Attraversare le contingenze allargando le prospettive

22/09/2008
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Cracks

Una raffica di domande su Milano: nei mezzi pubblici, sui cartelloni pubblicitari e nei quotidiani. Questions, Questions è il progetto che Alfredo Jaar ha ideato in occasione della sua mostra antologica presso lo Spazio Oberdan e l'Hangar Bicocca a Milano. Parole che si insinuano in un paesaggio metropolitano monotono, occupato dalla fretta quotidiana e da immagini commerciali. In questa intervista con Jaar "cracks" sta per fessure da cui passa una luce che illumina piccole "oasi di resistenza".
"Il perno centrale di queste domande intende fare leva sull'attuale disordine nella Sinistra italiana, una Sinistra che un tempo è stata la più potente e ispirata d'Europa e, forse, nel mondo, con personaggi come Gramsci, all'avanguardia del pensiero progressivo e creativo" dice l'artista presentando il suo lavoro e raccontando come una colonna scritta da Bernardo Bertolucci su un quotidiano abbia ispirato il suo progetto: logica continuazione della trilogia su Gramsci realizzata a Milano (2004), Roma (2005) e Como (2005).
Un lavoro che non vuole essere solo una critica alla situazione politica italiana, ma anche un segnale di incoraggiamento e speranza, nonché la visione poetica di un potenziale domani. Una riflessione sul ruolo della cultura in un mondo sempre più difficile e complesso che spinge l'artista ad interrogarsi ogni giorno su come agire responsabilmente nella società.



Logo for America, 1987. Computer animation, durata 45''


The Eyes of Gutete Emerita, 1996. Courtesy Daros Collection, Zurigo


Embrace, 1995. Animazione digitale, durata 1'


The Sound of Silence, 2006


Untitled (Water), 1990


Geography = War, 1991


Out of Balance, 1989


Searching for Africa in Life, 1996


Greed, 2007


Muxima, 2005. Video digitale, durata 36''


 

Intervista ad Alfredo Jaar


a cura di Antonella Miggiano


Il progetto espositivo che porti a Milano è formato da due grandi sezioni antologiche e da un progetto pubblico pensato appositamente per Milano in cui poni delle domande riguardo allo stato attuale della cultura e della politica in Italia.

Non è facile porti delle domande dal momento che in questo progetto sei tu che interroghi gli italiani su delle questioni molto importanti.

Sono delle domande alle quali è difficile dare una risposta immediata, penso piuttosto che aiutino a visualizzare una situazione dilagante, di quella della profonda crisi politica e culturale di una società piegata al sistema massmediatico, e al consenso acritico degli intellettuali. Perché credi che si sia arrivati a tutto questo? E che significa parlare oggi di resistenza?


Penso che quello che sta succedendo oggi sia la dimostrazione straordinaria del potere dei mezzi di comunicazione. Il tema dei mass media è un argomento che mi ha appassionato molto negli ultimi trenta anni; la maggior parte delle mie opere ruota intorno a questo tema: intorno al potere che i media hanno di imporre certe idee al mondo intero, alla società e a noi stessi. Per questo, da una certa distanza, l’unico modo per trovare una spiegazione a quello che sta succedendo oggi in Italia è analizzare il potere dei mezzi di comunicazione e di conseguenza il loro controllo da parte di Berlusconi.

Credo che la maggior parte del pubblico italiano sia anestetizzato dallo spettacolo mediatico. La domanda quindi diventa: come si può resistere all’interno di un paesaggio completamente sottomesso dal sistema al quale uno cerca di opporsi?

E’ molto difficile fare opposizione , ma questo non significa che bisogna arrendersi e rinunciare, bisogna al contrario provarci occupando ogni luogo possibile, e questo è esattamente quello che cerca di fare il mio progetto: occupare ogni spazio pubblico attuabile, dai manifesti pubblicitari alle insegne, dai mezzi di trasporto pubblico alla strada, dal museo alla galleria… per creare delle piccole cesure, dei piccoli segni in un scenario mediatico uniforme.


