Attraversare le contingenze allargando le prospettive

24/10/2008
stampa   ::  




Manifesta7: un ring di riflessioni


Manifesta e' ancora dirompente, sperimentale, militante, promotrice di nuovi processi culturali e geopolitici? 14 giovani curatori hanno analizzato l'edizione di quest'anno nel corso di un dibattito acceso intorno al lungo tavolo di Tabula rasa a Bolzano. Si sono chiesti se le loro aspettative siano state disattese, se il format nomade della manifestazione non sia diventato solo un brand, e infine quanto una biennale debba rappresentare il mainstream dell'arte contemporanea o se ha ragione Catherine David, quando dice che le esposizioni internazionali su larga scala dovrebbero dar voce alle storie, alle culture e alle pratiche sottorappresentate dal sistema e dalle istituzioni. I testi, le loro "recensioni orali" e il loro confronto diretto, sono ora da leggere ed ascoltare.











































I laboratori di interpretazione
di Denis Isaia

I laboratori di interpretazione sono una piattaforma di dibattito che si raccoglie attorno al lungo tavolo di Tabula Rasa. Il modulo ha una geometria variabile che fa solo perno sulla pratica discorsiva del confronto e del pensiero in azione: i linguaggi chiamati al confronto con Manfesta 7 sono differenti (fumetto, curatela, design), i partecipanti sono moderatamente mediati e scarsamente introdotti al progetto stesso, gli ambiti di provenienza non combaciano e le riflessioni nascono in maniera spontanea sulla base del pregresso culturale. A partire da questa scelte il laboratorio si caratterizza per un alto carattere di improvvisazione, di emozione e scarso accademismo. Questa forma lo rende una sorta di blog collettivo che esprime le sue forme migliori nella varietà dei linguaggi, nei rimandi, nelle aperture casuali o involontarie che uno spunto porge all'altro, nelle banalità e nelle catene di riflessione che aprono nuovi dubbi, letture o prospettive.
Anche se mal si adattano alle definizioni e alle risposte, i laboratori di interpretazione sono stati concepiti in funzione di una redazione finale che sintetizza gli andamenti e propone le risposte alle forme di un dibattito pubblico.

Tabula Rasa è una serie di eventi che si snoda su 111 giorni nella cornice dell'edificio industriale ex-Alumix. Tabula Rasa, special project di Manifesta 7, è un progetto di Denis Isaia, in conversazione con Raqs Media Collective, parte della mostra The Rest of Now.



Il Laboratorio di interpretazione per curatori
a cura di Elvira Vannini

Tabula Rasa ha offerto i propri spazi a un gruppo di giovani curatori italiani. Il 10 settembre 2008, dopo una conversazione a porte chiuse, i curatori hanno presentato al pubblico una recensione orale di Manifesta7. Il dibattito si è incentrato attorno ad alcuni fra i temi più interessanti per la disciplina curatoriale e i prossimi sviluppi della pratica espositiva: qual'è il ruolo delle grandi mostre a cadenza regolare nel sistema dell'arte contemporanea, sono esse ancora veicolo di innovazione o piuttosto sono ormai vincolate ai meccanismi del mercato? Quali sono le ragioni future di Manifesta, una fra le Biennali più sperimentali dell'ultimo ventennio, nel mondo globalizzato? E ancora, quali gli azzardi di Manifesta 7 meritevoli di attenzione? Quali gli elementi critici da sottolineare? Cosa non è piaciuto?

La discussione del Laboratorio di Interpretazione è stata moderata da Elvira Vannini. Hanno partecipato: Chiara Agnello, Katia Anguelova, Marco Baravalle, Eva Fabbris, Antonio Grulli, Caterina Iaquinta, Denis Isaia, Matteo Lucchetti, Cristina Natalicchio, Francesca Pagliuca, Paolo Plotegher, Angela Serino, Elisa Tosoni, Elvira Vannini.


