Attraversare le contingenze allargando le prospettive

16/07/2008
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Tabula Rasa

Coraggio e amore, sentimenti e passioni, sono termini che ricorrono nel discorso e nell'approccio alle tematiche di Denis Isaia. "Il focus e' sui contenuti umani di cui condividiamo le forme di confronto con la vita e il senso del tempo" dice motivando gli inviti a Tabula Rasa. Isaia, che assiste i Raqs nella curatela della mostra "The rest of now", ha sviluppato un progetto nel progetto che portera' per 111 giorni le piu' varie istanze all'interno di Manifesta7: un continuo flusso di eventi effimeri che lasceranno solo una traccia impressa nella memoria dei partecipanti.



Tabula Rasa, Stanza 124: Vista dello spazio originario. Immagine di Shuddhabrata Sengupta


Tabula Rasa, Stanza 124: Work in progress nella Stanza 124. Immagine di Shuddhabrata Sengupta


Tabula Rasa, Schizzo del progetto per Tabula Rasa, di Nikolaus Hirsch e Michel Muller. Immagine di Nikolaus Hirsch e Michel Muller


Tabula Rasa, Schizzo del progetto per Tabula Rasa, di Nikolaus Hirsch e Michel Muller. Immagine di Nikolaus Hirsch e Michel Muller


Istituto per Tecnologie Innovative, progetto selezionato per la riconversione di Alumix e dell'area industriale circostante, degli artisti britannici John Norman e Leslie Oldridge. Immagine di Andrea Pozza


The Miracle Metal - Memorie dell'Alluminio: La Moka Bialetti รจ un'icona del boom metallurgico italiano


Intervista a Denis Isaia

A cura di Elvira Vannini

Prima domanda che ho rivolto anche ai Raqs, di cui sei assistente curatore: le cosiddette Biennali post-coloniali e le manifestazioni internazionali che proliferano in tutto il mondo in modo esponenziale, pensi che abbiamo cambiato il format espositivo?

In un secolo, fra il 1895, data di fondazione della Biennale di Venezia e il 1990 sono 13 le grandi manifestazioni a cadenza regolare che aprono le porte. Dal 1990 ai nostri giorni sono oltre 40. Lo stesso discorso vale per le fiere d'arte, ma anche per i festival o più banalmente le sagre. Questo aumento esponenziale non mi pare però aver cambiato la formula espositiva: la società degli eventi si serve dell'evento per la capacità che lo stesso ha di attirare molto pubblico in un lasso di tempo ridotto, la forma però rimane quella della mostra. D'altro canto credo sia solo una questione di tempo, presto vedremo modelli che hanno forme di processualità più elevata.

Manifesta, che è una biennale nomade, itinerante, come si relaziona con i contesti che la ospitano?

Ci sono due livelli di interazione, il primo e il più affascinante è quello insito nella progettualità originaria di Manifesta. Ogni volta che si sposta Manifesta reinventa non solo le mostre, ma anche la sua stessa struttura coinvolgendo direttamente risorse umane locali. Tutto è ripensato da capo: nuovi sono gli uffici, nuovi sono i coordinatori, nuovi i partner con cui confrontarsi. Da questo punto di vista l'interazione è formativa: tutti sono chiamati ad una responsabilità internazionale.
Il secondo livello è quello che insiste sul rapporto fra il territorio e la curatela. I curatori sono spesso attirati dalla prospettiva della mostra geografica, ove per geografia non si intende l'esposizione degli artisti di un'area, ma l'interpretazione stessa del territorio ospitante attraverso una mostra. Tale prospettiva, se può sembrare intrigante è spesso il risultato di una non idea, ha più a che fare con il turismo o con il marketing che con la ricerca vera e propria e troppo spesso diviene un pretesto, una sorta di palco per marionette in cui non si sa bene se la marionetta è l'artista o il territorio.

Il dibattito artistico degli ultimi anni si è sviluppato soprattutto attraverso la produzione di mostre su scala globale, che a tratti hanno assunto un ruolo egemonico: pensi che le biennali d'arte e le manifestazioni internazionali abbiano ambizioni geopolitiche? Quali scenari culturali tracciano?

In molti casi per svariate ragioni stanno promuovendo un mondo globale. Credo che viste dall'alto le grandi mostre a cadenza regolare facciano parte di questo processo emancipativo. Il problema dunque si sposta sui singoli processi/eventi e sui rischi che gli stessi intendono prendere in termini di partecipazione democratica alla stessa emancipazione.

Qual'è finora l'impatto di Manifesta nel territorio?

L'impatto per il momento è formativo, quando la mostra aprirà penso che ci siano tutte le potenzialità per parlare al pubblico con lo stesso affetto.

Mi racconti di Tabula Rasa: 111 days on a long table, progetto speciale di Manifesta 7 all'interno di The Rest of Now. Cosa focalizza? Qual'è il concept del tuo progetto curatoriale?