Ogni volta che torni a Milano i tuoi pensieri vanno a due grandi intellettuali della sinistra critica italiana Pier Paolo Pasolini e Antonio Gramsci, e anche questo progetto è una continuazione "attiva" della Trilogia su Gramsci che nel 2005 hai portato nelle città di Roma, Como e Milano.

A Roma sei andato alla ricerca di Gramsci visitando il cimitero acattolico e soffermandoti sulle contraddizioni che lo stesso Pasolini viveva a metà degli anni '50, in una Roma invasa dal consumismo, e che annotava nel poema Le Ceneri di Gramsci.

Una drammatica constatazione di essere "passionalmente" legati ad un ideale "che non illumina più... perché anche noi morti nell'umido giardino". Può l'arte illuminare ancora e dare una risposta alle parole di Pasolini: "Ma come io possiedo la storia, essa mi possiede; ne sono illuminato: ma a che serve la luce?"


E’ una bellissima domanda la tua. Penso che Le ceneri di Gramsci sia il poema più bello del XX secolo, infatti lo abbiamo riproposto nel catalogo dell’esposizione al Macro nel 2005. Sì, alla fine questo progetto pubblico è una continuazione della Trilogia su Gramsci e come saprai sono stato ispirato da una colonna scritta da Bernardo Bertolucci sulla Repubblica, dove il regista si chiedeva se ci fossimo dimenticati della parola cultura (Cultura la parola dimenticata, la Repubblica, 11-06-07, ndr).

Mi è sembrato straordinario aver scoperto l’articolo proprio in questo periodo, perché Bertolucci lavorò con Pasolini, e quindi è un pò come se il cerchio alla fine si chiudesse. L’articolo mi ha suggerito una delle 15 domande che porrò agli italiani, e questa testimonianza mi è parsa come una piccola oasi di resistenza e quindi affermazione che in Italia si può ancora resistere intellettualmente.

Per questo pongo lo stesso interrogativo al pubblico e, come Gramsci e Pasolini continuo a pensare che la cultura possieda un ruolo determinante nella percezione della realtà e rappresenti un’occasione importante nella capacità personale di capire il mondo e di esserne parte attiva.

Come Pasolini credo che bisogna agire su tutti i livelli possibili della società; lui stesso era un poeta, uno scrittore, un cineasta, un giornalista, un critico e lavorava in diversi strati sociali, ed è per questo che come artista mi interessa lavorare non solo all’interno della galleria o del museo, ma anche per strada, per coinvolgere una parte sempre più importante della società e diffondere le idee per le quali lavoro.


"It is difficult to get the news from poems yet man die miserably every day for lack of what is found there". Sono le parole di Williams Carlos Williams che introducono i tuoi lavori e che hai scelto anche come titolo del progetto che porti in Italia. Nelle tue opere critichi i mezzi di comunicazione che ci sovraccaricano di immagini e di illusioni per poi lasciare un senso di assenza. Come riesci a colmare questa mancanza attraverso i tuoi lavori?


Siamo continuamente bombardati, senza alcun preavviso, dai mass media, è un bombardamento incredibile come non si era mai visto nella storia, e tutte queste immagini, che ci informano, ci influenzano, ci “addormentano” e ci fanno sognare, provengono da due fonti: una governativa, cioè le varie forme di propaganda statale - e nel caso italiano questo è molto evidente perché i dispositivi usati da Berlusconi sono molto estensivi- e dall’altro lato gli strumenti commerciali che ci inducono costantemente a comprare, comprare, comprare.

In uno scenario controllato da queste due grandi forze è molto difficile che un’immagine di dolore sopravviva, ed è per questo che bisogna creare degli spazi di resistenza nelle opere, attraverso appositi contesti che aiutino le immagini a sopravvivere.

Ogni mio lavoro offre uno spazio di riflessione intorno ad un’immagine e crea il contesto necessario affinché esse resistano. Bisogna aiutare le immagine a resistere, questo è quello che cerco di fare costantemente nel mio lavoro.


