Attraversare le contingenze allargando le prospettive

31/01/2014
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Convivio immaginario



Come una possibilità di incontro, I incontro di lettura, 15/02/2013, Bologna. Photo Richard Crow









Come una possibilità di incontro, I incontro di lettura, 15/02/2013, Bologna. Photo Richard Crow









bip bop episode 6, Matteo Ferrari e Richard Crow in regia, Radio Città Fujiko, Bologna









bip bop episode 6, all'ascolto, Radio Città Fujiko, Bologna


Da Autoritratto a Come una possibilità di incontro
Una conversazione fra Elena Biserna, Rita Correddu e Lucia Farinati che riflette e analizza un progetto in cui sono stati coinvolti alcuni curatori e molti artisti...

“Questo libro è nato dalla raccolta e dal montaggio di discorsi fatti con alcuni artisti. Ma i discorsi non sono nati come materiale di un libro: essi rispondono meno al bisogno di capire che al bisogno di intrattenersi in modo largamente comunicativo e umanamente soddisfacente.” ( 1 )
Con queste parole Carla Lonzi introduce Autoritratto, un libro che raccoglie una serie di interviste registrate tra il 1965 e il 1969, poi trascritte e rimontate liberamente in un convivio immaginario in cui interloquiscono 14 protagonisti della storia dell’arte italiana: Accardi, Alviani, Castellani, Consagra, Fabro, Fontana, Kounellis, Nigro, Paolini, Pascali, Rotella, Scarpitta, Turcato, Twombly.
Rileggere le pagine di Autoritratto significa entrare nel corpo di un linguaggio vivo, diretto, dal tono colloquiale e al contempo assistere alla decostruzione del ruolo del critico d’arte, se non alla sua sparizione: Autoritratto è anche una soglia che segna l'abbandono della Lonzi al sistema dell'arte per fondare, l'anno seguente, il gruppo Rivolta Femminile.

È da questa duplice riflessione che prende avvio Come una possibilità di incontro, un progetto di Lucia Farinati per bip bop – un appuntamento radiofonico mensile su Radio Città Fujiko 103.1 | Bologna. Una serie di incontri per rileggere e dare voce ai discorsi che compongono Autoritratto, ri-vocalizzandone e attualizzandone il contenuto attraverso un processo di lettura collettiva.
Cogliendo la suggestione di Carla Lonzi “l’opera d’arte è stata da me sentita, a un certo punto, come una possibilità di incontro, come un invito a partecipare rivolto dagli artisti direttamente a ciascuno di noi” ( 2 ), Lucia Farinati ci ha proposto di usare questo libro come un invito per creare uno spazio conviviale di reale incontro fra lettori.
Noi abbiamo colto l'idea di Lucia pensandola come evento conclusivo di bip bop, come un appuntamento per trovarsi insieme con la volontà di attivare una risonanza reciproca fra voci che, in modi diversi, hanno animato lo spazio della trasmissione o intersecato le traiettorie discorsive del progetto. Come una festa e, soprattutto, un’occasione per esplorare ancora una volta le dinamiche di ascolto condiviso.
Insieme, abbiamo creato dei gruppi di lettura coinvolgendo lavoratori dell’arte e della cultura a Bologna, a Londra e a Trento, seguendo il criterio della vicinanza, dell’affinità, dell’amicizia e abbracciando le sinergie che progressivamente si sono attivate attorno al progetto. Questo processo ha progressivamente coinvolto 60 lettori: Fabio Altamura, Giorgio Andreotta Calò, Anna Babini, Francesco Brasini, Francesca Burzacchini, Gaspare Caliri, Annalisa Cattani, Cristian Chironi, Richard Crow, Piersandra Di Matteo, Alberto Duman, Emilio Fantin, Matteo Ferrari, Ennio Ficiur, Elisa Fontana, Ludovica Gioscia, Eléonore Grassi, Valeria Graziano, Marco Guarnieri, Donatella Lombardo, Laura Malacart, Sandrine Nicoletta, Eleonora Oreggia (xname), Chiara Pergola, Greta Pistaceci, Paolo Plotegther, Maria Rapagnetta, Letizia Renzini, Mili Romano, Chiara Servalli, Giorgia B. Soncin, Annalisa Sonzogni, Laura Ulisse, Dominique Vaccaro, Giusi Vecchi, Francesco Ventrella, Uliana Zanetti.
Voci del presente (per riscoprire il passato) tramite le quali re-immaginare il futuro.

