Attraversare le contingenze allargando le prospettive

11/11/2012
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Mostramania


Sono troppe le mostre che si fanno in Italia? Una ricerca appena presentata a Florens 2012 ci parla di ruolo, risorse e spazi delle mostre al tempo della crisi. Insieme alle risposte controtendenza del suo autore: numeri alla mano...



Quest'anno Florens ha raccolto oltre 350 relatori da tutto il mondo





La ricerca Mostramania è stata ideata dalla Fondazione di Venezia






Quante mostre si organizzano all'anno?

Quali sono i temi prevalenti e quelli invece sotto rappresentati rispetto alle tendenze internazionali?

Quanto durano in media?

In quali sedi vengono allestite?

Quante sono a pagamento e a ingresso gratuito?

Come si distribuiscono nell'anno e dal punto di vista geografico?

Un'indagine ha tentato di fornire risposte a queste domande, analizzando il sistema degli eventi espositivi allestiti nel 2009 e nel 2011 presso strutture pubbliche e private no profit.
Si tratta di una ricerca presentata nell'ambito di Florens 2012, manifestazione biennale appena conclusa a Firenze costituita da un Forum Internazionale dei Beni Culturali e Ambientali (con 90 esperti di chiara fama), oltre 40 tra tavole rotonde e convegni, 7 lectio magistralis, mostre, installazioni storico/artistiche e appuntamenti musicali.

"Mostramania 2012. Le mostre al tempo della crisi" è il titolo di questa ricerca promossa da Fondazione Florens, ideata e realizzata da Fondazione Venezia e a cura di Guido Guerzoni.

Oltre a renderla disponibile e scaricabile per esteso, abbiamo pensato di parlarne con il suo autore per chiarire alcuni aspetti della sua analisi.

In primo luogo la ricerca esclude mostre che abbiano finalità di vendita (come fiere d'arte, antiquari e gallerie private) e include categorie come archeologia, arte etnica, scienza, moda...
Però, a partire dal titolo, sembra sottolineare che le mostre in Italia siano una quantità davvero esagerata e in effetti si legge: "Chi scrive, al termine di un'indagine durata due anni, si è convinto che l'effettivo numero di mostre che ogni anno si inaugurano in Italia superi le 10.000.
Una cifra sbalorditiva, la cui sostenibilità rimane più che mai dubbia, dal momento che questa esplosione è coincisa con un drastico ridimensionamento dei finanziamenti accordati ai musei, alle biblioteche e agli archivi, ai luoghi istituzionalmente deputati a conservare il nostro patrimonio culturale
"

Sollecitato su questi aspetti Guido Guerzoni ci dice: "C'è una profonda differenza tra le mostre prodotte da non profit o associazioni che utilizzano risorse proprie e quando invece sono usati i fondi pubblici; io penso che l'eccesso non privilegi i soggetti più capaci ne' i temi più interessanti. (...)
L'attività delle associazioni è un segnale di vitalità, ma auspico il fatto che nei circuiti gestiti dagli enti locali - con investimenti medi molti più elevati - ci siano dei progetti di razionalizzazione e di selezione delle mostre da realizzare con finanziamenti pubblici.
Progetti in grado di privilegiare la qualità delle proposte e di remunerare le persone più correttamente, perchè se si fanno così tante mostre è anche perchè la gente coinvolta è sotto pagata o lavora gratis."

Un altro aspetto interessante è quello della distribuzione geografica delle esposizioni dove si trovano "Ai primi 4 posti le prime regioni per arrivi turistici (ma) senza i numeri di Milano la Lombardia non potrebbe capeggiare le classifiche di entrambi gli anni, e considerazioni analoghe valgono per Roma".
D'altronde "esaminando il rapporto tra il numero delle mostre e la consistenza della popolazione residente i risultati cambiano, quantomeno nelle relazioni tra Nord e Centro. In base a tale ratio nel 2009 al primo posto si trova la Valle d'Aosta, con un evento ogni 2.283 abitanti, seguita dalla Toscana, con uno ogni 3.760"

E qui Guerzoni afferma che "La densità degli eventi culturali è il risultato della ricchezza di un territorio. Quanto più un territorio è ricco e può permettersi di mantenere il surplus tanto più è ricca la programmazione."

