Attraversare le contingenze allargando le prospettive

06/03/2012
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In altre parole

Eleonora Farina intervista Elena Bellantoni, artista romana co-fondatrice di Platform Translation, progetto nato nel 2006 con il fine di indagare il concetto di Traduzione Culturale, ed Elena Agudio, co-curatrice dell'ultima tappa di questa piattaforma itinerante.
Presso la NGBK Neue Gesellschaft für Bildende Kunst e il Kunstraum Kreuzberg/Bethanien di Berlino si è da pochi giorni inaugurata la mostra “In Other Words. The Black Market of Translations – Negotiating Contemporary Cultures”: “Come i poeti e i traduttori costruiscono dal di dentro grazie alle nuance del linguaggio umano, gli autori e gli artisti invitati - lavorando negli interstizi e contrabbandando le parole degli altri - esplorano le complessità della realtà contemporanea al fine di offrirne la poliedrica varietà culturale e le sue aporie.”



Soledad Pinto, Capital['s] Punishment, 2012. Veduta dell'installazione, 'In Other Words', Kunstraum Kreuzberg/Bethanien Berlino. Courtesy dell'artista. Foto: Elena Bellantoni




Paolo W. Tamburella, World Languages, 2012. Veduta dell'installazione, 'In Other Words', Kunstraum Kreuzberg/Bethanien Berlino. Courtesy dell'artista. Foto: Elena Bellantoni




Yoel Díaz Vázquez, Sprich Deutsch oder Stirb, still dal video, 2012. 'In Other Words', NGBK Berlino. Courtesy dell'artista.




James Webb, Know Thy Worth, 2001-2012. Veduta dell'installazione, 'In Other Words', NGBK Berlino. Courtesy dell'artista. Foto: Elena Bellantoni




Detanico Lain, New Roman Times, 2006-2012. Veduta dell'installazione, 'In Other Words', Kunstraum Kreuzberg/Bethanien Berlino. Courtesy della Galeria Vermelho San Paolo. Foto: Elena Bellantoni




Elena Bellantoni, Looking for E.B., 2012. Veduta dell'installazione, 'In Other Words' Kunstraum Kreuzberg/Bethanien Berlino. Courtesy dell'artista.Foto: Elena Bellantoni




Mariateresa Sartori, The Sound of Language (Il Suono della Lingua), 2008. Veduta dell'installazione, 'In Other Words', Kunstraum Kreuzberg/Bethanien Berlino. Courtesy della Fondazione Querini Stampalia onlus Venezia. Foto: Elena Bellantoni<


Joaquín Ortúzar, 2008. Veduta dell'installazione, 'Transleat me', Atene. Courtesy dell'artista. Foto: Soledad Pinto




Francisca Sanchez, Potencias, 2008. Veduta dell'installazione, 'Transleat me', Atene. Courtesy dell'artista. Foto: Soledad Pinto




'Street Hacker 2', veduta della mostra alla Galería de Arte Centro de Extensión UC, Santiago del Cile. Foto: Soledad Pinto




Tom Robinson, With the Grain, 2009. Veduta dell'installazione, 'Street Hacker 2', Santiago del Cile. Courtesy dell'artista. Foto: Soledad Pinto




Soledad Pinto, Ruined, 2009. Dettaglio dell'installazione, 'Street Hacker 2', Santiago del Cile. Courtesy dell'artista. Foto: Soledad Pinto




Carlo Steiner, 2010. Veduta dell'installazione, 'I/F Interface', Roma. Courtesy dell'artista. Foto: Federico Ridolfi




Anna Scalfi, 2010. Veduta dell'installazione, 'I/F Interface', Roma. Courtesy dell'artista. Foto: Federico Ridolfi




Javier Rodríguez, Black Box, 2011. Veduta dell'installazione, 'On Books and Translation', Beirut. Courtesy dell'artista. Foto: Soledad Pinto




Artist talk con Daniela Allocca ed Elena Bellantoni in occasione di 'On Books and Translation', Beirut, 16 luglio 2011. Foto: Soledad Pinto




Intervista a cura di Eleonora Farina

Venerdì 2 marzo avete inaugurato una grande mostra dal titolo “In Other Words” presso due importanti e storici spazi espositivi di Berlino, la Neue Gesellschaft für Bildende Kunst e il Kunstraum Kreuzberg/Bethanien. Tu sei uno dei 44 artisti partecipanti.
In realtà però questo è solo l'ultimo atto di un progetto che, insieme ad altri tre artisti internazionali, stai portando avanti dal 2006. Parlaci un po' della nascita di “Platform Translation” ...

