Attraversare le contingenze allargando le prospettive

25/06/2010
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Corpus - Arte in azione


Lo scenario latino americano con Tania Bruguera, Regina José Galindo, Maria José Arjona e Teresa Margolles, ma anche i partenopei MaraM e Sebastiano Deva con la croata Xena Zupanic. Sono loro che hanno dato "corpo" ad un'intensa rassegna di performance al Museo Madre di Napoli tra live art e teatro, polemiche e partecipazione corale.
Trasgredire, attivare, mettere in scena, creando contro-reazioni ed effetti non solo emotivi, con l'obiettivo di coinvolgere l'ambiente circostante e la collettività. "Tutti questi artisti lavorano sul corpo in chiave politica. Ci è sembrato interessante, anche visto il momento di scarsa libertà espressiva nel nostro Paese" affermano i curatori Adriana Rispoli ed Eugenio Viola in questa intervista, che racconta i "fatti" nella loro successione e non solo.



Tania Bruguera, conferenza stampa al Museo Madre, 7 giugno 2010. Courtesy l'artista e Museo Madre. Foto Amedeo Benestante




Eugenio Viola, Adriana Rispoli e Tania Bruguera durante la conferenza stampa. Courtesy l'artista e Museo Madre. Foto Amedeo Benestante




Maria José Arjona, Vires. Exercises on Power. Exercise I. Performance at Madre Museum. Courtesy Museo Madre e l'artista. Foto Amedeo Benestante




Maria José Arjona, Vires. Exercises on Power. Exercise II. Performance at Madre Museum. Courtesy Museo Madre e l'artista. Foto Amedeo Benestante




Maria Josè Arjona, Vires. Exercises on Power. Exercise III. Performance at Madre Museum. Courtesy Museo Madre e l'artista. Foto Amedeo Benestante




MaraM, 2/2. Courtesy l'artista e Museo Madre. Foto Eugenio Viola




MaraM, 2/2. Courtesy l'artista e Museo Madre. Foto Eugenio Viola




Teresa Margolles, L'impossibilità di rappresentare la tragedia, 2010. Courtesy Museo Madre e l'artista




Teresa Margolles, Senza titolo, 2010




Sebastiano Deva / Xena Zupanic, Mystica. Courtesy degli artisti e Museo Madre. Foto Amedeo Benestante




Sebastiano Deva / Xena Zupanic, Mystica. Courtesy degli artisti e Museo Madre. Foto Amedeo Benestante




Sebastiano Deva / Xena Zupanic, Mystica. Courtesy degli artisti e Museo Madre. Foto Amedeo Benestante




Regina José Galindo: Untitled. Courtesy Museo Madre, copyright Amedeo Benestante




Regina José Galindo: Untitled. Courtesy Museo Madre, copyright Amedeo Benestante



Massimo Marchetti: Corpus - Arte in azione è una rassegna di performance che si tiene a Napoli. Questa seconda edizione è stata declinata al femminile e dedicata all'area dell'America Latina, con la partecipazione di alcuni grandi nomi della performance tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila come Tania Bruguera, Regina José Galindo e Teresa Margolles.
La rassegna è ideata da una coppia di curatori, Adriana Rispoli ed Eugenio Viola, che si occupano all'interno del Museo MADRE anche della Project Room, di cui poi parleremo.

Adriana, ci puoi spiegare come nasce e come si struttura Corpus - Arte in azione?


