coltivata da anni o un’occasione capitata per caso?

 

Direi la constatazione di un’evidenza; la presa di coscienza di un fenomeno globale e significativo. Molte delle cose che vedevo per strada (graffiti, dipinti, stickers, stencil) mi sembravano di gran lunga più efficaci e comunicative delle opere che ero solito frequentare nelle gallerie e nei musei. La scoperta del lavoro di Banksy, l’amicizia con Stefano Questioli e l’incontro con Blu ed Ericailcane hanno fatto il resto.

 

Quali eventi di street art hai curato?

 

Posso dire di essere stato promotore di un unico evento realmente riconducibile ad una prassi operativa di tipo abusivo, componente che ritengo imprescindibile nella determinazione degli elementi distintivi della cosiddetta “street art”. Faccio riferimento alla mostra di Blu ed Ericailcane curata, insieme a Stefano Questioli, per Spaziorazmataz a Prato. In quella occasione abbiamo chiesto ai due artisti di realizzare tre grandi pitture murali illegali in una zona dismessa della città non lontana dal centro storico. In galleria abbiamo esposto tre video, realizzati da Lorenzo Fonda con una telecamera a raggi infrarossi, che documentavano la realizzazione di questi lavori. L'intento era quello di ricostruire le condizioni d'esistenza di un'arte che, per sua natura, deve vivere inequivocabilmente al di fuori dello spazio chiuso. Diversamente da altre esperienze di mediazione tra street art e spazio espositivo che nascevano in quel momento, abbiamo tentato di corrompere il meno possibile le pratiche costitutive di questo filone della ricerca contemporanea. In altre parole abbiamo cercato di essere filologicamente corretti, assumendoci i rischi che un’operazione di questo tipo può comportare.

Con Blu ed Ericailcane ho collaborato anche per altri eventi, come la Biennale Giovani di Monza del 2007, la mostra “Drawings in action” al Centro Pecci di Prato o ancora la mostra “Drawing Out”, alla galleria Biagiotti di Firenze. Si è trattato tuttavia di occasioni in cui non si è guardato tanto all’attività di Blu ed Ericailcane come artisti street, quanto alla loro produzione parallela, che si svolge perlopiù nei campi del disegno, del disegno animato e dell’animazione in generale

 

Cosa caratterizza questa "moderna street art di terza generazione"?

 

Ho parlato di “terza generazione” per distinguere le pratiche attuali dal primo graffitismo neyorkese di fine anni '60 - espressosi principalmente all’interno del campo del writing - e dal secondo graffitismo, più popolare e aperto alla figurazione, di Haring, Basquiat, Rammellzee, Daze, A-One, Futura 2000... Da un punto di vista operativo, ciò che distingue la street art dal graffitismo “tradizionale” sono le tecniche utilizzate, non più vincolate all’uso della vernice spray. Alla varietà delle tecniche utilizzate corrisponde una varietà di approcci diversi da parte dei singoli artisti. Personalmente sono maggiormente interessato al lavoro di quegli artisti che affrontano il lavoro in strada come strumento di critica sociale o di attivismo culturale. Questo atteggiamento è generalmente diffuso, ma non sono molti, a mio avviso, coloro che sono riusciti ad elaborare una concreta ed efficace strategia comunicativa.

Gli artisti che operano oggi con maggiore coscienza nell’ambito urbano sembrano dialogare più con il situazionismo debordiano che con il graffitismo. Qualcuno ha parlato di “post-graffitismo”, riconducendo le nuove pratiche urbane all’interno di un’ottica postmoderna. Personalmente, sulla scia delle prime riflessioni di Stefano Questioli, preferisco parlare di “abusivismo artistico”, nel tentativo di individuare nelle complessità delle pratiche della street art, elementi di radicalismo e di novità, piuttosto che fattori di continuità con il passato.

 

Cosa distingue la street art italiana da quella degli altri paesi europei ed extraeuropei?

 

Tentare di individuare peculiarità distintive nel quadro della street art italiana credo sia forviante e di scarso interesse. La globalizzazione agisce su un campo allargato che certamente non esclude, anzi caratterizza fortemente, l’ambito della street art. Ciononostante si può forse individuare una particolarità relativa al panorama italiano nella presenza sul territorio di pittori di grande talento operativi sul piano urbano, artisti che, tra i primi nel mondo, hanno abbandonato la bomboletta spray per il pennello, riscoprendo il potere evocativo dell’immaginazione rispetto al limitato apparato iconografico - fatto di scritte, marchi, stencil, immagini pop - della tradizione graffitista.

