Attraversare le contingenze allargando le prospettive

26/09/2013
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Curare il curatore #3


In questa terza puntata del progetto di Virginia Zanetti sono riportate prevalentemente le considerazioni finali dopo i discorsi sviluppati intorno alla relazione artista-curatore, sia in un "testo polifonico" online cui hanno partecipato diversi autori, che durante una tavola rotonda svoltasi all'interno della mostra di Virginia presso Riss(e) a Varese. A che cosa si è arrivati? Inevitabilmente a delle domande, ma questo non è poco...



Virginia Zanetti, Curare il Curatore, a cura di Christian Herren in collaborazione con Hans Ulrich Obrist, Galerie Eletto, Bern, 2011 Courtesy l’artista



Virginia Zanetti, Curare il Curatore, a cura di Christian Herren in collaborazione con Hans Ulrich Obrist, Galerie Eletto, Bern, 2011 Courtesy l’artista



Virginia Zanetti, Curare il Curatore II, C’est la nuit qu’il est beau de croire à la lumière, a cura di Ermanno Cristini e Jean-Marie Reynier, Clement Project, Chillon, Montreaux, Svizzera,  2012, Courtesy l’artista, ph Rebecca Bowing



Virginia Zanetti, Curare il Curatore II, C’est la nuit qu’il est beau de croire à la lumière, a cura di Ermanno Cristini e Jean-Marie Reynier, Clement Project, Chillon, Montreaux, Svizzera, 2012, Courtesy l’artista, ph Rebecca Bowing



Virginia Zanetti, Curare il Curatore III, Ars Polis 2, a cura di Ermanno Cristini e Jean-Marie Reynier, Lugano, Svizzera, 2012, Courtesy l’artista, ph Stefania Barbarotto



Virginia Zanetti, Curare il Curatore III, Ars Polis 2, a cura di Ermanno Cristini e Jean-Marie Reynier, Lugano, Svizzera, 2012, Courtesy l’artista, ph Stefania Barbarotto



Virginia Zanetti, Curare il Curatore IV, a cura di Ermanno Cristini, Riss(e), Varese 2013 Courtesy l’artista, ph di Matteo Innocenti



Virginia Zanetti, Curare il Curatore IV, a cura di Ermanno Cristini, Riss(e), Varese 2013 Courtesy l’artista, ph di Matteo Innocenti



A conclusione della nostra riflessione sul rapporto artista e curatore, che è nata in conseguenza alla mostra da riss(e) vorrei chiedere a Matteo Innocenti, che ha moderato il dibattito, di provare a tirare le fila del discorso, magari proprio riflettendo su quello che è stato il suo punto di partenza: la mostra e i suoi elementi costitutivi, ovvero il “dispositivo” del ritratto ad acquarello, l’installazione, il testo polifonico, come tentativi di esplorare alcune dinamiche relazionali del sistema dell’arte.
Virginia Zanetti

Cara Virginia,
con l'installazione nello spazio Riss(e) di Ermanno Cristini a Varese il progetto Curare il Curatore mi pare che sia venuto definendosi con ulteriori precisione e organicità. La serie di ritratti ad acquerello nero su bianco di curatori appartenenti a periodi diversi, oltre a un consistente valore formale si distingue per l'innesco di una riflessione su aspetti centrali del sistema dell'arte contemporanea.
Sia chiaro, non credo che si tratti di un'intenzione sovversiva né di un tentativo risolutivo - entrambe le eventualità infatti non sarebbero in linea con la tua particolare ricerca - ma di un invito ad affrontare, discutendone, la questione della curatela che tanto ha caratterizzato la pratica e la teoria artistica dei recenti decenni quanto è stata negletta dall'analisi effettiva: se anche è vero che ogni ruolo quando emerge ha già in sé motivazioni sufficienti alla propria sussistenza, ciò non toglie che se ne debbano approfondire le caratteristiche qualora, per cause dirette o indirette, da esso si generino contraddizioni.
In effetti il solo dato di cui disponiamo con fermezza è che il curatore d'arte, in modo esponenziale nell'ultimo quarantennio, ha ampliato il proprio spazio di intervento nonché l'influenza esercitata sulla legittimazione intellettuale ed economica degli artisti.
Aldilà lo scenario si fa vago: l'origine stessa probabilmente mitica più che storica – vi sono distinzioni così nette tra l'intuizione applicata da Harold Szeeman nel 1969 con la mostra When Attitudes Become Form e, per esempio, la politica iconologica della dinastia Medicea piuttosto che l'azzardo di Gustave Courbet con il Salon des Refusés? - se si tratti di una sensibilità oppure di una professione specifica, quale sia la collocazione rispetto al critico e al collezionista, in che modo la sua attività ampli o limiti le facoltà espressive.
Probabilmente queste ed altre domande troveranno risposte puntuali negli anni a venire, quando la vis polemica che sempre confonde il presente verrà sfumando; lo stesso la questione non deve essere considerata vana, poiché è soltanto parlando ed agendo secondo le proprie idee che si possono creare le condizioni concrete, qualora lo si ritenga opportuno, per la modificazione di uno scenario.
Matteo Innocenti