Elena Bellantoni:
“Platform Translation” è un progetto itinerante che coinvolge artisti e curatori provenienti da diversi Paesi europei, dall’America del Sud e dal Medio Oriente. La sua finalità principale è quella di esplorare e indagare il concetto di Traduzione attraverso pratiche artistiche e riflessioni teoriche.
Il gruppo PT è formato da quattro artisti: da me - Elena Bellantoni -, da Marwa Arsanios (Libano), da Soledad Pinto (Cile) e da Mihalis Theodosiadis (Grecia). Noi quattro ci siamo conosciuti a Londra nel 2006 grazie al Master in Visual Arts che frequentavamo presso la WCA University of the Arts London.
Abbiamo passato un anno full time condividendo pensieri e parole, riflettendo sul nostro lavoro e sulla nostra pratica artistica. La cosa che fondamentalmente ci ha legati all'inizio è stata la nostra condizione di 'artisti migranti': ci ritrovavamo tutti in uno stesso territorio che in fondo non ci apparteneva, parlando una lingua ibrida (quella inglese) che utilizzavamo perché necessaria ma non rappresentativa della cultura di nessuno di noi.

L'idea di una piattaforma sul concetto di Traduzione è nata dal desiderio di continuare in qualche modo il nostro 'discorso' sull'arte e di allungare il nostro sguardo attraversando più confini possibili. Abbiamo quindi iniziato a condividere diverse letture, partendo dal saggio di Walter Benjamin “Il compito del traduttore” passando poi per Jacques Rancière e finendo con lo sfiorare la babele di altri pensatori che nell'anno londinese hanno accompagnato le nostre intense giornate…
Abbiamo quindi cominciato a ideare la nostra piattaforma mobile (come una di quelle che, in mezzo al mare in tempesta, tornano sempre a riva) stabilendo sin dall’inizio delle regole chiare che ci hanno poi permesso di strutturare un intero progetto coerente.

Mi sembra molto interessante il processo che avete seguito, soprattutto nell’auto-regolamentazione che - come giustamente dici - è stata la chiave per far prendere forma e soprattutto consistenza a un progetto indipendente ideato da quattro giovani artisti.
Quali sono state queste 'regole d'oro' del vostro lavoro e della vostra collaborazione?

Elena Bellantoni
: La prima è stata l'orizzontalità. Essendo un'idea nata da un gruppo di artisti, il rapporto e le collaborazioni con i possibili curatori dovevano rimanere su questo stesso piano. Abbiamo quindi scelto e selezionato insieme gli artisti che, strada facendo, in ogni tappa si sono uniti al progetto.
Il compito del curatore era quello di accettare il nostro invito e di presentare una proposta chiara, declinando il concetto di Traduzione in modo funzionale al territorio del Paese ospitante e al contesto in cui si sarebbe inserita la mostra. D'altronde anche la prossima biennale berlinese - che aprirà a breve - è curata da Artur Żmijewski, artista e regista polacco. Quello di cui ci siamo presto resi conto è che non è prerogativa esclusiva dei curatori il pensare, lo scrivere e l'ideare un progetto; al contrario noi lo abbiamo considerato da subito come un''opera aperta'.

La seconda regola è stata quella della mobilità. Avevamo stabilito che il nostro dispositivo doveva essere mobile e flessibile e che ognuno di noi si sarebbe impegnato a cercare di portare la Piattaforma nel proprio Paese d'origine.
Noi quattro siamo quindi migrati di destinazione in destinazione insieme al progetto e in ogni nazione abbiamo presentato i nostri lavori (ogni volta realizzati per l'occasione) insieme a quelli degli artisti locali, scelti e selezionati dai diversi curatori che si sono susseguiti.

