Attraversare le contingenze allargando le prospettive

16/05/2013
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Il primato dei piedi



Vittorio Corsini, Incipit Vita Nova, 2013, lato nord




Vittorio Corsini, Incipit Vita Nova, 2013. Alluminio verniciato e neon gelatinati, 100x1380cm




Vittorio Corsini, Movimento, 2013. Segatura- inchiostri- piedi, dimensioni ambiente










Intervista a Vittorio Corsini
A cura di Marcella Anglani

Incipit vita nova è il progetto di Vittorio Corsini, a cura di Alessandra Poggianti, che ha inaugurato la sala degli Archi della cinquecentesca Fortezza Nuova di Livorno.
E’ un doppio intervento, uno all’esterno: due grandi scritte di circa 15 metri “Incipit vita nova” - posizionate in due punti chiave, a nord e a sud della fortezza - e uno all’interno: "Movimento", grandi tappeti di segatura che rappresentano bandiere, ricoprono la grande superficie della sala e saranno via via cancellati dal passaggio dei visitatori.

Mi racconti come è nata l’idea della scritta e del perché proprio Dante e questo verso?

La fortezza è un’isola abbandonata nel cuore di Livorno, ci sono stati dei momenti particolari in cui è stata recuperata, per feste e rare occasioni, ma è un luogo che non è mai stato assorbito dalla città.
Anche il parco che la sovrasta è stato chiuso e dimenticato. Ora hanno restaurato la sala delle colonne, all’entrata della fortezza, per destinarla a eventi temporanei, mostre e altro, e mi hanno contattato per pensare un lavoro a questo fine.
Mi ha colpito subito il fatto che i livornesi avessero in qualche modo lasciato disabitato un luogo centrale della città, come se avessero preferito, nelle loro scelte consce o inconsce, di prediligere il dialogo e l’incontro con gli altri e così facendo, lasciando l’isola rifugio che protegge e separa, si fossero mischiati con gli altri.
Un esempio significativo della particolare apertura di questa città è il fatto che a Livorno il ghetto non esiste, anzi alcune parole ebraiche sono state assorbite nel dialetto livornese.
Il primo impatto è stato fondamentale: sono arrivato alla Fortezza da un passaggio particolare e mi sono ritrovato davanti una muraglia, ho capito subito che doveva essere superata, bisognava andare da un’altra parte, ovvero non scontrarsi con quel muro ma volgersi verso l’alto.
Ho pensato all’aikido e alla ricerca dell’equilibrio attuata rimanendo con la testa che punta in alto e così mi è venuta l’idea di fare una grande scritta, posta nei luoghi privilegiati di accesso, a nord a e a sud della fortezza, una scritta che si staglia contro il cielo e gli alberi, al di sopra dei merli.
Avevo bisogno di un’apertura e di una scritta che la rappresentasse, non un punto di arrivo ma qualcosa che indicasse un passaggio, l’idea dell’Incipit è venuta insieme o di conseguenza a tutto questo.
Anche il colore tra il violetto e il rosa freddo indica il passaggio dall’oscurità alla luce, all’alba quando la notte sta per essere oltrepassata, quindi non il rosa del meriggio che, mischiato con il giallo, è più caldo e rosato, ma un rosa freddo. Così la scritta cambia colore: di giorno è bianca e di notte si colora grazie a una luce gelatinata.
Il verso “Incipit vita nova” indica un’idea di passaggio da più punti di vista e si presta a più letture. Sottolinea il profondo cambiamento nella storia occidentale nel passaggio dalla retorica dell’amore cortese a qualcos’altro verso cui Dante si mette in cammino, perché proprio attraverso l’amore per Beatrice Dante scopre un’altra realtà, la passione e il desiderio vero che non è più quello che veniva declamato e infiorettato ma quello che è vissuto, ed è così, attraverso questa esperienza, che Dante trova un varco totalmente diverso verso il mondo.
Ma è un verso che risuona per tutti e diventa un messaggio che ognuno può liberamente interpretare e mettere in relazione con se stesso e con la propria storia per tessere il proprio personale racconto.

Questo varco, questo passaggio è quello attraverso cui inviti le persone a entrare nella fortezza, ecco io l’ho visto così: un invito al cambiamento, anche attraverso l’amore, a oltrepassare la fortezza che è un luogo difensivo, per mischiarsi con gli altri e fare l’esperienza dei tappeti, l’altro lavoro che si incontra nella Sala delle colonne.