Adriana Rispoli: Abbiamo iniziato lo scorso anno all'interno di un contenitore molto più ampio che è il Napoli Teatro Festival. Corpus è una sezione curatoriale organizzata dal MADRE all’interno del festival relativa alla performance, che ha un'accezione molto vicina al teatro ma allo stesso tempo estremamente lontana.
La performance abbraccia diversi campi dell'arte: dalla danza, alla musica, allo spettacolo vero e proprio, ed è qualcosa che manca abbastanza in Italia, soprattutto da quando sono venute meno esperienze come quella che organizzava Fabio Cavallucci a Trento.
Quest’anno abbiamo scelto di approfondire lo scenario latino americano. Contemporaneamente si sono esibiti una giovane performer napoletana, MaraM e un altro napoletano accompagnato da una performer croata: cioè Sebastiano Deva e Xena Zupanic.
Tutti loro lavorano sulla performance e sul corpo in chiave politica. Ci è sembrata un’esperienza interessante, anche visto il momento di scarsa libertà espressiva nel nostro Paese. Forse la performance è oggi la forma d'arte che riesce maggiormente a scuotere gli animi degli spettatori, anche quelli non "specialisti".
È proprio questo l'obiettivo delle azioni live. Non a caso oggi sarebbe più corretto parlare di live art, perché in realtà queste performance partono certamente dal corpo, ma coinvolgono l'ambiente circostante, lo spazio, la stessa collettività: i lavori realizzati al MADRE hanno coinvolto anche parte della cittadinanza.
Come quello di Maria José Arjona, artista colombiana di grandissima forza interiore e fisica, che ha realizzato una performance di tre giorni - ecco anche la durata è un aspetto fondamentale in questo programma - che duravano tutta la giornata e in cui era fondamentale il rapporto che l'artista instaurava con il pubblico.
Un rapporto mai passivo ma attivo, fino ad uscire dalle mura, se vogliamo cristalline e mute di un museo, per aggirarsi nella parte più storica e popolare della città che è appunto il quartiere dove sorge il museo. Questa performance era intitolata Vires (exercises on power), qui, come l’artista stessa spesso sottolinea, il corpo diventa significante in sé ed è strumento di comunicazione anche senza messaggio; penso che sia proprio questo ciò che la performance riesce a dare in maniera più diretta rispetto agli altri media.

Annalisa Cattani: Secondo te questo tipo di azioni si possono considerare vere e proprie forme di attivismo politico, o la funzione artistica e talvolta anche il contenitore prevalgono e ne offuscano l'efficacia?

Adriana Rispoli: Secondo me ed Eugenio tutti gli atti artistici di valore hanno una valenza politica, ma la performance - e queste in particolare - sono dei veri e propri atti di denuncia politica.
È chiaro che le quattro artiste sudamericane che stiamo citando sviluppano in partenza un lavoro basato sulla riflessione politica, nel loro Paese prima di tutto, ma anche in senso più universale. Credo comunque che l’estetizzazione non prevalga sul messaggio. Questo è forse uno degli aspetti più interessanti. Ad esempio il lavoro di Teresa Margolles, che è strettamente legato alle vicissitudini scioccanti del Messico e che difficilmente superano le frontiere nazionali, riesce tuttavia a comunicare un forte messaggio di dissidenza attraverso azioni minimali, talvolta quasi invisibili.
Per cui il fatto di trovarsi all'interno di un museo rende l'operazione forse elitaria, però a mio parere il messaggio politico non è assolutamente in secondo piano rispetto a quello artistico.

Massimo Marchetti: Prima citavi il contesto in cui si svolge una performance; è proprio questo il carattere che distingue la performance contemporanea dalla body art storica, cioè il fatto di uscire dal corpo, di riverberarsi in modo sempre più incisivo sul corpo sociale piuttosto che sul corpo dell'artista?
Ad esempio parlando di Teresa Margolles mi è venuto in mente il Padiglione nella scorsa Biennale, che conservava semplicemente i resti di azioni che si svolgevano in contesti di delitti, di crimini...


Adriana Rispoli: Hai detto la parola chiave a mio avviso, ovvero il corpo non è più solo quello specifico dell'artista e quindi il teatro delle azioni diviene il corpo sociale, la collettività che oggi diventa parte fondamentale dell'azione.
Il pubblico ha sempre avuto una grande importanza nella performance relativa all'hic et nunc del momento e dello spazio in cui accade, però in questo caso, così come stiamo cercando di dimostrare con questa seconda edizione di Corpus, la performance diventa un atto corale, il vero e proprio soggetto diventa la collettività.

Annalisa Cattani: Eugenio, secondo te in un periodo in cui la comunicazione verbale perde sempre più efficacia e riscontro, come diventa il corpo il luogo dell'argomentazione?