La terza regola è stata infatti quella dell'apertura al territorio. Come dicevo prima, in ogni nuova destinazione abbiamo cercato un nuovo curatore e dei nuovi artisti.

La quarta invece quella della continuità, decidendo che in ogni mostra ci sarebbe stato un intervento visibile, una traccia della tappa precedente. Abbiamo pensato di costruire così un fil rouge, creando una sezione in cui il curatore della mostra antecedente potesse attuare un dispositivo di comunicazione con la mostra in corso, portando alcuni artisti e sviluppando un progetto site specific. Questa catena di sant'Antonio ha creato nel tempo interessanti sincretismi.

La quinta e ultima parola chiave fondamentale per la nostra piattaforma è stata quella dell'immaterialità. PT è un progetto che abbiamo sviluppato, seguito e accudito attraverso lunghe ed estenuanti chiacchierate via skype. Essendo lontani chilometri uno dall’altro, il nostro sforzo è stato quello di metterci in una posizione di ascolto per tradurre le nostre idee.
Abbiamo imparato a interfacciarci creando un dispositivo trasversale, come un benjaminiano mantello in ampie pieghe, che ha fatto sì che noi stessi ne fossimo in qualche modo autori, protagonisti e fruitori allo stesso tempo. Siamo diventati tradotti e traduttori, o meglio traduttori/traditori.

Abbiamo quindi materializzato un complesso atto di comunicazione e di 'transcodificazione' culturale, che va aldilà della comprensione superficiale di un testo e della sua possibile traduzione e interpretazione. In questo senso abbiamo infatti inteso la Traduzione, come una negoziazione tra due poli (vale a dire tra il sé e gli altri, tra l'autoctono e lo straniero) legati in modo conflittuale nella definizione e nell'integrazione del concetto di resistenza, di rifiuto.
Di conseguenza in PT la traduzione emerge come una delle misure di 'spostamento' tra due culture e comprende nozioni di circolarità e di mutabilità oltre che di perdita a causa dell'impossibilità di un perfetto transfert tra due diversi contesti culturali.

Brevemente, ci puoi menzionare quali tappe avete raggiunto grazie a questa mobilità dichiarata? In questi sei anni, prima di arrivare all'attuale mostra conclusiva di Berlino, in che situazioni vi siete trovati a lavorare?

Elena Bellantoni
: Il progetto ha compreso cinque mostre in cinque città diverse: ad Atene (novembre 2008) nello spazio espositivo indipendente di Thission curata da Zoi Pappa, a Santiago del Cile (maggio 2009) presso il Centro de Extensión de la Pontificia Universidad Católica de Chile curata da Natalia Arcos, a Roma (maggio 2010) al Museo Laboratorio di Arte Contemporanea curata da Barbara D’Ambrosio e Silvano Manganaro, a Beirut (luglio 2011) nel project space 98weeks curata da Marwa e Mirene Arsanios e infine a Berlino, la mostra che ha inaugurato venerdì 2 marzo, alla NGBK e al Kunstraum Kreuzberg/Bethanien curata da Elena Agudio e Paz Guevara. Diciamo che io, essendo un'italiana che vive a Berlino, mi sono occupata personalmente di portare la mostra in due destinazioni diverse.

… però “In Other Words” ha dei connotati decisamente diversi rispetto alle mostre precedenti. E questo è dovuto principalmente all'esperienza tutta tedesca che avete vissuto nel momento in cui vi siete rapportati con le istituzioni berlinesi, come voi stessi avete sottolineato più volte. Come si è quindi concretizzato questo atto finale del progetto?

Elena Bellantoni
: Sì, hai ragione. C'è stato un cambiamento, un salto con questa mostra berlinese. In una prima fase PT si era delineato come progetto auto-finanziato e completamente off. In una seconda, quella tedesca, mi sono resa conto che le cose dovevano cambiare, o forse semplicemente il progetto è stato capito ed è quindi cresciuto.
Tornata a Berlino dopo l’anno londinese, ho presentato la nostra idea al direttore del Kunstraum Kreuzberg/Bethanien, Stéphane Bauer, il quale ha accettato la mia proposta di collaborazione ma ponendo delle condizioni: dovevo trovare uno o due curatori e i fondi.

