Attraversare le contingenze allargando le prospettive

30/03/2011
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La casa delle parole

Senza limiti è l'immaginazione, il gioco dei fraintendimenti, la catena dei significati. Soprattutto quando si parla di cose che non ci sono, magari di idee o di azioni che si possono solo raccontare, per le quali ognuno costruisce le proprie immagini mentali e che a sua volta può poi illustrare a qualcun altro.
Una mostra a Ferrara mette in campo 32 curatori e 30 grandi opere, senza fondi. Ma forse è solo una storia, anzi tante storie... sentiamo quella che racconta Federica Zabarri.

Dove si parla di Unf(o)unded: una mostra che molti hanno ascoltato e nessuno può vedere.



Alcune immagini della mostra 'Unf(o)unded', Museo Casa Ariosto, Ferrara. Foto Eugenio Squarcia | ESMA Creative Studio




Alcune immagini della mostra



Alcune immagini della mostra al Museo Casa Ariosto




Unf(o)unded, veduta della mostra. Foto Eugenio Squarcia | ESMA Creative Studio




Unf(o)unded, veduta della mostra. Foto Eugenio Squarcia | ESMA Creative Studio




Sophie Calle, Last Seen...(Vermeer, The Concert), 1991. Collezione The Bohen Foundation, New York. Foto courtesy the artist




Gino De Dominicis, Installation view at P.S.1, 2008/2009. Foto Matthew Septimus. Courtesy P.S.1 Contemporary Art Center




Bruce Nauman, Body Pressure, 1974. All'interno della mostra 'Come as you are', Kunstraum: Morgenstrasse, Karlsruhe, 2010. Courtesy Kunstraum: Morgenstrasse. Foto Jacob Birken




Tino Sehgal, This is So Contemporary, Biennale di Venezia, 2005




Qual è la trama di questo progetto?

Federica Zabarri: Il filo conduttore di tutto quello che abbiamo messo in scena - anche se nel risultato finale non si vede - è il desiderio di creare una mostra senza avere assolutamente fondi. E la cosa non è partita tanto come una sfida, ma proprio dalla situazione reale che noi giovani curatrici di una città come Ferrara stiamo affrontando.
Le prime idee che ci sono venute in mente erano puramente un gioco, provocazioni derivate dal dire: “forse possiamo anche fare una grandissima mostra, invitare un sacco di nomi importanti, e forse alla fine riuscire a raggiungere il pubblico, proprio se in realtà non gli facciamo vedere niente”. Poi a poco a poco ci siamo resi conto che quest'ipotesi aveva delle grandi potenzialità, come poter dire qualcosa a proposito del sistema museale italiano o sul valore di tutto quello che è parte di un'esposizione, che certo è fatta di opere, ma anche di tutto il lavoro di contorno, della comunicazione, del significato di cui può farsi portatrice. Questo è ciò che ci ha fatto procedere nel realizzare questo progetto.

Mi racconti la casa del poeta? Visto che è una mostra fatta di parole che si svolge nella casa di Ariosto...

F.Z.: Questa è una location molto particolare, perché è parte del circuito dei Musei Civici di Arte Antica di Ferrara ma nello stesso tempo è riuscita a diventare un punto di riferimento per la giovane arte della nostra città. E' una piccola casa, con alcune stanze dedicate a mostre contemporanee, mentre il piano di sopra è dedicato al poeta. La possibilità di usare questo spazio e di sfruttare questo connubio, nasce dalla collaborazione con il direttore, Angelo Andreotti, che è sempre stato molto attento, ospitale e soprattutto entusiasta nel momento in cui gli abbiamo parlato di questa nostra idea.