Ogni incontro è stato ospitato nella cornice domestica e informale di un'abitazione privata raccogliendo ogni volta 15 lettori attorno al libro di Carla Lonzi e a un registratore. Ogni lettore/lettrice ha prestato la sua voce e il suo respiro a uno dei personaggi del libro e alle loro parole con l'unica indicazione di un tempo e un luogo per incontrarsi, seguendo il ritmo naturale e piacevole della lettura per se stessi e per gli altri. Si sono create occasioni per incontrare Autoritratto ad alta voce e rileggerlo così per la prima volta, riportando al presente i dialoghi registrati e trascritti dalla Lonzi e poi affidando al registratore anche le nostre riflessioni, considerazioni immediate su un'esperienza tanto semplice quanto inusuale.
Al registratore abbiamo affidato anche questa conversazione quale riflessione sul processo in corso con la volontà di confrontarci su alcune delle numerose questioni che questa esperienza e questo dispositivo hanno generato.
Leggere è performare? Quale può essere il valore della risonanza della propria voce nello spazio relazionale di una lettura insieme? Quali processi innescano l'ascolto e la presa di parola collettivi? Come ricollocarsi nel momento “soglia” che Autoritratto costituisce per la Lonzi? Qual è il pontenziale critico della ri-attuazione dei contenuti e della modalità sperimentale che la Lonzi pratica in questo libro? Cosa significa fare questa cosa qui, adesso?

Lucia Farinati: Ho voglia di pensare a questo dialogo con voi anche come un modo per per collegare "Come una possibilità di incontro" ad altri progetti. Ci sono una serie di temi comuni che ci hanno portato a incontrarci e quindi mi piacerebbe ripercorrere insieme a voi questo percorso. Quando mi avete invitato a partecipare a bip bop, io vi ho detto: “Ho già un'idea”. E questa idea io l'avevo maturata durante l'estate, perché avevo finalmente ‘incontrato’ Autoritratto a casa di un’amica. Per la prima volta ho avuto la possibilità di sfogliare il libro e leggere l'introduzione di Carla Lonzi e fin dalle prime righe ho avuto la sensazione di leggere qualcosa di molto familiare e in cui indentificarmi completamente. Era stato Francesco Ventrella a nominarmi la Lonzi e a parlarmi di questo libro per la prima volta nel 2006 a Roma (Symposium, Active Archive, British School at Rome), ma ci sono voluti alcuni anni per spingermi a leggerlo. Ed e’ accaduto cosi, come un vero incontro! Ricordo inoltre che ad un'altra conferenza, Francesco disse che Autoritratto era un libro da leggere ad alta voce, e questo scatenò immediatamente il desiderio di poter realizzare questa idea insieme ad altre persone.
Due mesi dopo questo episodio è giunto il vostro invito, una coincidenza temporale che mi ha permesso e mi sta permettendo di fare quello che avevo in mente. Alcune parti del libro non le ho ancora lette, quindi la bellezza di questa esperienza consiste nello scoprire questo libro insieme a voi e nel leggerlo insieme agli altri. Non sto riscoprendo Carla Lonzi, non è una riflessione che sto facendo a priori conoscendo già il suo lavoro, ci sto ragionando sopra mentre lo sto scoprendo con voi. Questa, forse, racchiude meglio di altri aspetti, la modalità in cui ho scelto di lavorare come curatrice: incorporare un aspetto critico nel fare, quindi pensare sempre in termini di “critica operativa”, una definizione di Rosario Assunto nell'Enciclopedia dell'Arte che io lessi quando stavo studiando Storia dell'arte vent'anni fa, e che però mi è sempre molto presente.
Quando lui parlava di “critica operativa”, parlava di tutti gli elementi/soggetti gravitanti nell'arte. La sua visione abbraccia un’interpretazione sociologica sebbene ancora legata all’estetica nella quale anche il collezionismo rientra in questa categoria critica, come processo, operazione di selezione.