Eugenio Viola: In questo scenario il corpo torna prepotentemente ad essere il luogo dell'argomentazione, della messa in questione perché come tu giustamente affermi, viviamo un momento caratterizzato da una grande confusione mediatica.
La complessità è probabilmente l’aspetto che più di ogni altro caratterizza il nostro tempo: le sempre più sofisticate tecnologie di controllo e manipolazione del vivente (biotecnologia, ingegneria genetica) unite a quelle di elaborazione e trasmissione di informazione digitale (realtà virtuale, intelligenza artificiale), impongono un riadattamento di alcune dicotomie fondanti il pensiero moderno: mente/corpo, animale/umano, pubblico/privato, reale/virtuale, vero/falso, naturale/artificiale, maschile/femminile, organico/inorganico.
Il rinnovato interesse per l’umano si intreccia con l’emergenza di nuove prospettive epistemiche che ne mettono in discussione la presunta intangibilità invalidando le tradizionali distinzioni ontologiche e metafisiche tra referenze umane e alterità non-umane, siano esse di natura biologica o macchinica.
Per questi motivi una serie di azioni apparentemente minimali tornano ad essere luogo di comunicazione, come un'interfaccia tra l'artista e il mondo, un modo per rielaborare l'eterogeneità dell'esperienza vissuta.
Le esperienze di quest’anno sono tutte accomunate da una dilatazione temporale: come nel caso di Maria José Arjona come diceva Adriana, ma anche in quello di Teresa Margolles, dove l'azione si reiterava ciclicamente raggiungendo picchi di empatia fortissima, ma anche nella controversa performance di Sebastiano Deva, in cui c'era il diaframma del web, poiché si poteva vedere la clausura della mistica, o come amo dire della "cyber-mistica", attraverso una webcam per sei giorni prima dell’azione finale.

Annalisa Cattani: Riguardo queste artiste, in particolare Tania Bruguera che è contraria alla documentazione della performance e soprattutto è contraria alla documentazione come opera (e questo per me è molto importante perché riporta le persone a dover essere presenti nel momento in cui l'azione accade), credi che questa presa di posizione riavvicini alla performance, non solo il pubblico, ma anche il teatro e l'arte in modo più efficace?

Eugenio Viola: Non necessariamente, perché il problema della documentazione è di vecchia data. Fin dagli anni Settanta, con la cosiddetta Body Art storica ovvero quella del corpo come linguaggio, per dirla con Lea Vergine, la documentazione, che poi soltanto in un secondo momento è assurta al rango di opera, sopravviveva come mera traccia post-mediale raffreddata di quella che era stata l'azione performativa, la quale si dissolveva appunto nell'hic et nunc dell'azione stessa.
In quanto linguaggio ibrido, e quindi contemporaneo par excellence, la performance è attraversata da una serie di tangenze e sconfinamenti di numerosi ambiti.
È l’auto-rappresentazione del corpo dell’artista stesso a porsi come opera attraverso una serie di azioni che si dileguano nella loro stessa mise en scène, mettendo in atto uno slittamento che azzera le tecniche artistiche tradizionali e contemporaneamente ogni diaframma tra opera e artista, soggetto e oggetto, arte e vita.
È quindi normale che queste stesse tracce, successivamente estetizzate, siano poi diventate opera, qualcosa legata all’azione stessa e quindi documentazione, traccia, memento, ma allo stesso tempo qualcosa di completamente autonomo.

Massimo Marchetti: A proposito dell'azione di Tania Bruguera sappiamo che c'è stata una conferenza stampa e che la performance prevista è stata annullata; ci puoi spiegare come sono andati i fatti?