Un metodo per la cooperazione e lo scambio? (Diario di una giornata alla ex-Alumix. 10 settembre 2008) di Elvira Vannini

Dopo una conversazione a porte chiuse, in cui ci siamo divisi in gruppi di lavoro, tenendo conto delle diverse attitudini di ricerca, abbiamo tentato di produrre idee e proposte, verificare ipotesi, inferenze speculative, pensieri sparsi intorno al ruolo e la mission di Manifesta, proponendo alcuni percorsi critici e interpretativi delle quattro mostre.
Crediamo che le dinamiche di gruppo aprano a processi collaborativi, di scambio e di dialogo e che non rappresentano solo una modalità di lavoro ma un'indicazione di metodo.
Vikctor Misiano ha parlato dell'importanza delle pratiche collegiali, nel nostro mondo contemporaneo globale e de-gerarchizzato e nei processi culturali. Le pratiche di gruppo che producono differenze, conflitti, analogie e dissonanze.
E’ stata un'esperienza molto produttiva.
Il laboratorio come luogo di comprensione, interpretazione e discussione delle quattro mostre.

Manifesta7 ha disatteso le nostre aspettative? Rispetto alla sua mission, qual'è la sua reale efficacia? Con quali strumenti si giudica il successo di Manifesta?

Manifesta nasceva nel '96 come piattaforma per gli scambi culturali tra i nuovi paesi europei unificati dopo la caduta del muro di Berlino, la fine della guerra fredda, le tensioni e le derive della società post-socialista; tra le sue ambizioni, avviare il dialogo tra artisti, istituzioni, curatori e pubblico, attraversando l'Europa, malgrado i drammatici cambiamenti storici e i fenomeni di moltiplicazione delle Biennali su larga scala con il loro incremento concreto.
Dunque, ri-disegnare la geografia e la mappa politica dell'Europa come alternativa non solo al museo ma anche alle tipiche Biennali.
Manifesta è una biennale nomade, trans-nazionale, flessibile, basata su un concetto dinamico, ha un'esistenza itinerante ed è concepita ad ogni edizione in diverse città periferiche europee.

Crediamo che alcuni punti di forza caratterizzino gli obbiettivi di Manifesta.
Primo: lo sviluppo di istanze collaborative tra team curatoriali, la promozione della produzione artistica della scena emergente e la sperimentazione; la capacità di dialogo con le peculiarità territoriali e la vita sociale dei luoghi che attraversa.
La sua esistenza nomade, per cui ogni due anni è allestita in un contesto sempre diverso e non convenzionale, le conferisce la capacità di reinventarsi completamente, di cambiare il proprio format, ricominciare da zero evitando la legittimazione di ambienti istituzionali o governativi.

Poi ci sono le questioni politiche, le “alleanze” dietro Manifesta: gli interessi nel coltivare relazioni temporanee durante lo svolgimento e l'organizzazione della mostra. Le città “ospiti”, le partnership locali, il ruolo dei curatori internazionali rispetto ai sistemi di potere e ai loro incarichi, il tempo per la ricerca e i ritmi produttivi compulsivi per cui in pochi mesi si devono attivare complesse dinamiche.

Abbiamo cercato di interrogarci sul significato di Manifesta aprendo un dibattito sul ruolo di questa esposizione.
Proporre una disamina critica, uno sguardo trasversale sul dispositivo mostra, tentare di analizzare e interpretare insieme i quattro progetti, capire quanto abbiano attuato modelli espositivi innovativi o in che misura, invece rientrano in parametri più tradizionali.
Come ha risposto Manifesta a questi ed altri interrogativi?
Secondo Hou Hanru le Biennali hanno ambizioni culturali e geopolitiche con il duplice problema di rappresentare il contesto locale e le istanze globali, di intensificarne la negoziazione, politicamente trascendente rispetto alle relazioni di potere con l'Istituzione. Storicamente alcune hanno avuto origine in contesti culturali che avevano subito profonde trasformazioni politiche: dalla prima Documenta del ‘55 nella Germania post-bellica della ricostruzione, a Gwangju nel processo di democratizzazione della Corea del Sud, la Biennale di Johannesburg dopo la fine dell'apartheid fino a Manifesta che nasce come la Biennale europea dopo la caduta del muro di Berlino. Cosa è rimasto oggi di questo significato politico?

