Attraversare le contingenze allargando le prospettive

14/06/2010
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No Soul For Sale


Nessun'anima in vendita: un titolo ambiguamente romantico nel balenio di uno sguardo tra il compiacente e l'opportunista. E' quello scelto per il festival degli spazi indipendenti organizzato dalla Tate a Londra come parte dei festeggiamenti per i suoi primi 10 anni.
Qui, 70 tra organizzazioni non profit e collettivi artistici provenienti da ogni angolo del mondo, hanno dato vita ad "un incrocio tra un bazaar orientale, un circo occidentale, il cortile di una scuola e la rete di facebook".
Questa definizione di una dei protagonisti non è propriamente bonaria, così come non lo è stato diffondere una lettera di protesta che ha denunciato il mancato rimborso di molte organizzazioni invitate e altri casi più clamorosi della politica economica del museo.
Dalla cacofonia dell'evento sono emerse molte domande pertinenti agli spazi non profit su cui vale la pena di riflettere. Eccone alcune insieme ad alcuni pareri in presa diretta, a cura di Michela Gulia.



Panoramica di No Soul For Sale alla Turbine Hall della Tate Modern di Londra




Le immagini del festival NSFS




Le immagini del festival NSFS




This Is Another Day (After The Economic Crisis), Not An Alternative. Courtesy Not an Alternative




Il poster di Barbur Bazaar




L'installazione-pub dei Black Dogs. Courtesy Black Dogs




Veduta dell'installazione. Courtesy Black Dogs




James Webb, Know Thy Worth, 2010. L'appartement 22




Carla Cruz, demoCRACY, 2010. Courtesy Filipa Oliveira + Miguel Amado




Le Dictateur




Lucie Fontaine


Quale è il valore di un’opera d’arte? È materiale o immateriale?
(Tratto dal comunicato stampa di Arrow Factory, spazio non profit con base a Bejing, che fa riferimento alle riflessioni sollecitate da uno dei due lavori presentati a No Soul For Sale, intitolato “I Have Not Only Sacrificed My Soul For This But My Time” di Stefan Sulzer)

Quali sono i limiti alla partecipazione, oggi che la partecipazione stessa è divenuta un paradigma dominante che struttura l’economia, la pratica creativa, l’attivismo politico, l’urbanistica ed internet? Chi partecipa e chi è lasciato fuori?
(Estratto dal testo di Astra Taylor, The Limits of Participation, distribuito in occasione di NSFS da Not An Alternative, organizzazione non profit con sede a Brooklyn, New York)

Quale è la differenza tra vendere souvenirs e opere d’arte? Che tipo di lavoro possono produrre nell’ambiente artistico europeo artisti provenienti dal Medio Oriente?
(Dal comunicato stampa di Souvenirs From the Holy City of Jerusalem, progetto presentato a NSFS da Barbur Bazar, organizzazione non profit che supporta e promuove l’arte contemporanea israeliana.)

Come possiamo noi, come artisti, mirare ad una pratica indipendente quando il nostro lavoro e la nostra stessa esistenza all’interno della città viene acquisita e poi rigurgitata dai politici per attrarre investimenti privati? Come possiamo impegnarci in un dibattito critico su un processo nel quale siamo così chiaramente coinvolti?
(Estratto da una piccola pubblicazione - distribuita a NSFS - realizzata da The Royal Standard e Red Wire Studios - due collettivi artistici con base a Liverpool - in occasione di The Winner Takes It All?, un progetto che hanno presentato durante la Biennale di Liverpool del 2008.
Scopo dell'iniziativa era quello di esplorare e discutere l’effetto prodotto sulla città dalla sua nomina a Capitale Europea della Cultura in quello stesso anno, e valutare quale fosse la posizione degli artisti che lì lavorano e vivono rispetto ai processi economici e culturali dominanti.)


Le organizzazioni non profit ed i collettivi curatoriali devono rivolgersi al contesto sociale nel quale operano o, in altre parole, devono rispondere ad una comunità e nello stesso tempo interrogarla.
Prendendo spunto dal testo pubblicato da Jean-Luc Nancy nel 1986 ed intitolato La comunità inoperosa, il collettivo curatoriale pone una serie di domande: "Chi siamo 'noi' ? Come ci relazioniamo gli uni agli altri e che cosa ci separa? Come si combina la nostra esperienza personale con ciò che abbiamo in comune?"