Il mio percorso di artista ha dovuto fare quindi un salto pindarico e solo dopo un anno ho trovato le persone che facevano al caso nostro. Con loro, Elena Agudio e Paz Guevara, è iniziato un lungo lavoro di approfondimento e di sviluppo del progetto che si è concluso presentando la domanda alla NGBK.
Il gruppo PT è a quel punto cambiato. Ho mantenuto i contatti con gli altri tre artisti - che sono ovviamente presenti in mostra - ma, per poter partecipare al bando, dovevamo strutturarci in modo diverso; abbiamo inoltre acquisito una project manager, Giulia Piccini. Esattamente un anno fa abbiamo partecipato con il nuovo project group (composto da me, Elena, Paz, Giulia e lo stesso Stéphane) al bando pubblico della NGBK che, grazie al Lotto tedesco, metteva a disposizione dei fondi e il suo spazio - oltre a quello del Kunstraum Kreuzberg/Bethanien - per progetti artistici.

Dopo una lunghissima giornata condita da presentazione, difesa e voto dei quattro progetti migliori su 20 domande pervenute, ci sono stati gli scrutini. E' stato fatto tutto in modo chiaro e trasparente e alla fine (sembrava quasi di stare a Sanremo!) sono stati annunciati i progetti vincitori: noi siamo arrivati secondi. Per me è stata una grande lezione di democrazia e di gestione del bene comune.
E' così nato “In Other Words”. Ben 44 artisti, una piccola biennale 'in traduzione'...

Insieme alla curatrice Paz Guevara sei stata invitata da Elena Bellantoni a curare l'ultima tappa berlinese di PT che, in mano vostra, ha preso la forma di “In Other Words”.
Parlaci del concept sul quale avete lavorato in questi due anni di ricerca a quattro mani...

Elena Agudio
: “In Other Words. The Black Market of Translations – Negotiating Contemporary Cultures” è il titolo di una mostra che intende i processi del tradurre - il leggere, il comprendere, l'interpretare e il riscrivere un testo in una lingua straniera - come strategia culturale per costruire un ponte verso altre culture.
La mostra è un mercato per lo Straniero e il Diverso. Sono stati quindi invitati artisti che esplorano la lingua dell'Altro e che si muovono tra differenti lingue penetrandole, incorporandole e infine contrabbandandole con la propria.
Aldilà della prevalente passiva coesistenza del multiculturalismo e della statica diversità culturale, si rende necessario organizzare uno scambio significativo tra le differenti culture adottando una pratica attiva del tradurre.
Nello spirito del mercato nero la mostra presenta i processi delle transazioni, del trasferire e del tradurre questa economia della cultura, dell''interstiziale'. A ciò si lega la domanda, se una traduzione possa riconciliare le differenze che separano le diverse lingue e identità. Nella mostra viene quindi proposta una forma di 'traduzione culturale', la quale potrebbe rivelarsi un progetto utile al fine di una futura cooperazione e negoziazione tra le culture contemporanee.

Come si può riscontrare nel tuo testo in catalogo, i termini bachtiniani di dialogico e di eteroglossia sono stati fondamentali per il vostro approfondimento sul tema. Hai altre letture che ritieni importante citare in relazione alle tematiche post-coloniali che avete affrontato in questo progetto di mostra?