Matteo,
a tale riguardo, per il suo carattere emblematico, risulta prezioso un excursus sulle evoluzioni attuate da Virginia Zanetti con Curare il Curatore. Perché si tratta, e questo mi pare particolarmente importante, di una scelta di “responsabilità”, relativa al proprio ruolo nel sistema dell’arte, che però si realizza entro un’adesione sicura alle modalità di un fare estetico che non abdica mai alla proprio specificità pur aprendosi all’intersezione di linguaggi diversi.
Ermanno Cristini

Grazie Ermanno per lo spunto, sembra anche a me importante ricordare quanto sin qui avvenuto.
Innanzitutto i ritratti di cui si compone la serie derivano, oltre che da uno studio storico sull'attività dei curatori, da un'ampia ricerca iconografica svolta ricorrendo al web in primis, ma anche a libri, riviste e stampe; tale processo di investigazione si arresta quando l'artista percepisce che un'immagine specifica è in grado di contenere tutte le altre e di rappresentare con immediatezza l'anima – se ne ricordi il significato etimologico di “soffio” - del soggetto.
La decisione stessa di utilizzare l'acquarello in fase realizzativa rivela una volontà di trasfigurazione poetica: un materiale che in partenza è caotico, poco connotato, talvolta modesto, viene nobilitato dalla più delicata delle tecniche pittoriche – e da ciò, senza possibilità d'equivoco, si comprende che alla base di tutto vi è un profondo rispetto umano.
Come già è stato evidenziato si tratta di un'inversione poiché l'artista, con i mezzi che gli sono propri, decide di prendersi cura dell'altro termine della relazione; in tal senso il processo giunge fino in fondo, infatti sono i curatori stessi, ogni volta in declinazione differente, ad essere messi in mostra. Vediamo in quali modi.
La prima installazione presso la Galerie Eletto di Berna nel 2011 previde la selezione di una dozzina di ritratti inquadrati in cornici-contenitori di pexiglass, esposti ognuno con un faro teatrale a luminosità tanto alta da renderne problematica la visione; un tentativo di penetrare la personalità e le intenzioni di quei personaggi più o meno influenti, metaforicamente un fare luce, per quanto possibile, su di essi.
A Chillon, Montreaux, nella singolare location di un ex forte militare 28 disegni, parte della collettiva C'est la nuit qu'il est beaux de croire à la lumiere, furono disposti con dedizione e ordine sui cuscini delle brande dove la notte avrebbero dormito gli artisti. Anche in questo caso veniva mantenuto l'elemento di difficoltà, a cui però si aggiungevano il riferimento a dimensione affettiva e relazionale - in linea alla radice anglosassone “care of” della parola - e al sogno, specificatamente a quel desiderio di riconoscimento che muove a livello più o meno conscio l'ego dell'artista.
Durante Ars Polis nel 2012 a Lugano numerose fotocopie dagli originali furono attaccate sulle vetrine dei negozi, nelle entrate condominiali e abitazioni del centro cittadino, quasi ad equilibrare la notorietà complessiva di figure che, rispettate fino all'idolatria in ambito artistico, tranne rare eccezioni sono pochissimo conosciute dalla gente. Gioco di ruoli e di apparenze, mi pare che in esso vi si potesse scorgere anche un'ironica allusione a certe mercificazioni dell'art system.
Infine l'occasione di Riss(e); una cernita assai limitata dei ritratti, esposta in basso così da costringere a un “forzato” avvicinamento, e contraddistinta da un'evoluzione di assoluta importanza.
La mostra infatti, come sottolineato nelle precedenti puntate, è stata preceduta dalla stesura di un testo “polifonico”, vale a dire un documento collettivo e aggiornabile in tempo reale in cui si chiedeva ad artisti, curatori, intellettuali di vario genere di contribuire in modo personale alla questione. Il punto di partenza erano, e sotto tuttora, domande tematizzate e sintetiche, mentre le risposte, testuali piuttosto che ad immagine o a voce, hanno costituito insieme l'impianto concettuale sviluppato il giorno dell'inaugurazione.
Matteo Innocenti

Questo approccio così trasversale mi fa pensare a quanto Anna Stuart Tovini osservava a proposito della sua esperienza come chiave anche per la relazione tra artista e curatore.
E tuttavia è altrettanto importante avere sempre piena coscienza del funzionamento del sistema e della posizione che ci si trova ad occupare magari anche nostro malgrado. Intendo dire che se la discussione sul linguaggio è fondamentale altrettanto lo è quella sulla struttura propriamente intesa: i ruoli, le relazioni economiche, ecc. E’ quanto implicitamente si domanda Marcella Aglani con le sue considerazioni sulla Biennale di Istanbul.
Ermanno Cristini