La dimensione intima delle stanze e delle sale si è prestata molto bene a quello che abbiamo inscenato.
All'ingresso c'è una piccola sala che si affaccia sulla strada, dove sono state collocate le opere di Cattelan, della Horn e addirittura di Oldenburg; poi, tramite una piccola porta, si accede a una seconda sala più lunga che si affaccia invece sul cortile. Qui abbiamo inscenato vari lavori, tra cui la “finta” proiezione di opere video. Gli unici arredi sono quelli del museo e quindi non si vedono che gli ingombri, segnati da un nastro rosso che delimita e dà l'idea di quello che dovrebbe essere il volume occupato dalle opere, che in realtà non ci sono.
Da lì si passa una terza saletta che dà anch'essa sul cortile e qui si trova un meraviglioso camino che fa parte della struttura originaria. In questa zona sono state “allestite” opere di area concettuale, tra cui spicca sul grande muro di fondo One and three chairs di Joseph Kosuth, di cui ancora una volta sono solo disegnati i contorni. Questa è un'opera che ci ha dato molta soddisfazione, perché proprio il fatto che non ci sia niente di quello che la compone, l'ha in un certo senso ulteriormente enfatizzata.
Infatti, noi stessi ci siamo resi conto solo durante l'allestimento che la mostra non gioca soltanto ironicamente con questi grandi nomi, ma vuole anche dar loro una dignità e rendergli omaggio. Perché è proprio la necessità di vedere le opere solo nella propria mente a renderle così forti e presenti, e nonostante di fatto ci sia solo un profilo rosso, queste occupano veramente la stanza.

Il percorso conduce poi a un raccolto e meraviglioso cortile interno, in cui ci sono ancora dei roseti che si narra vennero piantati dall'Ariosto stesso; lì sono state inscenate delle performance, che possono essere fruite attraverso il puro e semplice racconto, nella forma di didascalie “donateci” da alcuni grandi curatori. Infine si accede a un giardino segreto pieno di bellissimi tigli, dove per l'occasione è stata proposta quella che dovrebbe essere l'opera di Nagasawa, che appunto ruota attorno al tema degli alberi.
La vera provocazione di questo percorso sta in realtà nell'essere accompagnati dall'oggetto per antonomasia delle grandi mostre, ovvero l'audioguida, nel quale troviamo le opere sotto forma di narrazione.

...ma in questo racconto il gioco si inanella; per esempio Annalisa Cattani ha scelto di descrivere un'opera basata su opere che sono scomparse...

F.Z.: La cosa molto bella è che quando abbiamo pensato appunto a questo gioco - che è nato quasi in maniera istintiva, esattamente come l'abbiamo pensato - abbiamo capito che era necessario coinvolgere altre persone, perché non avrebbe avuto senso essere contemporaneamente le promotrici del progetto e le autrici dei racconti.
Così abbiamo immediatamente contattato una serie di curatori ed è stato meraviglioso il modo in cui ci hanno risposto, in maniera davvero intelligente. Alcuni di loro hanno scelto proprio l'aspetto dell'arte contemporanea di essere già un racconto e di raccontare situazioni, come appunto il caso della Cattani che ha voluto raccontarci Last Seen, lavoro di Sophie Calle centrato su una mancanza, su opere che sono state rubate; oppure Guido Bartorelli che appena è stato informato del progetto ha deciso entusiasticamente di partecipare, e ci ha detto subito che avrebbe portato il Cubo invisibile di Gino De Dominicis. E' ancora una volta un modo di parlare di ciò che è presente sottolineandone l'assenza.

Ma ci sono molti altri casi, ad esempio alcune performance come quella di Bruce Nauman, scelta da Massimo Marchetti, oppure Maria Letizia Paiato che ha proposto 4'33'' di John Cage, quindi l'assoluto nulla. In un certo senso si sono volute documentare opere che restano effimere e potrebbero finire col perdersi.
Siamo stati veramente molto contenti del modo in cui ogni curatore ha giocato a modo suo con l'idea di unf(o)unded, intesa certamente come “senza fondo”, ma anche come infondatezza materica di un'opera che comunque è assolutamente presente.

Quando si racconta una cosa chi ascolta può immaginarla in tanti modi; in questo caso si crea un gioco di interpretazioni tra quello che i curatori raccontano e quindi reinventano, e quello che il pubblico può a sua volta immaginare attraverso i loro racconti. Avete raccolto qualche reazione, qualche “racconto” del pubblico, di quello che ha percepito?

