Attraversare le contingenze allargando le prospettive

21/02/2014
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Le statue calde


Una mostra di opere, cose o idee nate esplicitamente per ingaggiare un rapporto diretto con il corpo dello spettatore. Qui, infatti, si puo' mettere in scena sé stessi oppure guardare qualcuno che lo fa. Il curatore spiega che ha voluto creare una zona grigia tra scultura, performance e design...
Simone Menegoi intervistato da Annalisa Cattani



Alis/Filliol, performance, 13 dicembre 2013, Museo Marino Marini. Foto: Dario Lasagni




Eva Marisaldi, Divisa per dar da mangiare agli uccelli, 1994. Pelle di daino, alluminio serigrafato. Collezione privata




Claudia Castellucci, Celebrazione dei gesti istoriali. Azione imitativa promossa dall’artista su una sequenza di propri disegni




Gilberto Zorio, Fluidità radicale (fotografie), 1972 (esemplare 19/20 inv. 2390) cm. 17 x110 x 4. Courtesy GioBatta Meneguzzo per opera in comodato d’uso al Museo Casabianca di Malo (VI)




Italo Zuffi, Masse trasportabili, 2013. Pietra rosa di Assisi, due elementi, cm 28 x 38 x 16 ognuno. Foto: Dario Lasagni. Courtesy l’artista e Pinksummer, Genova




Gianni Colombo, Bariestesia delle scale, 1975. Legno, rivestimento in gomma nera, dimensioni variabili. Foto: Marianne Boutrit. Courtesy Archivio Gianni Colombo, Milano





Ci sono atti linguistici in questa scultura che si fa corpo e corpo che si fa scultura, o è qualcos'altro?

Le opere che ho scelto per questa mostra tendono a sfuggire alle definizioni. Si potrebbe parlare di atti linguistici come di dispositivi per realizzare delle azioni. Ho cercato di mettere a fuoco un'area che sta tra la scultura e la sua tradizione, la performance e il design. Un'area che lambisce tutte e tre le discipline, ma che si costituisce come una zona grigia tra esse.
Ci sono infatti da un lato opere plastiche, come nella scultura; dall'altro delle azioni, come nella performance; e infine è sempre presente un'idea di design all'interno dello strumento per compiere delle azioni. Eppure queste opere non sono né semplici sculture né performance, né oggetti di design.

Mi sembra che questa mostra inauguri una sorta di "nuovo alfabeto collettivo" che pare accennare ad un percorso narrativo, ma che in realtà probabilmente crea dei rituali veri e propri...

C'è senz'altro una dimensione rituale, anche se i gesti sono semplicissimi. A volte sono gesti quotidiani tolti dal loro contesto abituale e riproposti nel museo. Per esempio l'opera "Struttura per parlare in piedi" realizzata da Pistoletto nel '68, è esattamente ciò che il titolo dichiara: una struttura in ferro che può essere usata per parlare con qualcuno nello spazio del museo. Questo è un lavoro che riassume le caratteristiche di molte opere che sono in mostra.
Nel museo si crea uno spazio per l'azione e per una sorta di piccola cerimonia. Al tempo stesso è possibile assumere una doppia posizione: si può fare una vera conversazione mettendo in scena la propria persona, oppure si può guardare dall'esterno qualcuno che lo fa. Ed è proprio in base a questa seconda dimensione che ho pensato al titolo "Le statue calde", perché avevo l'idea di proporre i corpi come sculture viventi, statue calde, in un museo essenzialmente figurativo.

Il percorso unisce diversi momenti storici. Che differenza hai trovato tra un periodo e l'altro rispetto alla pratica della performance e quale è stato il criterio unificante rispetto agli artisti scelti?

Ho scelto opere, oggetti, creazioni nati esplicitamente per ingaggiare uno stretto rapporto con il corpo dello spettatore. Opere pensate per coinvolgerlo completamente, non solo in parte. Ad esempio un piedistallo su cui salire, come "La base magica" di Manzoni; oppure "Messe en français" di Marcello Maloberti, per fare delle flessioni. Ho scelto degli oggetti in grado di coinvolgere pienamente lo spettatore che vuole integrarsi con loro.
Per quanto riguarda le differenze fra l'approccio degli anni '60 e quello successivo, è difficile di riassumerle poiché sono opere che riguardano diversi momenti e movimenti della storia dell'arte italiana. Per Manzoni o De Vecchi (di cui abbiamo esposto la "Struttura da prendere a calci"), vediamo da un lato uno spirito dissacratore e dadaista e dall'altro la ricerca sulla percezione e il movimento come elementi del rapporto tra opera e spettatore.
Questo aspetto è anche proprio dell'arte cinetica programmata a cui è legato Gianni Colombo. Mentre in creazioni come quelle di Maloberti o, ad esempio, "Masse trasportabili" di Italo Zuffi, si ha più l'idea di un gesto gratuito, poetico, che è parte dell'attività quotidiana...