Ancora dalla ricerca si estrae: "A dispetto di quanto spesso affermato dai policy maker, che intravedono negli eventi temporanei un valido strumento di valorizzazione del patrimonio culturale locale e di promozione territoriale, gli eventi espositivi temporanei rimangono un fenomeno prevalentemente urbano/metropolitano, ripresentando la medesima polarizzazione dei flussi di visitatori che si registra nelle principali città d'arte e sedi museali italiane"
Un'altra affermazione che sfata i molti discorsi ascoltati sul dare e avere tra mostre e territorio. Ne chiediamo conferma, oltre a cercare di chiarire chi siano quelli che affermano il contrario.

Guido Guerzoni: "Tutto sommato gli eventi espositivi faticano a funzionare come leve di attrazione turistica o di valorizzazione del territorio perchè per farlo c'è bisogno di accreditare uno spazio e ci vogliono almeno 4 anni, quindi è necessaria una programmazione intensa ma duratura. Poi sono le grandi città quelle dove c'è un pubblico che ti consente di fare più cose...

I policy maker sono prevalentemente i decisori pubblici, possono essere gli assessorati, gli uffici provinciali del turismo, gli uffici competenti della Regione, i consigli d'amministrazione delle fondazioni bancarie...
Questo è un momento in cui gli eventi temporanei sono prevalentemente pagati dagli enti locali, a parte alcuni soggetti privati che però hanno ragioni diverse.
Se guardiamo il 60/70 % viene pagato dal pubblico.
La domanda è: quanti assessori di Comuni con 30/40.000 abitanti hanno le competenze per valutare le proposte che ricevono? Quanti CDA delle fondazioni bancarie di provincia hanno le competenze per scegliere una cosa piuttosto che un'altra?
Alla fine chi decide le policy e alloca le risorse fa sempre più fatica a scegliere tra questo marasma di proposte e finisce per preferire chi ha relazioni più forti o "spalle comunicazionali" più coperte."

Secondo la ricerca, dall'analisi delle sedi espositive si possono comprendere i meccanismi di malfunzionamento della struttura del sistema espositivo nazionale, questo risente del processo di spettacolarizzazione e mediatizzazione delle attività culturali iniziato negli anni Ottanta.
La mostra-botto, quella in grado di attirare centinaia di migliaia di visitatori, ha dei costi di realizzazione altissimi e drena risorse pubbliche e private preziose.
Inoltre le mostre blockbuster sono spesso allestite in musei a cui di fatto non portano visitatori, o nascono per dare lustro a quegli edifici storici che rappresentano più del 70% delle sedi ospitanti, dove "la strategia espositiva italiana sembra più reattiva, a giustificare gli ingenti investimenti nelle opere di recupero immobiliare, che proattiva, quasi che il mattone, così amato dai nostri connazionali, prevalga comunque sul cervello, in un impari confronto tra strategia e tattica, piano e trovata, programmazione e colpo di teatro."

Qui, non proprio tra le righe, Guerzoni è convinto di cose dal sapore poco populista: "Fosse per me venderei la metà degli edifici storici e con quanto ottenuto pianificherei un programma serio per l'arte contemporanea. Oltre al fatto che necessitano di restauri onerosissimi, le residenze storiche in genere non sono spazi adatti alle esposizioni perchè hanno troppi vincoli, poi hanno costi di allestimento e mantenimento altissimi rispetto ad altri luoghi."

E ancora: "Ho visto alcuni dati sul pubblico delle mostre di Goldin a Brescia: i visitatori stanno in città 2 ore durante le quali scendono dal pulman e fanno la coda per il biglietto, poi gabinetto, mostra, gadget, pizza e si risale sul pulman. In città non mettono piede e tanto meno lo mettono nel Museo di Santa Giulia.
E' evidente che il pubblico interessato alle mostre non è quello del museo, questo risulta: a meno che non ci sia il trucco come al Colosseo dove il visitatore è obbligato a comprare il biglietto unico..."

E, a parte una certa educazione al valore, circa il prezzo della visita Guerzoni afferma: ”Con i biglietti lo stato porta a casa l'8 % del bilancio dei musei, l'altro 92 % viene dalle tasse dei contribuenti. Solo 4 o 5 poli con i biglietti incassano cifre sostanziose, ma per gli altri è un disastro...