Sì sono due lavori in qualche modo legati. Uno all’esterno perché avevo bisogno di una visione, di dare luce, luogo, nominazione a qualcosa che è abbandonato, poi qualcosa che accade internamente. Il linguaggio e i modi sono molto diversi, ma è effettivamente un’esperienza che continua entrando dentro dove si trova una gigantesca sala: sono 400mq, un enorme tappeto di bandiere.
Le bandiere non sono di Paesi potenti ma di Paesi diversi tra di loro, molti sono stati dell’Africa, dei Balcani, dell’India ma non c’è l’America, la Cina, la Germania ovvero non ci sono i “potenti del mondo”, non è con questi che volevo ci fosse il confronto. La bandiera è il simbolo dello stato, il vessillo che ha guidato gli eserciti alla morte, l’emblema in nome del quale si dichiarano le guerre.
Quello che mi interessa è che piano piano camminando le persone si incontrano e annullano quei vessilli che li oscurano l’uno all’altro, camminando si incontrano e distruggono ciò che li teneva separati, costruiscono letteralmente il mondo. I confini sotto i piedi dei visitatori si cancellano, ecco cosa intendo con il primato dei piedi sulla testa!

Mi sembra che ci sia anche un rimando in generale alla scultura, o meglio al senso che tutto il tuo lavoro dà alla scultura. Non si gira più attorno, non ci si pone più davanti ma si sta in mezzo, si attraversa e la si fa propria!

Certo per me questo è il senso della scultura pubblica. Uno spazio che si può attraversare, che assume una dimensione umana e sociale. Anche a Livorno l’opera potrà dirsi finita solo il 19 maggio nel momento in cui si chiude la mostra perché fino ad allora cambierà forma, ora è in continuo divenire, in continua evoluzione in virtù della partecipazione dei visitatori.

Quindi l’identità dei luoghi delle nazioni rappresentati dalle bandiere non è più riconoscibile?

Percepisci delle colorazioni: da una parte più rosso da un'altra più blu, non hanno più un’identità precisa, la simbolizzazione è scomparsa, è quello che volevo ed è accaduto attraverso l’incontro, il camminare, il fare insieme una bella festa.

Da quanto tempo usi i tappeti di segatura nei tuoi lavori?

Dal 2002, la prima volta a Milano nella Galleria Artra per la pianta dell’architettura dell’appartamento al piano superiore della galleria.
Per andare a vedere questa pianta, che aveva un'angolazione prospettica precisa, dovevi entrare in collisione con il disegno, quindi con l’astrazione e quindi con il puro pensiero; la presenza dello spettatore lasciava una traccia e spostava delle piccole cose.
Questo primo tappeto l’ho realizzato da solo, poi ho scoperto che la pratica di realizzare tappeti in segatura è una tradizione di Camaiore, in provincia di Lucca. In dialetto locale si chiama “pula” ed è un’usanza che risale ai tempi dei Borboni, quando al loro passaggio si decoravano le strade con tappeti floreali.
Ancora oggi si usa creare tappeti floreali in occasione di processioni religiose, ma a Camaiore intorno agli anni '30 del Novecento i fiori vennero sostituiti con segatura e i tappetari locali sono diventati unici nel loro genere.

Anche nella mostra alla Galleria Civica di Modena Tra voci, carte, rovi e notturni c’era un tappeto di segatura: “Geografia“, un paesaggio che alterava la propria fisionomia ad ogni nostro passaggio ad affermare come la presenza umana e il vissuto siano il fondamento del paesaggio e della geografia.

Per me non c’è niente al di fuori degli uomini che abbia senso, non esiste una verità, c’è un perenne cambiamento, ci sono delle verità più persistenti di altre ma non esistono verità assolute al di fuori della nostra esperienza, di noi come uomini, e le cose hanno senso solo nella nostra esperienza in questo percorso.

Per te il tappeto è una social machine?

In qualche modo sì, "movimento" che è il titolo del tappeto in segatura, si è reso un'emozione condivisa, i piedi sono diventati gli autori della trasformazione del mondo.



Le immagini dei lavori in mostra alla Fortezza Nuova di Livorno




Maggiori informazioni sulla mostra Incipit Vita Nova


Marcella Anglani è storica dell'arte, insegna ultime tendenze dell'arte contemporanea all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, scrive su riviste specializzate