“Credo che (…) il nostro desiderio di lavorare per "operazioni" anziché fabbricare "oggetti", ci abbia portato a collaborare con persone dalle competenze molto sfumate, a forzare sulle zone "interstiziali", a insistere sull'idea di responsabilità e partecipazione.
Anna Stuart Tovini

“Quindi per riprendere il tema curatore / artista come è possibile avere il controllo del proprio lavoro, come essere coerenti e far corrispondere  l’azione al pensiero? (…) Forse non ci sono formule precise,  tuttavia si può per lo meno difendere il proprio pensiero critico e il proprio lavoro e quindi stare attenti sia come artisti  che come curatori a dove si è, a cosa si sta facendo, con chi, perché, con quali soldi!”
Marcella Anglani

Ma assodato questo possiamo tracciare un primo bilancio e interrogarci sulle direzioni future; lo chiedo a te perché avendo tu moderato il dibattito in qualche modo ne hai pienamente il “polso”
Ermanno Cristini

A che cosa si è arrivati a Riss(e)?
Inevitabilmente ad altre domande, ma il fatto non è da poco. Soprattutto perché nel periodo recente sembra che gli artisti pur rivolgendosi a un'infinità di aspetti - intuizioni, verifica degli elementi formali, nuovi strumenti d'espressione, relazioni, situazioni sociali ecc. - stiano trascurando le dinamiche cui a vario livello partecipano e subiscono entro l'establishment che li comprende.
Allora, andando alla questione specifica per necessità di sintesi: sia che il curatore lo si intenda come una preziosa opportunità di confronto o all'opposto come un ostacolo, perché non riflettervi? Curare il curatore si è inserito in questo silenzio e direi, sulla base di quanto emerso dal dialogo che ho moderato, ha causato reazioni di sorprendente incisività.
Presumibilmente il progetto di Virginia crescerà ancora, trovando ulteriori modalità formali e relazionali di presentazione. Tra le altre potrebbe esserci una pubblicazione dedicata, da sviluppare in modo collettivo, al modo di quanto sta avvenendo proprio su UnDo.Net.
E sarebbe di grande pregio se tra i prossimi partecipanti vi fossero, in maniera attiva, anche alcuni dei curatori della serie.
Matteo Innocenti


La prima puntata di Curare il curatore

La seconda puntata di Curare il curatore


Curare il curatore è un contributo di dibattito nella forma di un progetto in progress iniziato da Virginia Zanetti nel dicembre 2011, con i ritratti per il libro A Brief History of Curating di Hans Ulrich Obrist e con la mostra a Berna integrata da una tavola rotonda con Chistian Herren, Hans Ulrich Obrist e Fabrice Stroun alla Kunsthalle di Berna, proseguita nel 2012 con un intervento al Forte Militare di Chillon, a Montreaux, e con la partecipazione ad Arspolis a Lugano.
La mostra concepita per riss(e) è un nuovo step con un allestimento che raccoglie nuovi ritratti e materiali, nonché la presentazione di un “testo polifonico” scaturito dall’invito di Virginia a rispondere ad alcune domande sulla relazione artista-curatore poste in un file di condivisione in cui sono stati raccolti molteplici contributi.

Le domande erano:
Cosa significa per te la pratica della curatela?
Come vivi il rapporto di dipendenza artista/curatore: chi dei due ha più bisogno dell'altro o come ne ha bisogno?
Che tipo di relazione c’è nella coppia artista-curatore?
Artista-curatore o curatore-artista?


Allo stato attuale sono state raccolte le opinioni di (in ordine di apparizione): Antonello Tolve, Emilio Fantin, Matteo Innocenti, Ermanno Cristini, Pietro Gaglianò (con Elena El Asmar), Giancarlo Norese, Pier Giorgio De Pinto, Stefano Taccone, Ambra Pittoni, Emanuele Serafini, Luca Scarabelli, Valerio Deho, Pierfabrizio Paradiso, Angel Moya Garcia, Al Fadhil, Daniela Spagna Musso, Cecilia Guida, Yari Miele & Corrado Levi, Lisa Mara Batacchi, Francesco Lauretta, Francesca Longhini, Controcarretta della Speranza (Simone Ialongo & Tony Fiorentino), Massimo Marchetti, Gian Maria Tosatti, Alice Pedroletti, Vénera Kastrati, Studio ++, Davide Quadrio, Jean Marie Reynier, Alberto Zanchetta, Marcella Anglani, Katia Baraldi, Elena Bellantoni, Alessandro Laita, Alessandro Castiglioni. Sergio Racanati, Anna Stuart Tovini (UnDo.Net), Riccardo Lisi, Alessandro Di Pietro, Valentina Briguglio..., i quali in parte sono stati presenti sabato 22 giugno, durante l’opening, per proseguire la discussione nella dimensione “semidomestica” di riss(e).


Maggiori informazioni sulla mostra Curare il curatore