Catherine David suggerisce quanto le pratiche artistiche contemporanee non possano corrispondere alle condizioni per cui il white cube è stato costruito. “Le esposizioni su larga scala, determinanti nel presentare sè stesse in alternativa al museo, tentano di dar voce alle culture, le storie e le politiche sottorappresentate dalle Istituzioni.” Le Biennali possono rappresentare il canale alternativo rispetto alla cultura mainstream dell'arte?
Secondo Carlos Basualdo: “La configurazione degli interessi nel cuore delle istituzioni come le Biennali chiaramente differiscono da quelle che invece provocano un aumento dei circuiti istituzionali collegati con la modernità (musei, critici d'arte, gallerie) “l'espansione globale su larga scala delle esposizioni rappresenta un insistente decentramento dei canoni artistici della modernità.”

La scuola di Manifesta6 ha cercato di creare uno spazio sperimentale all'interno del format tradizionale dell'evento, la scuola era un progetto ambizioso e rispondeva a una necessità urgente di riflettere sul significato stesso della Biennale e il suo ruolo emergente nell'industria creativa globale, dei processi di produzione e di valorizzazione capitalistica della cultura, inclusi i contesti locali in cui ha luogo.

Significa la fine di questa Biennale sperimentale o la rende ancora necessaria?


Il testo di Elisa Tosoni, che ha assistito Denis Isaia nella curatela di Tabula Rasa a Bolzano e nel 2007 ha dedicato la sua tesi di laurea a "Manifesta and Its Role in The New Europe".

Il testo di Cristina Natalicchio, curatrice presso la Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento



Ascolta l'audio delle recensioni orali su Manifesta7:
scarica: mp3


Ascolta l'audio del dibattito fra curatori:

scarica: mp3


Scrivici il tuo parere sull’argomento: staff@undo.net




Denis Isaia. “La direzione che intendo seguire è quella che conduce verso il “luogo” in cui l'arte non si è ancora ripiegata su se stessa per riconoscersi come tale, non si è ancora istituita come una nuova pratica (storiografica, ermeneutica) di classificazione e di disciplinamento; quella che qui voglio evocare è la condizione in cui l'arte è ancora soltanto pensiero in azione, dislocamento riflessivo rispetto alla corrente di azioni abitudinarie e di routine, rispetto ai luoghi comuni del linguaggio, rispetto ai pregiudizi consolidati. È qui che prende corpo la pratica dell'arte che è tale perché non si è ancora definita come arte. In questo senso, fare arte è un'attività che si sviluppa in un contesto di vita, come emergenza che affiora e prende forma di fronte alla problematicità dell'esperienza.” (liberamente tratto da Antonio Cosentino, Filosofia come pratica sociale, Comunità di ricerca, formazione e cura di sé, Apogeo, 2008)

Elvira Vannini è storico dell'arte, critico e curatore indipendente. Vive e lavora a Bologna. Diplomata alla Scuola di Specializzazione in Storia dell'Arte Contemporanea, attualmente svolge un Dottorato di Ricerca in Storia dell'Arte presso il Dipartimento Arti Visive, dell'Università di Bologna. Collabora a progetti di UnDo.Net. È autrice e co-conduttrice di uno spazio radiofonico dedicato all'arte contemporanea, trasmesso dalle frequenze di "Radio Città del Capo" - Popolare Network. Svolge attività critica e curatoriale indipendente. Ha pubblicato su Flash Art, Tema Celeste, Around Photography, Arte e Critica. Ha curato mostre personali e collettive in gallerie, spazi pubblici e situazioni no-profit, eventi performativi e articolazioni audiovideo. Riflette sulle relazioni tra pratiche artistiche, strategie di occupazione dello spazio pubblico e sistemi espositivi, alla luce delle trasformazioni sociali e urbane in una prospettiva geopolitica. Ha tenuto lecture in workshop, incontri e conferenze, sia nel corso di progetti espositivi che al Dipartimento Arti Visive dell'Università di Bologna, su aree di interesse interdisciplinare che vanno dagli studi curatoriali, alle pratiche del display, all'architettura e le fenomenologie del contemporaneo.


Puoi vedere anche:

Tabula Rasa (21/7/2008)

Speciale su Manifesta7, con video, interviste, incontri e progetti (14/7/2008)