Rispetto alla questione del calore. In un momento in cui i social network sono il vettore principale di un'idea di comunicazione totale che di fatto si raffredda molto, quanto è importante creare una sinestesia basata sul contatto umano?

Per questa mostra è assolutamente cruciale. Secondo me l'esperienza fisica e diretta delle opere e dei luoghi, il rapporto tra un oggetto e il suo spazio è ancora fondamentale per le arti visive. E se si comincia a sentire la contrapposizione tra una "vecchia" idea di arte visiva (in quanto esperienza diretta di luoghi, spazi, oggetti) e la dimensione della virtualità in cui siamo immersi, tanto meglio per le arti visive, poiché assumono un valore aggiunto, una sorta di chançe in più, che io sostengo.

Lo spettatore viene aiutato ad interagire con questi dispositivi performativi?

Il mio desiderio è che lo spettatore sia libero di scegliere se impegnarsi direttamente o semplicemente stare a guardare chi lo fa. Alcune delle opere che ho scelto per Statue calde le ho viste in altre mostre dove molto spesso non si potevano neanche toccare. L'ho trovato frustrante e assurdo, contrario allo spirito e all'idea dell'artista.
In questo caso quindi, quasi tutte le opere si possono usare, per quelle più vecchie abbiamo richiesto delle copie autorizzate dagli artisti o dagli archivi in modo che siano esattamente uguali alle originali ma utilizzabili dal pubblico. In che modo usarle? Ho chiesto a Marco Mazzoni, artista e performer che ha lavorato con Kinkaleri, di aiutarmi a realizzare un pieghevole in cui si trova una breve descrizione e un disegno che spiegano come si utilizza ogni opera, è una specie di manuale d'istruzioni.
Ho voluto così enfatizzare al massimo la dimensione di strumento dando le modalità d'uso. Ma comunque, aldilà del pieghevole, lo spettatore ha la libertà di avere semplicemente un rapporto contemplativo con l'opera.

Molto interessante questo, proprio perché a volte si ha paura di banalizzare l'opera... Però, dopo tanti anni di arte concettuale basata sul logos, a me pare che in questa mostra si crei una sorta di palestra emotiva per lo spettatore. E' un punto di vista corretto?

Se dici così evidentemente la mostra è stata percepita come io speravo. Il paragone della palestra l'ho fatto molte volte discutendo durante l'allestimento e la preparazione, ed era proprio quello che avevo in mente perché ha in sé l'idea di attrezzo ed esercizio nella sua semplicità. E che sia definita come una palestra emotiva mi piace molto, perché si fa riferimento ad una ginnastica che non è ridotta al gioco muscolare ma che esercita anche il senso, per esempio quello della propria "bellezza" nello spazio.
Alcune opere invitano alla percezione della propria bellezza ed eleganza nello spazio, mentre altre inducono a un rapporto intimo con sé stessi, come ad esempio "Strumento a perdifiato" di Giovanni Morbegno: un tubo di ottone ricurvo grazie al quale si parla a sé stessi creando una specie di sdoppiamento. Un attimo di pausa che invita a dirsi cose che solitamente non si ha il tempo di comunicarsi. Un momento di comunicazione intima.

Volevo chiudere con questa considerazione: di solito nei musei si trova scritto "Si prega di non toccare le opere", in questo caso invece si prega di toccarle.

Totalmente! Quasi tutte!


Maggiori informazioni sulla mostra Le statue calde in corso presso il Museo Marino Marini di Firenze


Quest'intervista fa parte del ciclo Voices, archivio sonoro di interviste in progress un progetto UnDo.Net in collaborazione con Humus, programma radiofonico di approfondimento culturale condotto da Piero Santi su Radio Città del Capo

Annalisa Cattani è artista-curatrice, Ricercatrice di Pubblicità e Arte vs Retorica, insegna all'Accademia di Belle Arti di Ravenna, al LABA di Rimini e allo IULM di Milano.