Elena Biserna: Tornerei alla prima delle cose che hai detto, a questa immediata identificazione personale che hai sentito con la Lonzi quando hai affrontato la lettura dei suo scritti e che, probabilmente, ti ha portato a pensare a Come una possibilità d'incontro e a farlo in questi termini. Mi sembra che sia molto forte la volontà di ricollocarsi in quel libro che è anche una soglia, come abbiamo detto tante volte, tra una Lonzi che lavora all'interno della sfera dell'arte e una Lonzi che decide invece di abbandonarla per l'attivismo. In questo momento, questa soglia mi pare molto urgente per te ma, in parte, è anche l'orizzonte entro cui si inscrivono gli interrogativi di tanti di noi...

Rita Correddu: E, secondo me, ha senso unire questa riflessione a quella definizione di “critica operativa” di cui dicevi.

Lucia Farinati: Si, ci sono due punti. Lo spazio che io ho cercato di occupare o che mi sono trovata ad occupare vuoi per esigenza, o per scelta, è uno spazio di soglia. Non a caso ho iniziato questo progetto che si chiama Sound Threshold. La soglia è uno spazio interstiziale, che è sempre in- between, che non è dentro e non è fuori. Penso sia uno spazio interessante come punto di osservazione, ma anche come posizione da cui, in qualche modo, puoi sempre tornare dentro avendo guardato fuori e andare fuori riportando quello che c'è dentro, come una sorta di vaso comunicante. Stare sulla soglia, in questi ultimi dieci anni, ha significato per me continuare a spostarmi, perché il mercato dell'arte ha una capacità incredibile di assorbire tutto quello che prima era avanguardia. Adesso penso di trovarmi in una posizione simile a quella la Lonzi. E mi chiedo: devo veramente abbandonare l'arte e/o continuare a fare arte sotto un'altra veste? Magari non si tratta nemmeno di scegliere tra l’attivismo e l’arte, ma di pensare parallelamente ad altre sfere, per esempio l’educazione e il lavoro sociale. Però questo progetto mi sta permettendo di capire meglio qual'è la zona di soglia, e se è il momento per fare questo passaggio o meno.

Elena Biserna: Durante le conferenze che si sono tenute al MAMbo parallelamente alla mostra "Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell'arte italiana contemporanea" si è parlato molto dell'impasse che il pensiero della Lonzi può creare per chi vuole rimanere all'interno del sistema dell'arte ( 3 ). Anche se alcuni interventi hanno evidenziato tutta una serie di continuità tra la Lonzi critica e la Lonzi attivista, il suo passaggio alla militanza è stato radicale e “intransigente”... Forse questo si lega al discorso che ha fatto Federica Giardini durante questi incontri: al fatto che la soggettività femminile, rispetto alla produzione di dissenso, non può essere assorbita e sfociare nell'assunzione di potere all'interno del sistema perché mira a cambiarlo, ad instaurare un altro sistema di relazioni che non è basato su logiche di potere ( 4 ) .

Lucia Farinati: Per me il momento di soglia c'è stato nella Lonzi, ed è Autoritratto. Magari è una soglia breve, però precisa, puntuale. Lei prende il materiale registrato tra il 1965 e il 1969 e lo monta come se fosse un’unica conversazione accaduta tra 15 artisti... Come Emilio Fantin ha suggerito durante i nostri incontri di lettura, possiamo forse immaginare la Lonzi come colei che ha inaugurato “la stirpe dei curatori”?
Quando io parlo di “critica operativa” intendo anche la figura del curatore, una figura che io ho scelto per sfuggire dalla critica. Ma cosa significa curatela?
Il verbo “curare” ci riporta alla parola latina “cura” e naturalmente al concetto di cura praticato dal femminismo. Uno spazio di relazione che implica un “se’ relazionale” come dice Adriana Cavarero ( 5 ). Non vorrei entrare qui nel complesso e dibattuto punto sulla figura materna e sull’etica della cura elaborato dal pensiero femminista. Credo tuttavia che una forma di paternalismo di cui soffre il mondo dell’arte contemporamea sia proprio questa “deformazione” del concetto di cura come espressione di controllo e di potere culturale anziche’ manifestazione autentica di fratellanza/sorellanza o se vogliamo di solidarieta’… E qui penso ovviamente allo strapotere di certi curatori di oggi!