L'idea da cui siamo partiti con i Raqs è quella di cercare il confronto e le affinità fra i concetti in mostra e il territorio. Le domande che ci siamo posti sono: quali sono i confini della mostra, fino a dove si possono spostare? E ancora, forze del quotidiano rispondono al concetto? Come rispondono? Con quale livello di coscienza? C'è un modo per metter in evidenza pratiche che si crede siano particolarmente positive?
Per fare questo abbiamo costruito un lungo tavolo. Quello è il vincolo che può a creare nuove attenzioni. Succede spesso che cambiando il focus nascono relazioni differenti. Ad esempio con uno scultore di Bolzano ci siamo chiesti quale era l modo migliore per esporre le sue opere sul tavolo e dopo un po' ci siamo accorti che erano oggetti fatti per essere presi dal tavolo e maneggiati. Non sono cambiate le opere, piuttosto è cambiato il tipo di rapporto che si vuole suggerire con gli oggetti o i concetti.

Come si svilupperà nei 111 giorni, con quali modalità?


Sono circa 30 eventi in 111 giorni. Le cose sono piuttosto animate, per restare solo ai giorni dell'inaugurazione si partirà con un evento mediatico sul futuro dell'edificio che oltre ad essere un problema proprio dei locali è una grande questione europea. Come le vecchie fabbriche, che erano oggetti preziosi della comunità, vengono restituite alla stessa? Risponderanno alla domanda alcuni architetti come David Adjaye o Nikolaus Hirs. L'obiettivo è di lanciare un dibattito pubblico su un bene che fino a qualche anno fa raccoglieva quotidianamente oltre mille persone. Qual'è dunque la qualità del nostro sogno contemporaneo? Cosa significa progettare il futuro oggi in Europa? Quali sono i modelli che ci piacciono? Poi avremo una conferenza sull'alluminio, uno dei sogni della modernità, di Jeffrey Shapp e infine un workshop sulla distribuzione della cultura in rete.

Com'è il rapporto con i Raqs? Qual'è la tua esperienza nel collaborare con una delle tre unità curatoriali?

Coraggio e amore, si può dire?

Ci sono dei processi di trasformazione sociale e storica a cui corrispondono nuove forme d'arte: collettivi, autorialità multipla, pratiche del dialogo, osservazione del territorio, soggettività politica, diverse strategie di definizione dello spazio pubblico, ecc. Che ne pensi? Come si pone in questi termini il tuo progetto?

Con Tabula Rasa siamo interessati ad attivare delle riflessioni che siano poetiche e realistiche allo stesso tempo. Il focus è dunque sui contenuti umani di cui condividiamo le forme di confronto con la vita e il senso del tempo. Da questo punto di vista, nessuna utopia è in atto se non quella di una conoscenza che sia effettivamente complessa.

Credi che Tabula Rasa possa rispondere all'emergenza di nuovi formati culturali transdisciplinari? E al dissolvimento dei ruoli nell'arte contemporanea (fenomeno del blurring tra curatori performativi e artisti curatori, ecc.)

Il fenomeno di cui parli mi sembra l'unico che lasci aperte le porte alla possibilità di continuare a produrre processi culturali incisivi. Molti degli "artisti" invitati non sono artisti nella loro vita quotidiana, abbiamo un matematico, un esperto di scienza cognitiva, architetti, musicisti, storici della cultura, ma anche appassionati bricoleur. Con tutti è stato condiviso il progetto con l'obiettivo di evidenziare la parte più artistica delle pratiche che portano avanti.

 

Credi possano esistere diverse forme e pratiche di lavoro curatoriale alternative alla mostra tradizionale e che lo spazio del curatore possa inserirsi all'interno dei processi artistici in modo sperimentale attivando nuove piattaforme per la cultura in generale?

È quello che personalmente mi attrae di più. Il mercato e il ruolo dell'arte contemporanea nella società degli eventi hanno spostato il focus dall'oggetto culturale all'oggetto d'arte. In questo progressivo passaggio di testimone fra diverse sfere di realtà, il curatore mi sembra la figura che - per la libertà di azione che gli è riconosciuta e la naturale mobilità fra ruoli e dimensioni culturali - più di altre è in grado di iniettare nel sistema nuove energie culturali che producano senso sia per l'arte contemporanea che per il senso stesso.

E in questa direzione, la tua attitudine curatoriale ha trovato espressione in quali attività?

Ho lavorato e continuo a lavorare con artisti non professionisti. Con alcuni organizziamo dei workshop con altri cerchiamo di ribaltare alcune visioni. Ancora alcuni progetti che ho portato avanti sono di mediazione culturale, penso ad esempio a Giovani Critici. Anche in questo caso però più che avvicinare un oggetto al nome comune con cui è riconosciuto abbiamo cercato di lavorare alla ricerca del sentimento proprio della pratica. È la passione e la libertà nei confronti dell'oggetto che rende lo stesso interessante, non la disciplina in se. Uno dei progetti che partirà al termine di Manifesta è la seconda luna, una sorta di analisi del territorio nazionale alla ricerca di dinamiche culturali che sviluppano passioni e indagini degne di interesse anche se non hanno un nome o un mercato di riferimento preciso.



Tabula Rasa project

Curatore: Denis Isaia
Assistant curator: Elisa Tosoni

Via Crispi, 15 Bolzano
Tel. +39.0471.414 988
Fax +39.0471.414 989

tabularasa@manifesta7.it
www.manifesta7.it


Elvira Vannini è storica dell'arte, critica e curatrice indipendente. Vive e lavora a Bologna.

 

 

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