(Dal comunicato stampa di The Unsurpassable Horizon, titolo del progetto presentato a NSFS da Filipa Oliveira + Miguel Amado, collettivo curatoriale con base a Lisbona)

Indipendente vs. Dipendente? Si chiedono quelli di Pist (spazio non profit con base ad Istanbul) nel secondo numero della loro pubblicazione, intitolata Post, distribuita a NSFS: "La parola Indipendente indica un’autonomia che non corrisponde alle attuali condizioni di lavoro di artisti e curatori all’interno degli spazi artistici auto-organizzati.
Sia i progetti realizzati su piccola scala dagli spazi indipendenti, che quelli prodotti dalle più grandi istituzioni artistiche sono dipendenti da un’ampia serie di supporti esterni, serie che include un network professionale e sociale, e collaboratori finanziari.
La questione è quindi perché l’espressione “indipendenza” sia divenuta così diffusa quando non è compresa o assunta in termini assoluti."



Queste sono solo alcune delle domande NON emerse nel corso di No Soul For Sale, festival degli spazi indipendenti la cui seconda edizione è stata ospitata lo scorso maggio alla Tate Modern di Londra, in occasione dei primi 10 anni di attività del museo.
Sono domande che ho estratto dal materiale cartaceo che alcuni dei partecipanti hanno messo a disposizione del pubblico, comunicati stampa, piccole pubblicazioni etc… Domande che non hanno trovato spazio di discussione all’interno del festival.
A dispetto infatti delle potenzialità insite in quest’evento - che ha raccolto circa 70 tra organizzazioni non profit e collettivi artistici indipendenti provenienti da ogni angolo del mondo - la sua “messa on display” ha prodotto un generale depotenziamento proprio delle questioni sopra riportate, con il rischio di apparire solo come "un incrocio tra un bazaar orientale, un circo occidentale, il cortile di una scuola e la rete di facebook" (Snejana Krasteva, come nel testo che segue).
I partecipanti si sono incontrati all’interno della Turbine Hall in una gran confusione generata da un allestimento (volutamente?) caotico, nel quale mancava la traccia di un’azione curatoriale chiara e possibilmente orientata – come l’occasione richiedeva – a comunicare al grande pubblico del museo, le attività, i modi di esistenza, le pratiche e le politiche che caratterizzano la non omogenea galassia dei non profit.
Senza lasciare cioè che ciascuno degli “ospiti” provvedesse di volta in volta alla sua singola presentazione cercando di catturare l'attenzione di un pubblico divertito ma piuttosto disorientato.
Pensato dai curatori Cecilia Alemani, Maurizio Cattelan e Massimiliano Gioni come "una celebrazione delle forze indipendenti che animano l’arte contemporanea", NSFS ha trasformato lo spazio della Turbine Hall in una grande vetrina, sollecitando - forse - la curiosità dei visitatori verso l’attività degli “indipendenti”, ma sorvolando sulla questione decisamente importante della presenza delle realtà non profit all’interno di un contesto espositivo come quello del museo-Tate.
Questo fatto è stato per certi versi aggravato dalla polemica sul mancato rimborso delle spese sostenute da molti dei non-profit che hanno partecipato all’evento.
Una situazione che, come hanno fatto notare quelli del M.A.L (Making A Living: A discussion group of Arts professionals currently active across the UK), rinforza la connotazione romantica dell’artista come colui che produce arte per necessità interiore e che non ha bisogno di essere pagato per il suo lavoro.

In conclusione, un’occasione perduta?

Michela Gulia

A seguire trovate i commenti dei Black Dogs e di Snejana Krasteva, guest curator di Arrow Factory in occasione di NSFS.

Black Dogs è un collettivo artistico con base a Leeds, la cui attività spazia dalla creazione di mostre alla realizzazione di eventi e interventi nella sfera pubblica, dalle pubblicazioni alla musica. Il collettivo - fortemente ispirato alla DIY music community - si è costituito nel 2003 allo scopo di produrre arte a livello auto-organizzato, sviluppando una propria posizione politica attraverso la vita di gruppo e sperimentando alternative critiche e autonome al neoliberismo attraverso l’attività artistica.