Rita Correddu: Secondo me emerge un modo di porsi della Lonzi che è anche tuo nel progetto Come una possibilità di incontro: un modo di curare che è molto umano e meno legato all'etichetta di un mestiere...

Elena Biserna: Mi sembra che questa visione della cura come spazio di relazione di cui parli si leghi ad Autoritratto in due modi: da una parte, il fatto che la Lonzi decide di viversi questo spazio abbandonando l'interpretazione e la sua postura critica come modalità di controllo e di potere sull'opera, per relazionarsi, invece, direttamente con l'artista come essere umano, come persona, dandogli parola, ascoltando, conversando etc. In questo libro, però, la creazione di un soggetto collettivo è ancora una finzione letteraria (dico letteraria perché per me Autoritratto è anche un'opera letteraria), mentre forse in Come una possibilità di incontro si tenta di metterla in pratica?
Tutto questo mi pare collegato anche alla questione della registrazione. Giovanna Zapperi sottolineava che uno degli elementi che la Lonzi utilizza per ripensare e decostruire radicalmente il suo ruolo è proprio la registrazione, che implica il grado zero della critica ( 6 ). Anche noi usiamo un registratore negli incontri di lettura e questo mi porta a interrogarmi sulla sua funzione... Forse, per me, pensare alla registrazione come ad un veicolo di trasparenza o autenticità è una cosa un po' problematica perché, da un certo punto di vista, il posizionamento di un microfono implica già un cambiamento della situazione.

Lucia Farinati: Ci sono tanti punti ... Creare una relazione diretta con l'artista in quanto persona è stato per me sempre necessario, e qui condivido pienamente la posizione della Lonzi. Non si tratta infatti di un approccio critico che parla esclusivamente del lavoro prodotto dall'artista, ma di una relazione che implica fare parte dell’opera, entrare nella sfera di pensiero che va a costruire un'opera, quello che potremmo chiamare processo artistico.
Quello che Carla Lonzi sembra augurare dicendo “un invito a partecipare rivolto dagli artisti direttamente a ciascuno di noi”, è un rapporto di eguaglianza tra artista/critico/ pubblico, e il primo passo verso questo progetto si fonda su uno scambio reciproco, che demistifica i singoli ruoli e sfere di influenza .. Lei questa cosa sembra averla realizzata instaurando e sviluppando un rapporto diretto con gli artisti, tuttavia il convivio rimane una finzione letteraria.
L'operazione che faccio io con Autoritratto è lavorare sulla partecipazione e l'incontro, mi servo di un'opera per far incontrare le persone. Non faccio questa operazione per fare la critica sul testo, per fare la critica della critica. Lo faccio per un fattore umano. Per me è stato fondamentale non fare queste letture nel museo, non avere l’ambizione di creare da subito un’opera d'arte, una performance per il pubblico dell’arte, ma capire e sperimentare come lo spazio della lettura potesse funzionare come dispositivo sociale e non solo culturale-artistico. Perché ad un certo punto sono finita ad occuparmi di suono e di musica?
Perché la musica è uno degli spazi di aggregazione sociali più forti. Ciò che mi interessa e’un discorso ampio sull’ascolto, come mezzo e forma di aggregazione sociale.

Elena Biserna: Sì, e forse non è stato solo leggere come modalità di stare insieme o di incontrarsi. Mi sembra che la lettura di Autoritratto sia diventata anche una sorta di dispositivo per capire se il fatto di prendere parola tramite le parole di un altro – che però si esprime in termini tanto espliciti quanto gli artisti del libro – possa essere un modo per innescare o stimolare una presa di posizione personale, per prendersi la responsabilità di dire... Secondo me c'è stato anche questo elemento: non mi aspettavo assolutamente che ci potessero essere delle discussioni così lunghe fra i partecipanti dopo le letture; dibattiti che si sono direzionati sul proprio posizionamento nei confronti del sistema... Ripensandoci mi sono chiesta: è possibile che sia il dispositivo ad attivare questo tipo di dibattito?