Eugenio Viola: Tania doveva aprire la seconda edizione di Corpus con la sua performance, costituita da un incontro con alcuni femminielli.
Il femminiello è una singolare figura di omosessuale che fa parte del tessuto sociale dei quartieri popolari del centro storico di Napoli dove è una persona rispettata. È una figura antropologica, quasi apotropaica del milieu napoletano, importantissima nell'economia sociale di alcuni strati sociali.
La performance era prevista per le 19 e si doveva chiamare Touched by Discipline, ma Tania ha deciso la mattina stessa di annullare la performance e di indire una conferenza stampa organizzata last minute.
Il brusco cambio di programma, oltre i comprensibilissimi scetticismi legati alla pratica di un’artista come Tania Bruguera, ha lasciato di stucco noi in primis.
Ove mai di performance si sia trattata, Adriana ed io ci siamo trovati, nostro malgrado, a diventarne parte integrante, così come celebrato dalla mediaticità onnivora di youtube, che eternizza beffarda le nostre facce di stucco.
La strategia estetica messa in atto dalla Bruguera si nutre dell’insieme di connessioni – azioni, reti, situazioni, contro-reazioni ed effetti di senso – stabilite intorno a un soggetto, un’azione, che diventano processo e produttori di significato oltre la attualità dell’opera o dell’evento stesso. Si è trattato di una operazione che consiste nel trasgredire una frontiera e trasgredendola, di metterla contestualmente in mostra, di renderla evidente.

UnDo.Net: Che reazioni ha suscitato questa conferenza stampa, è stata percepita come una performance? Lei desiderava che fosse percepita come una comunicazione o come un'opera?

Adriana Rispoli: Posso garantirti che il volere di Tania era unicamente quello di fornire una comunicazione.
In realtà il pubblico cui lei avrebbe voluto rivolgersi non era prettamente quello dell'arte, e questo è quanto lei ha dichiarato anche nelle interviste.
Chiaramente trovandoci al MADRE ed essendo anche la sua prima volta in città, il pubblico aspettava la performance che era stata annunciata. Le persone - come si ha anche modo di notare dai video che qualcuno ha caricato su YouTube - hanno avuto reazioni controverse, nel senso che buona parte non ha preso bene la notizia della cancellazione della performance e della sua trasformazione in una conferenza stampa, soprattutto per il motivo che poi Tania ha rivelato, ovvero la sua visione mistica. Tuttavia noi, come curatori della rassegna, abbiamo voluto darle lo spazio che le avevamo dedicato affidandoci completamente alla sua volontà, e siamo rimasti abbastanza sbigottiti anche noi dalla sua scelta.
La sua decisione nasce da un momento critico che ha vissuto precedentemente in Spagna. Poi a Napoli il momento era quello del Corpus Domini e della seconda apparizione di Fatima, però a detta sua questa è stata soltanto una coincidenza.
La reazione del pubblico è stata totalmente contrastante; c’è stato chi ha dichiarato di amarla e che è un'artista incredibile, mentre altri sono stati particolarmente irritati da quella che secondo loro era solo una provocazione. È stato interessante quello che è successo durante questo incontro.

(Durante la conferenza Tania Bruguera ha raccontato di aver sentito delle voci mentre camminava nella notte. Pur non essendo religiosa o credente, l'artista e' stata molto scossa dalle parole che ha sentito, secondo cui gli ultimi disastri mondiali - come l'eruzione del vulcano islandese o il petrolio riversatosi nel golfo del Messico - sono segni di Dio che ci richiama a un maggiore rispetto per gli altri e per l'ambiente e a riconsiderare i modi di soddisfare i nostri bisogni materiali. A causa di questa esperienza Tania Bruguera avrebbe deciso di annullare la performance prevista e diffondere questo messaggio. n.d.r.)

UnDo.Net: Com'è andata invece la performance di MaraM, e quella a cui ha partecipato Xena Zupanic?