Elena Agudio
: Sono in molti ormai ad aver parlato del tema della traduzione nel dibattito post-coloniale. Nel campo dell'arte è sicuramente interessante ciò che dice Nicolas Bourriaud nel suo libro “The Radicant”.
Però ancora più interessante è forse rimanere nell'ambito degli studi specialistici. Ad esempio con la critica letteraria Gayatri Spivak, la quale si occupa proprio di studi post-coloniali; o con Sarat Maharaj, del quale abbiamo ripubblicato e fatto tradurre per la prima volta in tedesco un testo del 1994 - “'Perfidious Fidelity'. The Untranslatability of the Other” -, il primo in cui lo storico dell'arte riflette in maniera sistematica sulla traduzione; o ancora con il sociologo Ulrich Beck e la sua definizione di nuovo cosmopolitismo; o infine e sicuramente con il filosofo Homi Bhabha, il quale affronta lo spazio interstiziale tra le culture, anche lui spiegando come in fondo sia impossibile limitarsi a una traduzione intesa come operazione matematica.

La mostra è divisa in quattro sezioni. Ci puoi brevemente condurre attraverso i lavori rappresentativi di ognuna di queste?

Elena Agudio
: Gli artisti sono stati invitati a indagare quattro campi d'azione della traduzione contemporanea. Il primo è l'analisi critica dei processi globali dell'inglese o della lingua regionale dominante in una comunità di fruitori.
“New Roman Times” dell'artista brasiliano Detanico Lain è un lavoro semplice e allo stesso tempo profondo che rivela le condizioni globali e addomesticate di produzione della maggior parte dei testi dei nostri (nuovi) tempi (romani). L'installazione apre la mostra, annunciandone uno sviluppo successivo e un viaggio all'interno dei diversi processi di traduzione e di risveglio di uno spirito critico.
Il secondo è quello della produzione di nuove lingue e traduzioni che rivelano l'immagine, il metaforico e l'identità dell'Altro. La traduzione in arabo di “Know Thy Worth” dell'artista sud africano James Webb è un adattamento dell'aforisma greco 'Conosci te stesso', spostato dal Tempio di Delfi dell'VIII secolo a.C. alla porta d'ingresso degli spazi espositivi dell'NGBK in una delle strade principali di Kreuzberg, quartiere di Berlino con una grande comunità araba.
Il terzo campo d'azione è dedicato al salvare e al ristabilire le lingue e le culture dimenticate, dando loro il diritto alla contemporaneità. Il video dell'artista cubano Yoel Díaz Vázquez, “Sprich Deutsch oder Stirb”, è un progetto di ricerca lungo un anno che esplora i gesti delle mani, la poetica e la politica delle comunità dei sordi a Berlino - una minoranza all'interno di un mondo dal linguaggio articolato.
Infine l'ultimo si focalizza sulla ricerca della riscrittura, della decifrazione e del transfert da un codice o medium a un altro. L'installazione “The Sound of Language” dell'italiana Mariateresa Sartori offre l'esperienza di percepire il suono di una lingua liberandola dal suo significato e dalla sua scrittura e contribuendo così alla storia orale del linguaggio.


* La prima e la terza risposta di Elena Agudio, così come la sinossi a inizio intervista, sono mie traduzioni di stralci di testi dal catalogo della mostra “In anderen Worten. Der Schwarzmarkt der Übersetzungen – mit zeitgenössischen Kulturen handeln”. I testi di riferimento sono rispettivamente: Elena Agudio “Heteroglossie und 'permanente Übersetzung'”, p. 16 e Paz Guevara, Elena Agudio “In anderen Worten. Der Schwarzmarkt der Übersetzungen – mit zeitgenössischen Kulturen handeln”, pp. 6-10. La curatrice Elena Agudio ha infatti voluto riproporre il meccanismo (imperfetto) della traduzione tedesco-italiano di una breve parte dei testi così come nel catalogo stesso hanno proposto le traduzioni inedite inglese-tedesco degli autori invitati, Sarat Maharaj e Beatriz Sarlo.