Lucia Farinati: Indubbiamente. La lettura pensata quale formazione di un gruppo, o piu’ gruppi era per me quasi un sogno, un'utopia. Non mi aspettavo che questo attivasse uno scambio cosi vitale, che diventasse un vero momento di convivialità. Era un'aspirazione che poi si è tradotta in questo spazio e che forse finisce in questo spazio momentaneo, non lo sappiamo ancora. Ma certo non c’era nessuna intenzione di costiture un collettivo! Però quello che si e’ venuta a create durante queste ore di lettura – come ha detto uno dei partecipanti del gruppo di Londra, Alberto Duman –è una comunità di lettori, e questo secondo me è molto importante.

Rita Correddu: Secondo me questo processo è molto individuale. Ad esempio io non mi sono sentita più stimolata a parlare. Per me era più interessante far riverberare le parole lette dentro di me, piuttosto che coprirle con la mia voce.

Lucia Farinati: Questo è molto interessante perché solleva una questione che mi preme particolarmente: il concetto di risonanza ... La risonanza creata attraverso il comunicarsi delle voci. Qui sta il nodo della mia ricerca: quando parliamo di voce e non di suono in generale, parliamo di un suono che definisce l'unicità di un essere umano, come ci suggerisce Adriana Cavarero. Attraverso la voce siamo in grado distinguere la singolarità di una persona dall’altra: la voce non è solo linguaggio ma è anche corpo, è intonazione, è grana... Quindi questo duplice atto del leggere le parole di un altro/a ad alta voce e riascoltarsi, è un intersecarsi continuo di voci da fuori e da dentro, è il far risuonare la singolarità nella pluralità.
La Cavarero, in polemica con Derrida, dice che non abbiamo la voce per ascoltare noi stessi e fare dei monologhi, ma per dialogare, comunicare con gli altri. Quindi se si abbraccia l’interpretazione e la de-costruzione femminista del soggetto, il “sè relazionale” o l’inter-soggettto (inter-subject), è chiaro che quello che tu fai nel “far riverberare le parole lette dentro di te”, è un metterti comunque in relazione con l’altro, poiche’ stai ascoltando l’altra voce e non semplicemente te stessa. Il tuo processo individuale, come lo chiami tu, è il frutto della risonanza, del comunicarsi di una voce con l’altra.
(Il grande insegnamento che mi sta offrendo il pensiero femminista nella rivalutazione del vocalico e dell’ascolto è capire come la voce non vada compresa esclusivamente in termini strettamente acustici, un fenomeno per cosi dire puramente fisico, ma nella sua portata politica, in quanto presenza umana, in quanto espressione della polis e della sfera pubblica.)
Il discorso sulla singolarità si lega infine a quello dell'autenticità: la tua voce definisce quello che sei tu come essere unico, autentico. La registrazione, diciamo, è il medium che permette di catturare la tua voce e quindi quel senso di singolarità e di unicità di ogni essere umano. Certo può essere modificata, può essere amplificata, può essere manipolata, però l'effetto che hai nel playback è un senso di autenticità. Però sappiamo che quello che la registrazione non restituisce è la persona in carne ossa.

Rita Correddu: Certo, però secondo me quello che la registrazione conserva è anche qualcosa di vivo, di molto vivo. Penso ad esempio all'immagine di una persona che non c'è più rispetto alla voce di una persona che non c'è più...