 

Puoi citare alcuni nomi che, secondo te, sono rappresentativi della scena italiana?

 

Il panorama italiano è ampio e complesso. Stimo molto il lavoro di Microbo, Bo130, Dem, Run e Joys. Ognuno a suo modo, questi artisti hanno saputo elaborare un proprio stile, un proprio linguaggio. I più rappresentativi rimangono tuttavia, a mio avviso, Blu ed Ericailcane. Entrambi hanno dato vita, attraverso l’utilizzo di diversi media (disegno, pittura murale, animazione) ad una nuova forma di opera d’arte totale, che ha messo in discussione, da un punto di vista sia strategico che formale, alcuni dei fondamenti del tradizionale graffitismo, mantenendone tuttavia intatto l’intrinseco carattere di contestazione. Entrambi sono pittori di strada, tuttavia la loro opera sembra mostrare maggiori debiti verso il situazionismo debordiano -nella sua tensione verso una nuova forma di urbanismo unitario, inteso come ambiente spaziale alternativo dove l’arte integrale possa realizzarsi- piuttosto che verso il muralismo messicano (altro precedente fondamentale) di cui pure recupera l’aspetto contenutistico e la vocazione sociale.

 

Si sente ancora molto il legame con i graffiti? Oppure la street art italiana ha assunto ormai una connotazione autonoma?

 

Ci sono opere, come quelle di Blu, che esulano da ogni tentativo di classificazione di genere, di stile o di indirizzo. Nel caso di Blu parlare di graffitismo, di street art o di muralismo risulta limitativo e forviante. Ognuna di queste categorie ha in qualche modo a che fare con il suo lavoro e allo stesso tempo se ne discosta in virtù di una serie di elementi originali, riconducibili ad una nuova tipologia di abusivismo artistico aggiornato ai modi, ai tempi e ai temi della globalizzazione. Detto questo, i debiti verso il graffitismo non si possono negare. In alcuni artisti questo debito diventa però limitante.

 

Si sta discutendo molto sul trasferimento della street art all'interno di spazi chiusi che potrebbero togliere il fascino ad un’arte nata per strada. Tu cosa ne pensi?

 

Ho già raccontato il modo con cui è stata organizzata la mostra di Blu ed Ericailcane allo Spaziorazmataz. Credo che quello sia un modo corretto per affrontare la questione. Fuori dal contesto in cui nasce, la street art non esiste. All’interno di gallerie e musei le opere vanno analizzate per quello che sono: pitture, disegni, sculture, installazioni. In questo contesto il richiamo alle pratiche urbane diventa solo evocativo.

 

Puoi citare i luoghi espositivi più importanti, galleristi e curatori che in Italia si occupano di street art?

 

La cosiddetta “street art”, se intesa in termini di abusivismo artistico, come ritengo auspicabile, non richiede “curatori”. L’artista agisce in piena indipendenza individuando autonomamente luoghi e tempi di intervento. Il discorso cambia quando i lavori sono commissionati. In quel caso l’intervento del curatore è auspicabile, ma dobbiamo capire che le dinamiche creative cambiano radicalmente, e con esse anche la poetica dell’intervento. In questo caso possiamo comunque parlare di Street art? Non lo so. Certamente non possiamo parlare di abusivismo. Se il termine non fosse già storicizzato, tenderei a parlare di muralismo.

In Italia sono molti coloro che si sono occupati di street art da un punto di vista organizzativo, meno coloro che hanno affrontato l’argomento da un punto di vista teorico, tra questi vorrei citare Stefano Questioli e Fabiola Naldi.

Attualmente in Italia sono molte le gallerie che espongono opere di artisti nati sulla scena street. Quante di loro aiutino concretamente i propri artisti a persistere nella ricerca in strada non saprei dirlo, ma credo siano molto poche.

 

Quanto è politicamente impegnata la street art italiana?

 

Direi al pari di quella inglese, francese, argentina, spagnola... Non credo si possa dare una risposta univoca a questa domanda; dovremmo analizzare caso per caso il lavoro di ogni singolo artista.