"Il nostro scetticismo riguardo l’invito a prendere parte a No Soul For Sale, è stato motivato principalmente dal fatto che abbiamo visto come un’evidente contraddizione la realizzazione di un festival di alternative art alla Tate, un’organizzazione che esprime molto di quello che noi cerchiamo di scardinare attraverso la nostra pratica collettiva (la separazione dell’arte dalla vita, l’arte come una sfera professionale dominata del mercato, etc…).
Abbiamo però deciso di usare la nostra presenza al festival per sollecitare un discorso su questi argomenti e lo abbiamo fatto attraverso una sorta di indovinello: 'How Not To Sell Your Soul At No Soul For Sale?’ invitando gli artisti e i gruppi partecipanti a NSFS a suggerirci delle risposte.
In seguito abbiamo proposto di utilizzare il nostro spazio per invitare i visitatori della Tate Modern a prendere parte a questa conversazione. Coscienti del fatto che sarebbe stato necessario rimanere nello spazio assegnatoci per molte ore, senza ‘paga’ e senza alcun supporto per i materiali e le spese, abbiamo deciso di trasformare il nostro spazio in un pub.
In questo modo ci siamo assicurati un po' di divertimento nonostante le lunghe ore di lavoro e insieme abbiamo mostrato il modo in cui Black Dogs opera: non abbiamo infatti uno spazio permanente e di conseguenza realizziamo la maggior parte dei nostri incontri e dei nostri ‘affari’ in diversi pub di Leeds.
Allo stesso tempo abbiamo creato uno spazio conviviale dove i visitatori potevano riposarsi dal trambusto di NSFS e, forse, incrementare la possibilità di una conversazione produttiva.

Alla fine NSFS è stato per noi molto più piacevole di quanto ci aspettassimo, anche grazie alla presenza - tra i gruppi selezionati - di organizzazioni ed artisti che ci sono molto affini, ed è stato rassicurante sapere che non eravamo i soli a cercare di mostrare una qualche distanza critica rispetto alla Tate.

Sembra che il discorso dominante, circa il disagio di molti dei gruppi partecipanti al festival, sia focalizzato sulla mancanza di remunerazione. Anche se siamo del tutto d’accordo sul fatto che sia quasi criminale che la Tate non abbia coperto i costi del lavoro degli artisti coinvolti (infatti noi ci siamo concentrati su questo nella nostra performance a NSFS, chiedendo al pubblico di indovinare l’importo delle spese sostenute da tutti i partecipanti al festival - circa £240,000!), siamo soprattutto interessati al fatto che questa partecipazione possa portare delle innovazioni.
Dal nostro punto di vista infatti, il conflitto più importante riguarda l’appropriazione dell’attività artistica radicalmente autonoma da parte del mondo artistico istituzionale (e neo-liberale).
Siamo imbarazzati per il modo in cui l’attività artistica ‘indipendente’ e ‘not-for-profit’ sia stata appiattita dal festival, dal modo in cui le posizioni più radicali e antagoniste siano state sopraffatte dalla narrazione – parcellizzata e guidata dal marketing della Tate. Abbiamo scoperto che c’erano numerosi gruppi desiderosi di prendere parte a questo “disvelamento” e di bere una birra con noi! Inoltre il fatto che non abbiamo usato la nostra presenza alla Tate come un dispositivo promozionale ma piuttosto per ritagliarci uno spazio dove divertirci e andare avanti con quello che facciamo abitualmente, ci ha permesso (positivamente) di confondere le aspettative del pubblico. Abbiamo discusso a lungo riguardo il concetto di ‘divertimento serio’ (o forse di una ‘convivialità critica’) emerso dall’ambiente libero e confortevole che abbiamo creato con la nostra installazione – pub.

Così, nonostante la sfiducia e il cinismo iniziale riguardo il festival nella sua totalità, abbiamo fatto un’esperienza incredibilmente positiva e crediamo che ne verranno fuori ottime cose. Molti gruppi sono entrati in contatto tra loro, e c’era nell’aria una sorta di solidarietà e di condivisione che - se tutto va bene - porterà ad agire nella direzione presa durante gli incontri avvenuti durante il festival. Ora la nostra preoccupazione riguarda la possibilità che in seguito la Tate reclami la ‘paternità’ delle attività che possono svilupparsi da questa situazione, del tutto indipendente da NSFS.

Tutto sommato a noi sembra di avercela fatta a lasciare la Turbine Hall con l’anima (se non il fegato) intatta e di esserci fatti nuovi amici."

www.black-dogs.org


Arrow Factory
Sin dalla sua nascita nel 2008, Arrow Factory ha operato come spazio alternativo per la produzione artistica contemporanea a Beijing. Collocato in un hutong – gli stretti vicoli caratteristici della città di Pechino - lontano dai quartieri dell’arte della città, occupa quello che in passato era un negozio di ortaggi di piccole dimensioni (15 mq). In questo spazio Arrow Factory presenta opere caratterizzate da una natura effimera, contingente, strettamente legate all’ambiente immediatamente circostante, per formulare risposte significative alle diverse condizioni politiche, economiche e sociali di quel luogo e delle sue esperienze quotidiane.