Elena Biserna: Forse è più una resuscitazione... La registrazione è sempre una fissazione su un supporto, un'inscrizione di qualcosa che è irrimediabilmente passato.
Questa doppia riflessione che hai fatto potrebbe portarci a due cose. Innanzitutto il fatto che, durante le letture, ci siamo trovati di fronte all'impossibilità della scrittura di veicolare la voce e, allo stesso tempo, al dualismo tra la dimensione semantica del linguaggio e la sua dimensione vocale... Leggendo ad alta voce le trascrizioni delle registrazioni della Lonzi, non solo abbiamo ripetuto le parole degli artisti di Autoritratto. In un certo senso, abbiamo dovuto anche ri-performare la loro bocca per articolare quelle conversazioni riportate sulla carta con assoluta fedeltà al parlato. Ma ci siamo trovati a farlo attraverso la scrittura, che può trasmettere quella dimensione vocalica solo attraverso dei segni grafici e di interpunzione e quindi non può che essere fallimentare. Dall'altra parte, c'è il valore che diamo al nostro processo e alla nostra registrazione: che ruolo avrà la traccia di questi incontri di lettura?

Lucia Farinati: Personalmente dubito che la traccia ascoltata via web (e in radio) porterà agli stessi risultati e/o produrrà altre comunità di lettori! Ma spero di sbagliarmi. Molti collettivi che stanno sperimentando l’uso del suono e dell’ascolto nella sfera sociale - come gli Ultra-red - esprimono di fatto molte perplessita’ sul web listening nel creare una compagine collettiva.
L'altro aspetto, poi, è quello della memoria, un aspetto di cui io non mi sono occupata molto. La questione della registrazione, della traccia, documento storico.
Per me è più importante attivare, il concetto di active archive: prendere queste registrazioni, questi oggetti, per tornare nel presente, usarli come strumenti per cambiare la realtà presente, non come strumenti nostalgici, beyond nostalgia.
Il rischio di tornare ad opere radicali come Autoritratto è sempre quello di di feticizzarle come opere mito. La prima domanda che Francesco Ventrella mi ha posto rispetto a questo progetto è stata di fatto quella dell'autenticità, come risolvere tale problema? Io gli ho risposto: “facendo qualcosa di autentico”. Non si tratta di interpretare la Lonzi, di essere filologici... Ci sono cose che ci sfuggiranno sempre della Lonzi, per quanto lei abbia lasciato una grande un'eredità. Per me l'autenticità, rimanere fedeli al suo lavoro, significa fare in modo che questo strumento sia valido per me, per quello che mi sono preposta di fare insieme agli altri nel ristabilire uno spazio di socialità e convivialità.
Dico questo anche luce della mia esperienza e collaborazione con William Furlong e il suo progetto Audio Arts, un progetto che vedo molto vicino ad Autoritratto poiché ruota attorno alle interviste d’artista, alla registrazione, al soggetto della voce e del dialogo quale materiale artistico.
Audio Arts è nato nel 1973 come una rivista su cassetta e come spazio di sperimentazione audio, oggi tutte le registrazioni sono confluite in un archivio custodito da Tate.. Il vero lavoro per me è stato ed è ancora tornare a quei materiali e riattivarli non tanto come documenti storici, ma come un'altra modalità di collaborazione con Furlong nella creazione di nuove opere. E questo è un lavoro che porto avanti con lui dal 2006, dai tempi del simposio organizzato a Roma Active Archive.

Elena Biserna: Un altro aspetto che mi pare interessante è che nel lavoro di Furlong, così come in Autoritratto, non c'è solo l'uso dell'intervista come fonte, ma anche il montaggio come pratica artistica.

Lucia Farinati: Esattamente. C'è un lavoro di Furlong che si intitola Conversation Piece e che si avvicina moltissimo ad Autoritratto della Lonzi. Consiste nella creazione di una conversazione “costruita” nata dal montaggio delle voci registrate di Wharol, Beuys, Duchamp e Cage. Esattamente come Autoritratto, Furlong realizza un convivio immaginario, ma a differenza della Lonzi, questo non accade sulla carta ma nello spazio.Il lavoro delle Lonzi, potremmo dire e’ un'azione, un intervento artistico ante litteram rispetto a questa installazione.