Adriana Rispoli: L'ultima settimana ha visto protagonisti alcuni esponenti napoletani dell'arte performativa, abbiamo invitato MaraM, artista molto giovane che ha realizzato, al crepuscolo, una vera e propria live installation di un'eleganza e di una poesia incredibili, all'interno del cortile del MADRE.
L'artista ha simulato una sorta di crisalide offrendosi al pubblico a testa in giù ribaltando il punto di vista. Ha intitolato questa performance 2/2 proprio perché voleva rappresentare la presenza e allo stesso tempo l'assenza del corpo attraverso il movimento lento e quasi impercettibile del costume.
Questa operazione, data da movimenti lentissimi che sottolineavano una forza fisica, oltre che mentale, estrema, si è conclusa con il disegno degli occhi, che rappresentavano l'alterità, sulla schiena.
Sebastiano Deva era accompagnato dalla croata Xena Zupanic, già nota per aver partecipato a Markette con Chiambretti. Deva ha invitato la Zupanic a realizzare un'estasi mistica. Questa performance ci sembrava un corollario importante in una rassegna come Corpus, anche perché dà una lettura del corpo "religiosa".
In realtà la performance è stata anticipata da un'interessante operazione mediatica, che ha generato "scandalo in città". Consisteva in manifesti pubblicitari che rappresentavano volti di donne in estasi, assolutamente non sconci o volgari, nei quali erano riprese frasi storiche - appartenenti alla letteratura in generale e non solo a quella cattolica - di mistiche come Santa Teresa d'Avila, Angela da Foligno, Maria Maddalena de' Pazzi.
Questa operazione pubblica è stata ahimè censurata dal nostro sindaco, che come sempre si rivela un po' bigotto.
In realtà questa campagna pubblicitaria accompagnava un'operazione mediatica ben più incisiva che era la clausura della performer, infatti la Zupanic interpretava una mistica di oggi ed ha realizzato 153 ore di clausura all'interno della chiesa sconsacrata di Donna Regina vecchia - che è anche una parte molto interessante del Museo MADRE dove talvolta vengono allestite delle mostre.
La performance Mystica è stata quindi il momento di sublimazione finale, di rappresentazione visiva dell'estasi mistica.
Questa si è compiuta in un'atmosfera psichedelica assoluta, attraverso tre momenti principali che sono stati rappresentati da Xena prima nel momento dell'invasamento religioso, poi in quello della purificazione attraverso il bagno nel latte e tutta una serie di riti apotropaici, fino alle nozze mistiche, attraverso la sublimazione fra luci e fumo.
Credo che la performance abbia comunicato molto al pubblico e che sia stata in assoluto quella di impianto più decisamente teatrale.

Eugenio Viola: Xena ha anche realizzato una serie di performance alla metà degli anni '90 con Harald Szeemann, ha una storia molto eterogenea e trasversale.
Aggiungendo un ultima cosa a proposito di Mystica, che tanto ha urtato il nostro sindaco, in realtà la sintesi di misticismo e religione è una cosa che risale alla notte dei tempi, alla storia del cattolicesimo.
È presente in una serie di opere d'arte in cui è insito un discorso di forte ambivalenza, se non di vera e propria ambiguità. L'esempio principe ed anche quello più scontato è L'estasi di Santa Teresa del Bernini, un'opera che già a Bataille era sembrata perversa a causa della sintesi indissolubile di deliquio e desiderio. In questo caso c'è stata una censura, d'altronde lo stesso Sebastiano Deva è stato censurato l'anno scorso per un'opera presentata al PAN.
Ma questo non succede soltanto a Napoli, io fui censurato nel 2007 per la famigerata Arte e omosessualità dal sindaco di Milano.
Diciamo che il meccanismo censorio realizza finalmente la par condicio: un po' a destra e un po' a sinistra, mette d'accordo tutti. E si può ricordare quanto è successo con l'opera di Martin Kippenberger a Bolzano.
Diciamo che quando si toccano alcuni argomenti si scivola sempre su una buccia di banana. Ma si badi bene, questa non è una questione solo italiana. È capitato all’epoca anche con gli ex Young British Artist, esempio più eclatante di abilità nel manovrare a proprio favore i media.
Più in generale diciamo che l'arte contemporanea si nutre di questo rapporto ambiguo e perverso con gli pseudo scandali, però spesso questa operazione atta a dare una maggiore visibilità rischia di offuscare il significato dell'operazione artistica e di depotenziarla, perché poi diventa gossip, strumentalizzazione obliqua e politica. Noi non riteniamo di avere offeso la morale, c'è molta più volgarità in televisione, basta fare uno zapping per verificare quello che sto dicendo.
Ovviamente fare scandalo non è il nostro obiettivo, noi vorremmo che si parlasse di più della qualità o della non qualità di quello che facciamo. Amo spesso ripetere: all’artista libertà di espressione, al critico di selezione, al pubblico di opinione. Ad ognuno la responsabilità morale delle proprie scelte.