Snejana Krasteva, curatore indipendente:

“La nota che segue costituisce il mio personale commento come guest curator di Arrow Factory a No Soul For Sale e non rappresenta l’opinione della direzione di Arrow Factory che non era fisicamente presente nel corso del festival.

La sensazione generale che ho ricevuto dal festival è stata che questo assomigliasse ad un incrocio tra un bazaar orientale, un circo occidentale, il cortile di una scuola e la rete di facebook.
Molte delle organizzazioni invitate hanno presentato progetti interessanti, ma in qualche modo essi si sono persi nella complessiva cacofonia dell’evento. L’edizione precedente del festival era stata caratterizzata da un’atmosfera più intima e sicuramente più indipendente.
Il fatto che questa edizione di NSFS sia stata ospitata dalla Tate ha comportato critiche, ragionevoli e non, da parte degli artisti e delle istituzioni partecipanti. Certo, il festival ha promosso l’idea del ‘soulful artist ‘ che non ha bisogno di un compenso economico per il suo lavoro, e di istituzioni indipendenti che non necessitano di un supporto finanziario.
E certo la Tate ha realizzato enormi profitti dalle visite del weekend, profitti che non sono stati utilizzati per rimborsare quelle istituzioni che hanno “intrattenuto” i visitatori.
Ma credo anche che il discorso non sia solo economico: ciò che è sembrato a tutti uno scambio sleale è stata la generale assenza di sforzi nel guardare ai partecipanti con attenzione e serietà. Non c’era una piattaforma ufficiale per organizzare dei gruppi di discussione, incontrarsi e confrontarsi sui programmi, sulle fonti dei finanziamenti, sui modi di sopravvivere – una conoscenza da cui molti avrebbero potuto trarre vantaggio. Inoltre non sono stati menzionati tutti gli altri spazi che non erano presenti…
Tutto sommato è stata una buona esperienza, ed è stata una scelta esserci, ma si sarebbe potuto fare qualche sforzo in più per assicurarsi che non sembrasse che la Tate stesse riempiendo dei vuoti nella sua programmazione con alternative più economiche (il collettivo artistico dei Black Dogs ha stimato che le spese non pagate dalla Tate per l’evento ammontino a circa £240,000) e non meritevoli della sua piena attenzione."

Testo originale della lettera di protesta diffusa da M.A.L. (Making A Living) in pdf


Il comunicato stampa con i partecipanti e i dettagli dell'evento

Le puntate precedenti della nostra inchiesta sugli spazi non profit italiani:

Italia - Inghilterra: 1 - 1 (maggio 2010)

Vicini di casa (marzo 2010)

Il tavolo di Roma (gennaio 2010)

Luoghi di carattere (marzo 2009)

Mutevole Non (febbraio 2009)

Interrogativi (dicembre 2008)

Voler essere uno dei tanti (novembre 2008)


Politiche: paralleli e meridiani (novembre 2008)

Scambi d’arte ‘made in Europe’... (novembre 2008)

Oggi, ieri, domani (settembre 2008)

Farsi spazio (settembre 2008)

Il Lungomare di Bolzano (luglio 2008)

Abbasso Prospero e Robinson Crusoe (giugno 2008)

Meno veloce della luce (aprile 2008)

Il totale è più della somma… (aprile 2008)

A Berlino, tra Biennale e sperimentazione (marzo 2008)


Qualcosa di nuovo a Milano #2 (marzo 2008)


Napoli bella e dannata (marzo 2008)

Qualcosa di nuovo a Milano #1 (marzo 2008)

Ospiti di Nosadella.due (febbraio 2008)

E’ la volta di 1:1projects (febbraio 2008)

FormContent: profilo di uno spazio (gennaio 2008)


Michela Gulia è laureata all'Università "La Sapienza" di Roma in storia dell'arte contemporanea, con una tesi sugli spazi artistici indipendenti nell'Italia degli anni '60 e '70. Dopo aver lavorato presso la Fondazione Baruchello (Roma), da gennaio del 2008 collabora con UnDo.Net ad un'indagine sulle realtà non profit in Italia, attraverso una serie di interviste ai suoi protagonisti. Nel 2009 ha fondato con Gabriella Arrigoni la piattaforma curatoriale Harpa Projects.