Link utili:

Platform Translation, a Travelling Project that Explores Notions of Translation Through Artistic Practices and Critical Discourse

Transleat me, Atene 2008

Street Hacker 2, Santiago del Cile 2009

I/F Interface, Roma 2010

On books and translation, Beirut 2011

In Other Words, Berlino 2012


Eleonora Farina è laureata all'Università "La Sapienza" di Roma in Storia dell'Arte Contemporanea con una tesi sulla Kunsthalle Portikus di Francoforte sul Meno (al tempo diretta dal Prof. Daniel Birnbaum). Dopo un anno di lavoro a Bucarest presso il dipartimento curatoriale del Museo Nazionale d'Arte Contemporanea, al momento vive a Berlino dove ha iniziato un dottorato di ricerca presso la "Freie Universität" (Prof. Gregor Stemmrich) sulla Video Arte in Romania ai tempi della dittatura di Ceauşescu. E' su questa tematica che ha inoltre realizzato diversi progetti curatoriali (attualmente in preparazione la decima edizione di “Spazi Aperti” presso l'Accademia di Romania a Roma, maggio 2012), ha partecipato a lecture e ha scritto articoli specialistici. Collabora regolarmente con UnDo.Net e con la rivista "Arte e Critica".

Elena Agudio, storica dell’arte e curatrice, dal 2009 vive a Berlino. Dottore di ricerca in Storia dell'Arte Contemporanea, collabora alla direzione della rivista italiana “Art e Dossier”. Ha curato numerose mostre e progetti tra i quali, più recentemente: “Totem and Taboo. Complexity and relationships between art and design” (upcoming: Museum Quartier, Vienna), ”After the Light II. Performing Moving Images” (Radialsystem, Berlino), ”Las Americas Latinas” (Spazio Oberdan, Milano), “Mind the brain! An experimental exhibition” (in collaborazione con il Dipartimento di Neuroscienza dell'Università di Pisa), “Making worlds?” (2009) e “Seeing with Eyes Closed” (2011), una serie di simposi volti a promuovere il dialogo tra i protagonisti della neuroscienza e dell'arte contemporanea presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia in occasione della 53° e 54° edizione della Biennale di Venezia. A Berlino dal 2009 è curatore presso l'Association of Neuroesthetics (AoN – a platform for Neuroscience and Art), un progetto che vede la collaborazione dell'Università di Medicina di Berlino Charité, della School of Mind and Brain dell'Università Humboldt, dell'Institut für Raumexperimente diretto da Olafur Eliasson e del Deutsche Guggenheim. Dal 2005 ha pubblicato per diverse riviste e cataloghi di mostre e ha curato le pubblicazioni “Totem and Taboo. Complexity and relationships between art and design” (editore: Museum der Dinge, Berlino) e “Seeing with Eyes Closed“ (editore: Association of Neuroesthetics, Berlino).

Elena Bellantoni, artista visiva, vive e lavora tra Roma e Berlino, dove nel 2008 ha aperto uno spazio per la ricerca e le arti contemporanee - 91mQ art project space. Ha studiato a Roma presso l’Università “La Sapienza” laureandosi in Storia dell'Arte Contemporanea e nel 2006 ha ottenuto un Master in Visual Arts presso la WCA University of the Arts London. Ha partecipato a mostre e residenze per artisti in Italia, Germania, Regno Unito, Spagna, Europa dell’Est e Sud America. Nel 2006 ha vinto il Tempelhof-Schöneberger Kunstpreis. Nel 2008 ha partecipato alla residenza artistica organizzata da 98weeks a Beirut con l’artista Francis Alÿs e il critico Cuauhtémoc Medina. Grazie al sostegno del GAI - Giovani Artisti Italiani e del Ministero degli Affari Esteri ha ricevuto una borsa di studio per partecipare al progetto “Street Hacker 2” a Santiago del Cile (2009). Nel 2011 – ha partecipato alla Biennale della Traduzione al Museo Pan di Napoli, è stata selezionata per il progetto espositivo “ITaliens – giovani artisti italiani a Berlino” presso l’Ambasciata Italiana curato da Alessandra Pace e Marina Sorbello e ha partecipato alla mostra “Wo_men's point of views” curata da Francesca Referza; 2012 – ha partecipato a “Werttransport” presso la galleria VBM20 di Berlino ed è stata selezionata per la rassegna video “Regeln für die Revolution - Su alcune tematiche del 'Fatzer' di Brecht” curata da Bruno Di Marino e tenutasi al Volksbühne Fatzer Kurzfilmkino di Berlino e al Cinema Massimo di Torino.