UnDo.Net: e le azioni di Teresa Margolles e Regina José Galindo come si sono svolte?

Adriana Rispoli: entrambe, come la Bruguera, sono già molto note in Italia per le loro partecipazioni alla Biennale di Venezia.
Teresa Margolles ha sviluppato il suo progetto in tre giorni : "L'impossibilità di rappresentare la tragedia", realizzata con l’ausilio di oltre 170 volontari napoletani chiamati a “rappresentare” una folla anonima avvolta completamente dal buio che all’interno della sala era percepita come un inquietante brusio. Una sorta di preghiera collettiva prolungata ogni giorno di qualche minuto in memoria dei morti in continuo aumento nella città di confine con gli USA di Ciudad Juarez. A causa dell’ “l’impossibilità di rappresentare la tragedia” materialmente, i morti, ad oggi sono più di 1300 tra donne uomini e bambini, l’artista ha scelto di far ricamare croci in filo d’oro su tele intrise con la terra e il sangue dei luoghi dove sono avvenuti i crimini. La Margolles continua a muoversi su un percorso relativo all'indagine sulle stragi silenziose che avvengono nel suo Paese ed in particolare quelle legate al narcotraffico e ai cartelli di Ciudad Juarez o Sinaloa.

Eugenio Viola: Il lavoro di Regina José Galindo, sempre molto politicizzato, è questa volta meno direttamente legato al suo Paese, ma comunque di grande impatto emotivo.
L’artista si è presentata al pubblico in una situazione di estrema fragilità: nuda e in posizione fetale all’interno di un guscio trasparente, una cupola. L’azione, tra lo stupore generale del pubblico, ha visto l’irruzione improvvisa di una folla di giovani, donne ed uomini che con violenza e rabbia estrema hanno aggredito il guscio contenente l’artista con bastoni di legno e di metallo.
Partendo dalla riflessione sulla paura come strumento di controllo nella società contemporanea e in primis dei regimi totalitari, l’artista, in un crescendo di adrenalina, ha messo a nudo quei sentimenti contrastanti che si generano di fronte ad atti violenti gratuiti e allo stesso tempo dimostrato l’indifferenza e l’impotenza del pubblico rispetto a questi stessi avvenimenti.
Fin dove può resistere la nostra indifferenza di fronte a un atto violento? Qual è il momento in cui decidiamo di agire e prendere le difese di una persona inerme che subisce un sopruso? Dove finisce la paura e ha inizio la nostra reazione? Un tentativo di scuotere, attraverso il linguaggio altamente metaforico dell’arte la nostra società, sempre più tragicamente anestetizzata.

UnDo.Net: Nelle performance storiche si ha la percezione che gli artisti abbiano un ruolo sciamanico. Secondo te c'è questo atteggiamento nelle artiste sudamericane che avete invitato?

Eugenio Viola: non so quanto sia appropriato parlare di sciamanesimo, esiste una lunga e gloriosa tradizione a riguardo che si riferisce ad una situazione ben precisa, il riferimento a Beuys corre quasi automatico... Allargando semanticamente il concetto sarei più portato a dire che queste artiste hanno sicuramente un grande magnetismo, sono capaci di catalizzare empaticamente il pubblico; questo è quello che si poteva riscontrare in ognuna di loro.

Massimo Marchetti: Voi siete anche i curatori della Project Room del MADRE, ci piacerebbe che descriveste il taglio che avete dato ai due cicli di mostre Transit e Spot. È un processo di valorizzazione che riguarda i giovani artisti napoletani ma in cui vi interfacciate con la realtà mediterranea.