Elena Biserna: Ritornando a quello che dicevi prima rispetto alla riattivazione delle fonti: questa volontà di riportare il passato ad agire oggi, piuttosto che rivolgersi alle fonti in modo nostalgico o filologico è una cosa che, ultimamente, mi si ripresenta sempre più spesso. Ad esempio, durante Live Arts Week II ho parlato con Tony Conrad. Presentava Fifty-one Years on the Infinite Plain, la riproposizione di una sua performance del '72, per la prima volta con sei proiettori. Io gli ho chiesto: “Cosa significa per te rimettere in atto questo lavoro oggi, dopo tanti anni?”. E lui mi ha risposto che il primo rischio era interpretare questa operazione come un semplice attaccamento al passato, come un atto nostalgico, mentre lui era interessato, al contrario, ad agire nel presente.

Lucia Farinati: Il reenactment è una strategia artistica molto recente. Non credo tuttavia che Come una possibilità di incontro possa definirsi un reenactment poiche’ non stiamo riproponendo un’azione, un happening realmente accaduto.

Elena Biserna: Non c'è nemmeno l'urgenza di usare le fonti come un copione, o come un documento, ma come un dispositivo.

Lucia Farinati: In questo “dispositivo”, come ami chiamarlo tu, c’è però un problema di appropriazione delle fonti. Io prendo il testo di Carla Lonzi così com'è stato stampato e assemblato e ci faccio delle nuove registrazioni, creo un’altra traccia, faccio insomma un lavoro mio. Esiste d’altro canto da parte mia il desiderio e la necessità di confrontarmi con lo spazio immaginario creato della Lonzi, il “falso” convivio, e affidarmi alla volontà dei lettori/lettrici, alle loro voci per il completamento dell’opera.
Quello che forse sto creando è qualcosa nel mezzo: non è la creazione di un nuovo archivio nè un nuovo libro, ma ciò che unisce i due estremi. Questo è un punto su cui vorrei tornare e ragionare meglio quando avrò finito di leggere Autoritratto.

Elena Biserna: Posso leggervi una cosa che mi è capitata per le mani proprio l'altra sera? Nell'ultimo numero di e-flux c'è questo articolo di Boris Groys che termina così, dice: “It seems to me that today we are beginning to be more and more interested in the non-historicist approach to our past. We are becoming more interested in the decontextualization and reenactment of individual phenomena from the past than in their historical recontextualization, more interested in the utopian aspirations that lead artists out of their historical contexts than in these contexts themselves. And it seems to me that this is a good development because it strengthens the utopian potential of the archive and weakens its potential for betraying the utopian promise—the potential that is inherent in any archive, regardless of how it is structured.” ( 7 ) Forse, allo stesso modo, quello che ci porta a rileggere Autoritratto adesso non è tanto il desiderio di ricollocarlo all'interno della prospettiva teorica della Lonzi o nel contesto storico degli anni '60, ma piuttosto di riprenderlo per il suo potenziale utopico nel contesto attuale, per quegli elementi che ci parlano oggi.

Lucia Farinati: Sono d'accordo. Tornare ad Autoritratto non come fonte storica ma come espressione che in qualche moda possa cambiare o incidere sulla nostra realtà è quanto abbiamo cercato di fare fino ad ora. Ma noi possiamo fare questo lavoro su questo testo adesso perchè ci sono persone come Laura Iamurri, Giovanna Zapperi e Francesco Ventrella che hanno fatto e stanno ancora facendo un lavoro storico sull’opera di Carla Lonzi. Se questo non fosse accaduto, noi faremmo un lavoro di ri-appropriazione abbastanza maldestro. Ma cosa significa fare questa cosa qui, adesso?


1) Carla Lonzi, “Premessa”, in Autoritratto, De Donato, Bari 1969, p. 5.
2) Ibidem.
3) Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell'arte italiana contemporanea, MAMbo, Bologna, 12 maggio-1 settembre 2013.
4) Conferenza di Federica Giardini all'interno della serie di incontri The matter is not how woman is represented in the art system but how woman does art outside of it a cura di Elvira Vannini, MAMbo, Bologna, 23 maggio 2013.
5) Adriana Cavarero, Il pensiero femminista, Un approccio teoretico, in Le Filosofie femministe, Mondadori, 2002, p.111
6) Conferenza di Giovanna Zapperi inclusa nella stessa serie, MAMbo, Bologna, 25 maggio 2013.
7) Boris Groys, “Art Workers: Between Utopia and the Archive,” e-flux journal #45, May 2013


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