Mi ha colpito molto l’opera The sound of silence dedicata alla tragedia che ha vissuto il fotografo Kevin Carter, morto suicida dopo avere scattato una drammatica foto che ha fatto il giro del mondo. Una storia delicata e molto triste che mostra l’uomo impotente di fronte al dolore degli altri e che allo stesso tempo mi ha fatto riflettere sull’enorme potere che può avere un’immagine.


The sound of silence è un’opera dedicata ad una sola immagine. E’ un’installazione molto complessa, formata da un video di 8 minuti e da uno spazio nel quale invito la gente a riflettere su una sola immagine offrendo un tempo e uno spazio creati apposta per questa funzione. I media ogni giorno distorcono l’idea originale delle immagini e le usano per i propri affari politici.

Quello che cerco di fare in quest’opera è di rendere libera questa testimonianza fotografica, per restituire al pubblico la vera storia che l’ha generata.


L’arte è uno strumento che al contrario dell’informazione massmediatica ci fa riflettere sui fatti e non essere semplici spettatori. L’arte può sostituire i mass media? E allo stesso tempo, come può essere uno strumento di informazione critica e libera?


No, l’arte non può sostituire i media, ma dobbiamo trovare il modo di liberare l'informazione dagli interessi ideologici e commerciali, ed è per questo che è molto importante che gli strumenti di comunicazione tornino ad essere indipendenti.

L’arte non può competere con essi, ma io come artista e allo stesso tempo, come giornalista frustrato, lavoro nel mondo dell’arte e utilizzo questo mondo per fare una critica contro il sistema mediatico e cerco di informare nel modo giusto su questioni che mi sembrano fondamentali.

In questo senso agisco, in maniera molto modesta, come un piccolo strumento d’informazione audiovisivo e aspiro ad essere un esempio onesto di comunicazione, sperando che il sistema massmediatico sia esattamente questo.


Il tuo progetto si intitola It is difficult, ma cos’è veramente difficile per un artista contemporaneo?


Sono un artista da più di trent’anni e più passa il tempo e più diventa difficile fare arte. Non diventa più facile… pensavo che con il tempo e con l’esperienza lo sarebbe stato, ma non è così. Ogni volta che penso a un nuovo progetto mi sembra sempre più difficile. Tutta l'utopia idealista che avevo quando ho iniziato a fare arte è andata completamente distrutta. Per questo adesso la visione della realtà è molto più pessimista rispetto quella che avevo all’inizio.

Questa è la prima ragione, la seconda sta nel fatto che tutto è diventato più complicato, per la moltiplicazione dei mezzi d’informazione, per internet, per il controllo che viene fatto sui media e per la moltiplicazione del sistema dell’arte e degli artisti. Tutto questo rende le cose più complesse. Viviamo in tempi difficili e se uno si guarda intorno, non solo in Italia, ma in ogni parte del mondo, si chiede: come si può fare arte in un mondo così?

E questa è la domanda che mi faccio ogni giorno quando comincio a lavorare.

 

 

All'indirizzo:
http://www.alfredojaar.net/questions.questions
puoi rispondere alle domande di Jaar

 

 

Alfredo Jaar, It is Difficult

Mostra e progetto pubblico a cura di Gabi Scardi e Bartolomeo Pietromarchi


La mostra inaugurerà il 2 ottobre ed è promossa da Provincia di Milano e Fondazione Hangar Bicocca con la collaborazione di Regione Lombardia. L'artista terrà una lecture pubblica il 4 ottobre alle ore 11 presso lo Spazio Oberdan, in occasione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI.

Spazio Oberdan
Viale Vittorio Veneto 2, Milano. Dal 3 ottobre 2008 al 25 gennaio 2009

Hangar Bicocca
Via Chiese 2, Milano. Dal 3 ottobre 2008 all'11 gennaio 2009

Il comunicato stampa di It is Difficult

 

 

 

Antonella Miggiano è esperta in Comunicazione e didattica per l'Arte Contemporanea. Collabora con UnDo.Net, vive e lavora a Milano.

 

 

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