F.Z.: Sì, abbiamo avuto l'occasione di fare qualche domanda, non solo ai curatori ma anche alle persone durante l'inaugurazione, raccogliendo le loro primissime reazioni; ma forse quelle più divertenti le abbiamo recepite durante gli allestimenti, quando non si capiva ancora bene cosa sarebbe successo e passavano persone che erano lì per visitare la casa di Ludovico Ariosto.
Con grande soddisfazione mi sono resa conto che anche le persone forse meno abituate al contemporaneo, quando spiegavamo loro perché avevamo deciso di fare una mostra senza opere e il nostro tentativo di sensibilizzare il pubblico sulla mancanza di fondi per l'arte, capivano subito, era immediata la speranza di tutti che funzionasse; perché la mancanza di fondi nella cultura è qualcosa che tocca tutti, l'arte come il teatro e la musica, un patrimonio inteso come beni da conservare ma anche come eredità culturale.

Devo dire che anche le persone più “insospettabili” hanno avuto reazioni divertite e incoraggianti e molti hanno proprio sottolineato questa possibilità di immaginare cose che a volte non si conoscono... Questa è una mostra che nasce tra gli addetti ai lavori ma non è destinata a una “casta”, vuole aprirsi a un pubblico più ampio, quindi anche le audioguide sono semplici e i racconti danno la possibilità ad ognuno di immaginare qualcosa.
Molti poi hanno mostrato la curiosità di sapere come sono fatte le opere e ci hanno chiesto informazioni durante l'inaugurazione, per questo abbiamo attivato nel nostro sito la modalità di reperire le immagini di queste opere e di trovarne altre degli stessi autori.

E ora tutto questo discorso che si è sviluppato in modo orale finirà anche in scrittura. C'è qualcos'altro di scritto, oltre a quello che sarà questa intervista? Hai pensato al fatto che quello che dici poi sarà scritto?

F.Z.: No, anzi mi hai proprio spiazzata...
Fino all'ultimo abbiamo pensato a cosa offrire durante l'inaugurazione come momento di co-partecipazione, perché ci immaginavamo che ci sarebbe stata molta gente, molta confusione, le audioguide sono solo dieci e di solito all'inaugurazione si va per stare in una dimensione colloquiale, non si riesce davvero a godere di ciò che offre una mostra. Il ragazzo che ha curato con noi l'audio, Eugenio Squarcia, ha preparato quella che io considero una “chicca”: un montaggio particolarissimo, accompagnato da musiche da lui composte, in cui ha messo insieme brevi spezzoni di tutte le audioguide. Questo audio è diventato una sorta di gioco dell' “indovina l'opera” ed è stato di sottofondo durante l'inaugurazione, per cui ogni tanto tra le chiacchiere si sentivano le persone esclamare “Ah! Questa la conosco!”

Insomma è stata una soddisfazione realizzare un progetto che crediamo abbia un valore sociale, forse anche di denuncia, ma divertendoci. Penso che le persone che sono venute all'inaugurazione, e spero anche quelle che continuano a visitare la mostra, lo abbiano percepito, e forse in questo momento di crisi è utile scuotere gli animi in maniera positiva, perché le idee ci sono e bisogna portarle avanti. Non può essere solo la mancanza di fondi a fermarci, anzi: dimostrare che le idee ci sono e trovare un modo per lavorare può metterci nella condizione di pretendere in seguito di essere sostenuti.


Alcune delle audio-guide in mostra

Annalisa Cattani racconta 'Last Senn' (1991) di Sophie Calle


Guido Bartorelli racconta 'Cubo invisibile' (1967) di Gino de Dominicis


Massimo Marchetti racconta 'Body pressure' (1974) di Bruce Nauman


Lorenzo Balbi racconta 'This is Contemporary' (2005) di Tino Sehgal





Maggiori informazioni sulla mostra Unf(o)unded
Fino al 30 aprile 2011 al Museo Casa Ariosto
via Ludovico Ariosto 67 - Ferrara

Il sito web dell'Associazione Yoruba::diffusione arte contemporanea


Federica Zabarri, si è laureata nel 2003 presso l'Istituto Superiore per le Industrie Artistiche ISIA di Faenza (RA) con una tesi sulla Metodologia della Progettazione e la Strategia d'Immagine. Insegna in vari Istituti Superiori della provincia di Ferrara, in concomitanza all'attività di curatore e progettista culturale. Nel 2005 ha fondato, con M. Letizia Paiato, Francesca Marti e Giulia Boari, l'Associazione Yoruba::diffusione arte contemporanea, di cui e' l'attuale Vice-Presidente.