Eugenio Viola: Assolutamente. Abbiamo riflettuto sulla posizione geopolitica e sul sostrato antropologico di Napoli, sul ruolo centrale che la città aveva in quello che una volta era definito Mare Internum o Mare Nostrum.
La programmazione svolta in questi due anni mira a riattivare simbolicamente le antiche rotte mediterranee, partendo dal passato dei luoghi riflette sul loro presente e sui delicati equilibri sociali e ambientali, sul ruolo della storia con la sua eredità di conflitti e lacerazioni; Napoli è, in un certo senso, l’ultima città europea e la prima città mediterranea.
La città sul limite, che vive al limite, sarei portato a dire. Questa caratteristica riassume la sua storia antica e allo stesso tempo introietta la sua vocazione meridiana di porto aperto sulla coinè mediterranea.
Queste suggestioni hanno informato la programmazione che ho approntato con Adriana per la Project Room del Madre: Transit è un progetto di network in progress, realizzato con alcune città del bacino mediorientale, tutte “eccentriche”, nel senso etimologico del termine, alle grandi capitali del sistema dell’arte.
In ognuno di questi luoghi abbiamo lavorato con curatori indipendenti e/o istituzioni che ci hanno proposto un giovane artista da esporre, attraverso bi-personali, con un artista napoletano nella Project Room del Madre. Lo schema è il seguente: entrambi propongono progetti site-specific, realizzati a seguito di un breve periodo di residenza che ognuno degli artisti, il nostro e il loro, svolge nella città dell’altro: l’artista straniero a Napoli, il nostro nella città del partner di volta in volta individuato.
I rispettivi lavori riflettono questa esperienza: lo sguardo dell’uno sulla realtà di provenienza dell’altro. Ogni mostra si svolge in due tempi: una volta chiusa al MADRE si sposta nel paese di provenienza dell’artista straniero invitato. Abbiamo iniziato lo scorso marzo col Cairo, poi è stata la volta di Istanbul: Transit 2 ha inaugurato lo scorso luglio a Napoli per poi riaprire a settembre negli spazi di PiST/// come evento collaterale dell’XI Biennale di Istanbul; analogamente Transit 3 dopo aver chiuso i battenti al MADRE nel mese di novembre ha inaugurato a dicembre negli spazi del CCA di Tel Aviv.
L’ultima tappa, inaugurata a fine maggio, è stata organizzata in partnership con lo State Museum of Contemporary Art di Salonicco, dove Transit 4 riaprirà il prossimo 27 ottobre.
Transit è un modo per rileggere attraverso il presente e il linguaggio metaforico dell’arte, le complessità e le stratificazioni di questi luoghi che, da sempre, integrano nel proprio tessuto nuovi conflitti, contraddizioni e dinamiche.
È ancora, in ultima analisi, lo specchio di un modus operandi che trovo molto valido, che si basa sull’idea dello scambio, del network, oltre l’auto-referenzialità spinta del sistema dell’arte. A Transit si sono alternate un ciclo di mostre più brevi, con interventi ancora site specific, realizzati da giovani artisti napoletani alle prime esperienze espositive.
È questa un’operazione atta a dare una visibilità temporanea alla creatività locale - appunto uno Spot, da qui il nome di questa serie di mostre - che intercettano energie trasversali e ancora sommerse, non ancora o solo embrionalmente inserite nel sistema. Tutte queste esperienze, per noi importantissime, saranno racchiuse in un catalogo che presenteremo il prossimo autunno e che coinciderà con la riorganizzazione della programmazione, della Project Room, ancora in progress…
Transit è, in ultima analisi, un modo per costruire un progetto non autoreferenziale, noi siamo contro l'autoreferenzialità spinta del sistema dell'arte: non a caso Adriana ed io, nonostante le reciproche esperienze da “single”, lavoriamo spesso in coppia.


Il comunicato stampa della seconda edizione di Corpus. Arte in azione

Questa intervista è stata realizzata in fasi successive. Su Voices puoi ascoltare la prima parte, registrata il 17 giugno.

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