 

Si possono distinguere dei filoni, o scuole di stile?

 

Si potrebbero individuare differenti filoni in relazione alle tecniche utilizzate. Questo tipo di operazione è tanto semplice quanto poco significativa. Diverso è il discorso sulle poetiche: vi sono artisti che agiscono su un piano concettuale, altri che utilizzano un linguaggio simbolico, altri che sfruttano i linguaggi della pubblicità ribaltandone i significati primari, altri ancora che sviluppano una ricerca di tipo più formale. Il quadro è molto complesso, tanto quanto quello dell’arte contemporanea in generale

Blu, Spaziorazmataz, Prato 2007

 

Ci sono stati degli eventi importanti che hanno segnato lo sviluppo della scena street in Italia (esposizioni, festival, contestazioni, problemi con la polizia...)?

 

Oggi sono molti i festival di street art in Italia più o meno validi. Uno dei migliori è certamente “Icone”, organizzato dall’associazione culturale "Fuori Orario" di Modena.

Nonostante le profonde contraddizioni intrinseche, la mostra Street Art Sweet Art, curata da Alessandro Riva al Pac di Milano è servita a far conoscere alcuni nomi di riferimento al grande pubblico dell’arte. Purtroppo quella stessa mostra ha innescato una serie di meccanismi perversi che hanno portato molti artisti ad interrompere la propria ricerca in ambito urbano.

Tra gli episodi di ordine pubblico, gravissimo è stato quello del 26 marzo 2006 che ha portato un agente della squadra anti-writer di Como a sparare, non si sa ancora se in maniera accidentale o volontariamente, al giovane Rumesh Rajgama Achrige. Originario dello Sri Lanka, questo ragazzo di 19 anni è andato in coma in seguito al colpo. L’episodio ha contribuito a rendere più forte, in molti artisti, il senso di coesione e di fratellanza.

 

Per riuscire a dare una forma cronologica allo sviluppo della street art italiana. Se ti chiedessi quando è iniziata?

 

Direi nello stesso momento in cui è nata la street art internazionale, cioè dal momento in cui si è potuto iniziare a condividere le esperienze di abusivismo artistico attraverso Internet. Credo si possa affermare che la street art nasce con il web. Una vera e propria esplosione del fenomeno, però, si è avuta soltanto in seguito al successo di Banksy, ovvero nei primi anni del 2000.

 

Gli attivisti hanno solitamente una cultura artistica, conoscono e frequentano musei e gallerie? (per riuscire a capire fino a che punto i collegamenti che vengono fatti dagli storici dell'arte hanno un fondamento o se sono azzardati).

 

Relativamente alla cultura visiva degli street artisti, alcuni di loro provengono dalle Accademie, quindi hanno una generica conoscenza della storia dell’arte. Altri si sono formati come grafici. In questo caso la cultura visiva è di tipo diverso e spazia dai fumetti ai cartoons, dalla grafica pubblicitaria al web.

 

C'è un articolo della costituzione che rappresenta il nemico n° 1 per gli artisti di ambito street?

 

A buon senso direi l’articolo 42: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Più che di un nemico, tuttavia, parlerei di un complice.

Alcuni critici qui in Germania non sono d'accordo nel chiamare l'arte di cui abbiamo parlato finora “Street Art”, ma preferiscono termini come Urban Art o Graffiti Art. Che cosa pensi in proposito?

 

Mi piace, come ho già detto, il concetto di “arte abusiva”. L’utilizzo di questa formula eleva la cosiddetta “street art” ad un livello più alto, svincolandola dal trend modaiolo in cui è caduta nell’ultimo periodo.

 

Sono stati organizzati simposi sulla nuova arte di strada? Conferenze o incontri per discussioni?

 

Molto è stato detto, molto è stato scritto, ma non mi risulta che in Italia ci siano stati eventi di rilievo.

 

 

 

Comunicato stampa della mostra "Street Art". Alla Tate Modern di Londra fino al 5 agosto

 

Comunicato stampa della mostra Ericailcane + Blu allo Spaziorazmataz di Prato

 

http://www.ericailcane.org

 

http://www.blublu.org

 

 

 

Giovanna Tonelli è laureata in Storia dell’Arte all’Università di Firenze. Attualmente frequenta un Master in storia dell’arte alla Humboldt Universitaet di Berlino

 

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