Se pensi che nel 2003 hanno abolito i biglietti dei musei nazionali (che sono solo 43) e così hanno raddoppiato i visitatori... La tendenza è questa, poi la mostra temporanea la paghi, ma al museo accedi gratis, così come fai in una biblioteca.”

Tra le note (a volte davvero illuminanti) si legge che "L'Italia è l'unica nazione europea il cui ministero deputato alle attività culturali ha di recente ridimensionato la propria presenza nel campo della produzione artistica contemporanea. (...) Si allungano gli acronimi, si accorciano le linee di finanziamento."

Cioè si sono accorpati i compiti come recentemente successo con le Provincie. Ma alcuni dati sembrano contraddire il diffusissimo lamento circa lo scarso interesse dedicato in Italia alla contemporaneità.
Sono infatti diminuite le mostre dedicate all'arte antica (e Moderna) "penalizzate dai sempre più elevati costi di realizzazione rispetto all'arte Contemporanea. (...) Dove la 'contemporaneità' di certe produzioni è certificata solo dalla permanenza in vita dei relativi autori."

In conclusione "La risposta fornita alla sfida rappresentata dalla crisi delle finanze pubbliche e dalla crescita dei costi è stata la più facile da immaginare: invece di rischiare sul palinsesto editoriale, investendo in produzioni dedicate a nuovi mercati o in nuovi prodotti (vedi hands-on exhibition, mostre itineranti a basso budget, mostre di processo ecc.), la maggior parte degli organizzatori nazionali ha preferito puntare sul sicuro, sul visto e rivisto, sul trito e ritrito, contando semmai sull'arretratezza culturale di taluni bacini di utenza."

La ricerca si addentra anche nei dati relativi ai generi delle mostre allestite, alla loro durata, al numero di visitatori, fino a considerare la figura del curatore. Inoltre è stata realizzata una ricerca gemella dal titolo "Effettofestival 2012" in cui sono stati analizzati temi e dati simili a quelli valutati per le mostre. Quest'ultima è una ricerca qualitativa in cui sono state somministrate 100 domande a 37 "festival di approfondimento culturale" che, a partire dalle caratteristiche necessarie per rientrare in questa categoria, sono stati selezionati secondo precisi parametri.

Ma qual'è secondo Guido Guerzoni un primo bilancio della Biennale Internazionale dei Beni Culturali e Ambientali?
"Il bilancio di Florens è senz'altro positivo, anche se nove giorni sono tanti e quindi ci sono stati alti e bassi. Aldilà del palinsesto però, quello che ha funzionato è il fatto che Florens non si è posta come un evento alternativo ad altri, ma come una piattaforma che ospita eventi in corso d'opera. L'Italia ha bisogno di momenti in cui con grande franchezza si raccolgano e si diano delle indicazioni di carattere quantitativo. Finché non ci sono i fondamentali - che Florens si è impegnata a raccogliere e condividere - è difficile capire se e come entrare nelle cose".
E' molto soddisfatto dell'esito del suo studio, delle reazioni della stampa quando l'ha presentato e dai futuri sviluppi che prevede. "Quello che mi interessava era iniziare ad avere una panoramica un po' più ampia degli eventi in Italia: sul ruolo che hanno, sulle risorse che usano, sugli spazi che tolgono e anche su quelli che riempono... "


LA RICERCA MOSTRAMANIA INTERAMENTE SCARIBILE

LA RICERCA EFFETTOFESTIVAL INTERAMENTE SCARIBILE


Guido Guerzoni è Ricercatore confermato di Storia economica. Docente presso la SDA Bocconi. Dal 1996 tiene cicli di lezioni e seminari di approfondimento nell'ambito di diversi corsi di laurea. Si occupa di Storia delle istituzioni e dei mercati artistici e culturali, Storia della cultura, Cultural management, Rights management, Museum studies. Amministratore delegato di Polymnia s.r.l: società strumentale della Fondazione di Venezia che sta sviluppando il progetto museale M9 a Venezia.
Informazioni sulle sue pubblicazioni in http://www.guidoguerzoni.org



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